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Trst je nas: etnocentrismo e pregiudizi (Il Piccolo 17 nov)

 

 

LETTERE

Nei giorni del clamore suscitato dall’anticipazione del cortometraggio di Žiga Virc «Trst je naš», ho avuto modo di rileggere «Razza e storia», uno dei saggi scritti da Claude Lévi-Strauss, il grande antropologo francese mancato pochi giorni fa a Parigi. Si tratta di uno dei suoi testi fondamentali, divenuto pietra miliare dell'antropologia sociale. Pubblicato in francese nel 1952 (la traduzione italiana è stata edita nel 1967 da Einaudi nel volume curato da Paolo Caruso con il titolo «Razza e storia e altri studi di antropologia») ha contribuito a un nuovo approccio di studio con il mondo non europeo, ha spiegato la diversità delle culture umane ed ha esplicitato il dovere, non soltanto nel linguaggio scientifico, ma anche in quello comune, di abbandonare denominazioni erronee ed ingiustificate degli altri.

Disegnare i popoli non appartenenti alla nostra civiltà come barbari, selvaggi, primitivi era per Lévi-Strauss improprio e dimostrava l’incapacità del mondo occidentale di svincolarsi da tutti quei pregiudizi prodotti dal sentirsi superiore agli altri. Sebbene quest’idea della superiorità era priva di ogni fondatezza scientifica, si era strutturata in mito e continuava ad alimentare l’intolleranza e il razzismo.

Fa parte della psicologia umana, soprattutto in situazioni inattese, ripudiare le forme culturali, morali, religiose, sociali, estetiche più lontane, e definire modi di vita a noi estranei «selvaggi». In effetti Claude Lévi-Strauss ribadisce che «abitudini di selvaggi», «da noi non si fa così», «non si dovrebbe permettere questo» ecc. sono altrettante reazioni grossolane che esprimono lo stesso fremito, la stessa repulsione, di fronte a modi di vivere, di pensare o di credere che ci sono estranei. E aggiunge che l’atteggiamento di pensiero nel cui nome si respinge l’altro è caratteristico di ogni società. Non vi è gruppo umano al riparo di esso».

Difficile non scorgere dietro alle valutazioni espresse dal presidente dell’Unione istriani Massimiliano Lacota e dallo stesso ministro degli Esteri Franco Frattini su un film di cui non si conosceva ancora la trama, atteggiamenti segnati da un forte etnocentrismo e pregiudizi, ispirati proprio da quel senso di presunta superiorità culturale, messo così bene in luce dall’antropologo francese. Come comprendere d’altronde la misurazione del grado di democraticità e di europeità della società slovena che si è fatta in questa stessa occasione partendo dal mero titolo di un cortometraggio e basandosi su qualche breve scorcio delle riprese fatte?

Marta Verginella

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