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Storia e opposti nazionalismi (Il Piccolo 22 apr)

LETTERE

Su «Il Piccolo» del 2 aprile il professor Spadaro formula l’auspicio, rivolgendosi al Pd di Trieste, di opporsi ai nazionalismi italiano e sloveno: l’invito non può non trovarmi d’accordo, in linea teorica.Ma a ben vedere, l’auspicio suddetto mi richiama alla mente la teoria degli anni ’70 -’80, cosiddetta degli opposti estremismi. Tutto andrebbe bene, pensavo infatti, se non ci fosse stata la creazione, nel 2004, sotto forti pressioni, e sappiamo bene di quali movimenti ed associazioni della nostra città, del Giorno del Ricordo. Pensiamoci bene: noi siamo, in Europa, l’unico paese ad avere due, e sottolineo due, giorni della memoria. Come a dire: nella città giuliana c’è la Risiera, prova tangibile della barbarie, dell’orrore nazista ma, badate bene, italiani che poco o nulla sapete del confine orientale, è esistita (e forse trova ancora rifugio?) un’altra barbarie, un altro orrore, quello slavo-comunista, non inferiore per efferatezza alla banalità del male, appunto nazista, e trova nelle foibe la sua testimonianza ed espressione, ed al pari della Risiera ha un suo monumento, quello situato a Basovizza. Ecco allora il sindaco di Trieste, rivolgersi ai martiri delle foibe, nella Risiera di San Sabba, di fronte ad una folla sgomenta e allibita di parenti dei partigiani ed ebrei uccisi o deportati nei lager dal nazifascismo che nulla hanno da condividere, con le cavità carsiche. Perché con quella legge istitutiva il giorno del Ricordo si è creata una memoria asimmetrica – dice Boris Pahor, ed ha ragione – una memoria zoppa e sbilanciata verso il male patito e che non si cura del male perpetrato molto tempo prima dal fascismo, fenomeno tutto italiano, per il quale nessuna autorità ufficiale del nostro Stato ha mai chiesto scusa. Né per le violenze degli anni ’20, né per il genocidio culturale effettuato nei confronti del popolo sloveno, né in seguito per l’occupazione di Lubiana, poi recintata con il filo spinato e le conseguenti fucilazioni dei resistenti, né per gli incendi dei villaggi nel Carso sloveno né, infine, per i campi di Gonars, di Arbe-Rab, di Visco e Monigo. Mi torna allora in mente, la visione del cancelliere Willy Brandt che, in ginocchio, chiese perdono alle vittime ed a tutta l’umanità di fronte ai muti cancelli di ferro del campo di Auschwitz per i crimini e le offese tremende compiuti dai nazisti tedeschi. E di fronte a cineprese e telecamere non ebbe alcun timore di piangere. Noi italiani, invece, della Venezia Giulia e di tutta la penisola abbiamo fatto altrettanto? No, caro Spadaro, il nostro Governo di allora ed attuale non solo ha, con l’amnistia del ministro Togliatti, assolto tutti i criminali di guerra conclamati – nel lontano 1946 -, i vari Roatta, Robotti ecc., ma ha parlato, ancora, rincarando la dose, di pulizia etnica. Quando sappiamo bene, ce lo dicono fonti autorevoli tra cui citerò il professor Giovanni Miccoli, le persone sparite nel ’45 non possono certo essere presentate come pulizia etnica ma quale «irrazionale e crudele risposta alle persecuzioni ed alla repressione violenta e sistematica alle quali sono state sottoposte le popolazioni slovena e croata».

Per concludere, direi che in luogo di nazionalismo sloveno sarebbe più giusto e onesto parlare di assidua e continua ricerca di identità e dignità di un popolo che, dapprima calpestato nei suoi giusti e basilari diritti, si è visto dileggiare anche dopo la guerra, da una città «italianissima» con l’epiteto ricorrente di «s’ciavo», ed è stato spesso emarginato come corpo estraneo ed ostile.

Claudio Cossu

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