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Spazzali su Pupo: i dubbi di Togliatti su Trieste (Il Piccolo 13 apr)

di ROBERTO SPAZZALI

Di ricerche e pubblicazioni, memorie e studi più o meno rigorosi e documentati sulla ”Questione di Trieste”, e in particolare sulle vicende triestine negli anni cruciali della seconda guerra mondiale e di quell'immediato dopoguerra, sono stati scritti e pubblicati libri da riempiere interi scaffali e continua a essere oggetto di attenzione e apprezzamento soprattutto a livello locale. Spesso si è lamentato come in passato la grande editoria non abbia manifestato particolare interesse su vicende storiche giuliane ritenute eccessivamente localizzate, ma le svolte degli anni Ottanta-Novanta e in particolare l'apporto dato da una rigenerata storiografia giuliana, che ha preso le mosse dai contributi fondamentali di Elio Apih nel definire il profilo insulare di una città condannata ad un'infinita palingenesi, hanno riportato la storia dell'Adriatico orientale all'interno della storia nazionale italiana.

Certamente Raoul Pupo, docente di storia contemporanea di Scienze politiche dell'Università di Trieste e vicepresidente dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, è uno dei maggiori artefici di questo importante processo di focalizzazione tematica con oltre trent'anni di studi sulla politica diplomatica italiana e anglo-americana e poi sui maggiori nodi del controverso Novecento giuliano: foibe ed esodo su tutti. Ora il panorama si arrichisce di un altro importante suo contributo, che Laterza farà uscire giovedì: ”Trieste '45” (pagg. 384, euro 22) giunge come una felice sintesi di quanto è stato detto e scritto, rivolto principalmente al più vasto pubblico senza derogare dai criteri del rigore scientifico.

Un testo scorrevole, scritto con un registro linguistico colloquiale che rende piacevole ed avvincente anche per l'apporto narrativo dell'autore nello spiegare in forma pacata e chiara anche i passaggi più complessi e tormentati. Colpisce anche la serenità di giudizio che si trova all'interno del testo, segno che è possibile una riconciliazione con la storia, premessa per una storicizzazione che non può esimersi dall'attento e scrupoloso esame di fonti e letteratura scientifica. Ma c'è anche passione civile nel raccontare la storia – perchè anche di racconto si tratta – di un grande affresco umano in cui si affollano personaggi noti e testimonianze di gente comune in un continuo intreccio di citazioni e rimandi a quanto è stato scritto e studiato in questi ultimi anni.

Il volume di Pupo prende le mosse tanto dal "Venezia Giulia 1945", pubblicato nel 1992 per la Libreria Editrice Goriziana quanto da "Il lungo esodo" (Rizzoli, 2005), appellandosi, però, allo stile del primo libro perchè si tratta di dare ordine ad una storia complessa partendo dalle conseguenze dell'occupazione nazista che rescuscita il cadavere asburgico per cercare e formare consenso intorno a un brutale progetto politico che poteva fare leva sulla crisi dell'italianità, uscita prostrata dal collasso dello Stato italiano e dalla cattiva prova del fascismo di confine. È quell'Italia di cartapesta che si schianta sotto i colpi della guerra mentre alle porte della città si affacciano altri due totalirismi, quello nazista e quello comunista nella variante jugoslava che non nasconde i suoi disegni revisionisti su quel confine tracciato con il Trattato di Rapallo (1920) fino a pretendere la piena annessione dell'intera Venezia Giulia.

È a questo punto che l'italianità prende nuova forma nell'esile speranza sostenuta con poche forze dal Cln di Trieste che fa fatica a trovare interlocutori e pure seguito, perchè inzialmente ancora legato ad una visione politica prefascista, fino all'irrompere sulla scena della resistenza italiana del comunista Luigi Frausin che respinge le pregiudiziali annessionistiche slovene e di don Edoardo Marzari che impegna per la prima volta nella storia cittadina la componente cattolica italiana, quella popolare.

Pupo ricostruisce lo scenario internazionale dominato dalle incertezze alleate, l'impotenza italiana e dalla determinazione jugoslava in cui si inserisce l'ambiguità dei comunisti italiani, anzi dello stesso Palmiro Togliatti, che da una parte accarezza l'ipotesi neanche tanto remota di poter dare vita a una qualche forma di governo popolare con l'appoggio dei compagni jugoslavi e dall'altra non può avallare a priori l'annessione jugoslava della regione. D'altra parte il Pci era al tempo stesso partito di governo in Italia e strettamente legato al sistema degli altri partiti comunisti, quello jugoslavo compreso. Ma è pure il dilemma tra le due vie al socialismo: legalitaria o rivoluzionaria. In un momento in cui tutto è duplice, lotta di liberazione, insurrezione, corsa per Trieste, affiora un altro problema: la scarsa attitudine democratica della popolazione cresciuta in un regime politico, dopo una guerra precedente e un sistema, quello austro-ungarico, che si era retto a lungo su un apparato burocratico sì efficiente ma non altrettanto sostenuto da garanzie parlamentari.

Così, se da parte italiana si sfasciava uno Stato e la stessa idea di Nazione risultava pregiudicata, da parte jugoslava (o meglio slovena) si edificava uno Stato nuovo su nuove basi ideologiche fondate nella piena ed orgogliosa affermazione identitaria, di quella identità che il fascismo vanamente aveva cercato di estirpare anche in nome di italiano=fascista, che poi graverà fatalmente sulle sorti degli italiani della Venezia Giulia. Però ora una ideologia di italianità volontaristica era sostituita da una etnicistica in cui la componente italiana sarebbe stata accettata, solo se "onesta e democratica" ovvero della proclamata fratellanza italo-slava ordinata all'interno di un sistema politico comunista jugoslavo, anche perchè la dichiarata rivoluzione si stava trasformando in regime.

Pagine importanti sono dedicate ai giorni dell'occupazione jugoslava, al sistema di repressione messo in atto dall'Ozna – l'epurazione preventiva accompagnata dalle liquidazioni e deportazioni, allo stato d'assedio in cui i cittadini di sentimenti italiani si trovano a vivere mentre per sloveni e comunisti sembrava aprirsi un nuovo orizzonte. Si sa come le cose sono andate con uno stato di guerra che si è prolungato nel tempo, spostando in avanti i termini del dopoguerra giuliano, per effetto dello scontro in armi delle luttuose ideologie del Novecento nella loro pretesa antidemocratica di affermarsi su una società profonda divisa.

Ora che si è detto praticamente tutto, Raoul Pupo suggerisce la necessità di «una storiografia autenticamente postnazionale, intendendo con tale espressione non solo una modalità di ricostruzione del passato che tenga nel debito conto i punti di vista di tutte le parti in causa (…) ma piuttosto la capacità di muoversi senza chiusure mentali all'interno dei diversi contesti nei quali si sono di volta in volta inserite le vicende di un territorio fortemente plurale». Insomma, forse è giunto il tempo per superare le barriere delle storiografie nazionali e rimettere in discussione le categorie interpretative fin qui utilizzate. Senza pregiudizio.

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