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I racconti delle ebree di Fiume scampate ai nazisti (Il Piccolo 13 apr)

«Di tanto in tanto la notte si ripresentano gli incubi. E ancora oggi basta un odore o il rumore di un vagone merci a riportarci indietro nel tempo, agli anni della prigionia a Birkenau. Altrimenti la nostra vita è normalissima». Andra Bucci descrive così, con delicatezza, il suo ritorno alla vita dopo l’inferno del lager ripercorso domenica pomeriggio al teatro Miela in un incontro, organizzato dalla Comunità ebraica di Trieste e dal Museo Carlo e Vera Wagner in occasione del Giorno della Shoah.

Insieme a lei sul palco, la sorella Tatiana che ha condiviso la sua stessa sorte e il giornalista e scrittore Pierluigi Sabatti che ha moderato l’evento dedicato al tema dei ritorni: a chi non è potuto tornare e a chi ce l’ha fatta e a come la Shoah abbia mutato, in tanti casi, il volto stesso dei luoghi e della società. Esempio a noi prossimo, quello di Fiume dove nel ‘38 vivevano quasi 2 mila ebrei. Qui, come ha ricordato Sabatti, la realtà ebraica venne spazzata via dalle persecuzioni nazifasciste per lasciare posto nel dopoguerra a una nuova comunità dalla fisionomia completamente diversa, composta da ebrei provenienti da altri stati della federazione jugoslava.

Proprio da Fiume furono deportate, a quattro e sei anni, Andra e Tatiana Bucci insieme alla mamma. Tutte e tre si salvarono. «Non ci sono molti casi come il nostro», dicono le sorelle. «In famiglia fummo deportati in 13 e tornammo in quattro: ci possiamo ritenere fortunate».

Tornare alla vita per le due sorelline significò però una lunga peregrinazione attraverso mezz’Europa. Da Birkenau, dove vengono liberate il 27 gennaio ’45 dall’Armata rossa, Andra e Tatiana sono portate a Praga dove frequentano la scuola e imparano il ceco, che diverrà la loro lingua segreta da bambine. Da qui arrivano in Inghilterra, a Linkfield, in un centro a cui collabora Anna Freud che accoglie i bimbi vittime della Shoah e solo dopo una permanenza nella serenità di questi luoghi ce la fanno a ricongiungersi con la madre.

Assai diversa la vicenda di Maddalena Werczler, anche lei ebrea fiumana. Espulsa dal liceo a seguito delle leggi razziali e avviata al lavoro coatto ai magazzini generali, scappa insieme alla famiglia dopo l’8 settembre del ’43 per raggiungere Firenze e tentare la via della fuga in Svizzera. Una fuga che solo per miracolo non si risolve in tragedia. «Scendemmo dal treno a mezzanotte e iniziammo a camminare. D’un tratto un colpo di fucile. I passeur che guidavano il gruppo sparirono subito con le nostre valigie e ci ritrovammo soli tra i monti». E’ l’intuito misto a testardaggine della ventenne Maddalena a suggerire una paziente attesa finché le ronde sul confine si diradano ed è finalmente possibile varcare, non visti, la soglia della salvezza.

Racconti come questi sono sempre dolorosi, ha concluso Mauro Tabor, assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Trieste. «Ma il compito della nostra generazione è fare sì che la Memoria di quanto è stato non si smarrisca nell’indifferenza né sia manipolata dai revisionisti o dall’ipocrisia dei buonisti a tutti i costi».

Daniela Gross

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