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Spadaro: integrazione civica per superare conflitti (Il Piccolo 06 lug)

Credo che si debba insistere a gettare luce su alcuni nervi rimasti scoperti, su alcuni grumi di incomprensione e reticenza che ancora disturbano il rapporto di Trieste con il suo passato.

Un dato, confortante, di partenza è che la città ha la capacità di uscire dall’infausto ’900. È un senso comune sempre più diffuso tra i triestini. Un esempio fra tanti: il recente incontro pubblico fra Lucio Toth e Milos Budin, con gli esiti positivi che sono stati sottolineati dai due quotidiani locali. Ascoltare le ragioni dell’altro, cercare insieme prospettive per un comune destino civico, e un comune senso di appartenenza.

Non sottovaluto le inerzie e le reazioni di gruppetti agitati, ma Trieste è cambiata, come ha sottolineato Claudio Magris tempo fa su «Il Piccolo». Siamo in grado di parlarci a Trieste fra schieramenti diversi e opposti, così come fra italiani e sloveni concittadini di una stessa Trieste.

Da questo ottimismo nasce la mia volontà di toccare ed elencare apertamente alcuni punti tuttora delicati e – un po’ sorprendentemente – ancora controversi.

1) La necessaria, faticosa, indispensabile lotta contro il nazifascismo, a cui il popolo sloveno ha dato un massiccio apporto, si chiude a Trieste con il 30 aprile 1945 – è il nostro 25 aprile! – con l’insurrezione cittadina attuata dal Cvl del col. Antonio Fonda Savio e ordinata dal Cln giuliano di don Edoardo Marzari, da cui erano usciti dall’ottobre del 1944, dopo la cattura di Luigi Frausin, i comunisti allineatisi alle tesi annessioniste jugoslave. Dopo, con il 1° maggio 1945, comincia un’altra storia, quella di due Stati. Da una parte c’è l’Italia che si avvia alla democrazia politica, con liberi partiti politici presenti anche nella Venezia Giulia del Gma; dall’altra c’è la Jugoslavia che si organizza rapidamente in Stato a regime comunista, particolarmente duro in quegli anni. In quelle settimane del 1945, Trieste in un certo senso ha dentro di sé tutte e due queste strade, con l’occupazione jugoslava e con i patrioti del CLN perseguitati e tacciati di fascismo. Il dramma di Trieste è questo. Confondere i due tempi (quello della Resistenza e quello dell’organizzazione statale comunista jugoslava) significa infangare la Resistenza antifascista.

2) Carlo Schiffrer, Giani Stuparich, Livio Paladin, assieme a tanti altri, avevano ben chiaro il rapporto fra antifascismo e libertà, fra democrazia e nazione. A Trieste questa è una lunga e solida tradizione. Basta ricordare Gabriele Foschiatti, soppresso a Dachau dai nazisti, e la cui memoria più tardi sarà fischiata da un’estrema destra autolesionista. Sono gli uomini che hanno presentato il volto di una città e di una cultura civile di cui possiamo ben cogliere l’importanza attuale.

3) Il professor Paolo Segatti ha potuto osservare che la stessa persistente ostilità della parte italiana di Trieste nei confronti del bilinguismo cala marcatamente se la questione è impostata in termini di diritti e non di territorio etnico, come nel passato troppe volte ambiguamente si è fatto. È un problema che riguarda tutti; riguarda in particolare la minoranza slovena. Secondo me – e lo dico apertamente – è un nodo da affrontare: la minoranza slovena in Italia si considera un pezzo di Slovenia rimasto fuori dei confini etnico-statali (con un implicito o esplicito sottofondo irredentistico) o si considera una parte significativa, originale ed importante della Repubblica italiana e di una società al cui sviluppo per decenni ha dato un contributo intelligente ed operoso? In questo secondo caso la chiave di volta, per tutti, italiani e sloveni, è «l’integrazione civica», fondata sulla democrazia e sulla ovvia difesa delle varie identità delle persone.

Stelio Spadaro

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