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Per i dalmati di cultura latina la lingua è tutto (Voce del Popolo 10 ott)

La Dalmazia, "un regno immaginario, sempre presente nell’araldica dei reami europei. Nella realtà inesistente. Espressione di volontà di potenza e di rappresentazione di qualcosa che non c’è e vorrebbe essere. E così un po’ siamo anche noi. “Patria vera non ha chi da te è nato”. Dura sentenza quella del Tommaseo. Perché questa è la verità che dobbiamo accettare: che chi nasce in Dalmazia può avere tante patrie". Sono questi alcuni estratti dell'intervento del leader dell'ANGVD, lo zaratino Lucio Toch, al raduno nazionale dei Dalmati a Trieste, che fotografano perfettamente la realtà storica della terra dalmata.

Ma nel suo intervento Lucio Toth punta l'indice su un altro dato di fatto che peraltro accomuna la realtà dalmata a quella di tanti microcosmi dell'Alto Adriatico: "Molti in Dalmazia pensano ancora oggi che la nazionalità sia un fatto di sangue", e che "noi, italiani di Dalmazia, saremmo soltanto dei 'croati italofoni', traditori e collaborazionisti, come si legge nelle sentenze jugoslave". E tirano fuori "la tesi che non siamo italiani – visti tanti nostri cognomi che italiani non sono – ma soltanto italofoni". È la "premessa pseudo-scientifica della discriminazione e della negazione di identità", come se "la lingua, le canzoni, le filastrocche infantili, i canti delle processioni non fossero niente! Sono l’anima di un popolo. La forma del suo pensiero, della comunicazione agli altri dei propri sentimenti, delle proprie idee, delle proprie emozioni. Il Logos, la parola, il verbo. E che altro! Per noi, di cultura latina, la lingua è tutto".

Il raduno dei Dalmati a Trieste, un successo innegabile come i precedenti incontri, deve il grande interesse che è riuscito a suscitare anche al fatto che la tematica storica dalmata, punto d'incontro fra popoli, lingue e civiltà diverse, assume oggi un sapore di straordinaria modernità. L'Europa, l'Italia stessa deve fare i conti con migrazioni di proporzioni quasi bibliche dal terzo mondo, con la sfida dell'integrazione che esalti la cultura e rifiuti in partenza discorsi legati alla razza. E che dire del processo di unificazione europea possibile solo salvaguardando le singole identità. ma anche esaltandone i contatto e le interferenze storiche. Ecco perché, come rileva sempre Lucio Toth, la vicenda dalmata e l’insegnamento che se ne trae non rappresentano un angolo marginale della storia europea, una storia locale tra le tante che hanno segnato il Novecento. Sono al contrario un crocevia di problemi attualissimi come la definizione di una identità nazionale italiana in rapporto a una comune identità europea, passaggio essenziale per costruire un’Europa unita e cosciente della sua unità e del suo ruolo; la capacità di integrazione nelle nazioni europee dei crescenti flussi di immigrazione. Noi siamo stati un esempio straordinario di integrazione e di condivisione di valori comuni".

Per questo, nonostante tutto le difficoltà i dalmati "non temono il futuro". Dai fecondi intrecci del passato emerge anche la strada da seguire nel futuro: l’obiettivo culturale qui si rivela primario. "Essere strumento di conciliazione nell’Adriatico e nell’Europa che si va unificando, adoperando il processo di allargamento della UE non per arroccarci su battaglie di retroguardia – che sono la vocazione dei perdenti – ma per inserirci attivamente in questo processo". E il traguardo diventa la "fratellanza" che non è possibile però "senza riconoscimento reciproco". L'auspicio di fondo è che i dalmati croati siano disponibili ad accettare quelli italiani "come un fattore essenziale della loro storia e della loro identità nazionale". E così si irrobustirà quella koinè storica che è una delle ricchezze della Dalmazia.

Dario Saftich

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