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Palatucci ricordato a Fiume (Voce del Popolo 12 ago)

FIUME – La vita, la figura e le scelte dell’ultimo Questore italiano di Fiume, Giovanni Palatucci, morto a Dachau a soli 36 anni, dopo aver salvato numerosi ebrei dal 1938 al 1944. È questo l’argomento scientifico attorno cui verte il saggio dal titolo “Giovanni Palatucci” opera della connazionale Rina Brumini, che si è aggiudicata il primo premio all’ultima edizione del Concorso d’Arte e Cultura “Istria Nobilissima”, nella Categoria Letteratura, Sezione Saggio di argomento letterario. Nella motivazione al premio si legge: “Pur non appartenendo – in senso stretto – a questa categoria, lo scritto su Giovanni Palatucci (unico testo pervenuto) viene proposto, all’unanimità, dalla Giuria per il Primo premio, in considerazione non solo della puntualità e ricchezza della documentazione, ma anche della qualità del tratteggio dell’ambiente e dei personaggi e dell’incisività del racconto”.

In realtà, questa è la seconda volta che Rina Brumini ottiene il primo premio al Concorso principe delle nostra realtà comunitaria. La prima risale al 2009, con “Gli Ebrei di Fiume”, saggio di carattere storico umanistico, con la quale la studiosa e ricercatrice fiumana inquadrava la comunità ebraica a Fiume, illustrando i tempi e le modalità della formazione.

Il percorso formativo della Brumini è variegato; dopo l’abituale iter scolastico con l’asilo, le elementari e le medie italiane, ha frequentato per alcuni anni la Facoltà di Medicina a Fiume, per decidere, poi, per una completa trasformazione: lasciati da parte l’anatomia e i bisturi, si è trasferita a Bologna, nella più antica Università al mondo, dove si è laureata in Lettere moderne con una tesi in storia. Attualmente lavora presso l’ufficio di Amministrazione dell’Unione Italiana. Confessa di amare il musical e sogna di potersi occupare intensamente di ricerca storica. Raggiunta per l’occasione ecco cosa ci ha raccontato:

“Sono emozionatissima per aver ottenuto questo premio – esordisce Rina Brumini, incontrata per una breve chiacchierata –. Primo, perché significa che è stato riconosciuto l’impegno e l’analisi documentaria che ho realizzato, e secondo perché si tratta di un argomento che merita l’attenzione di ciascuno di noi”.

Com’è formulato il saggio?

“Il saggio ha un piglio leggermente polemico, circostanza dovuta in parte al tempo quando è stata concepito, tra febbraio e aprile, quando ci sono tre ricorrenze importanti che toccano la vicenda esistenziale di Fiume: il Giorno della Memoria, lo Yom HaShoah – che è il giorno in cui il popolo ebraico commemora le vittime dell’olocausto – e la Giornata della liberazione di Fiume. Il saggio si apre e si conclude con il quesito se non sia il caso di valorizzare la memoria civile di Giovanni Palatucci, attribuendo il suo nome a una via o una piazza della città. Nella parte centrale si racconta invece della vita di Palatucci”.

Come mai proprio il Questore italiano di Fiume?

“Nessuno può rimanere indifferente alla storia di questo personaggio. La prima volta che mi ci sono imbattuta, da studentessa, ero in sinagoga a sentire la relazione della prof.ssa Ines Grgurina, rientrata dagli Stati Uniti, dove aveva fatto delle ricerche su Palatucci, al Museo di Washington. Fin da subito ne sono rimasta affascinata. Per la necessità della tesi di laurea ho rivisitato Palatucci attraverso i testi di autori pubblicati sulla rivista di studi adriatici ‘Fiume’. Poi, ancora a Bologna, ho conosciuto il professor Silvano Torri, che mi ha passato un episodio del documentario ‘La storia siamo noi’, in cui ho visto l’approccio storico sobrio e profondo alla vicenda del Palatucci, ad opera dello studioso e ricercatore di storia contemporanea Marco Coslovich. Anni dopo ho scoperto un libro, sempre di Coslovich, proprio sul Palatucci. L’ho considerato un segno. E l’ho scelto come base del mio lavoro. Naturalmente la bibliografia è piuttosto ricca, sono tanti gli autori che si sono occupati della vicenda e altrettanti del periodo storico”.

Che cosa intende dire per “Nessuno può rimanere indifferente alla storia di Giovanni Palatucci”?

“Penso che quest’uomo abbia avuto una vita particolare e per certi versi anche affascinante. Mi spiego meglio: dal profondo Sud d’Italia è andato via da casa per studiare giurisprudenza a Torino. Una volta laureato ha trovato impiego alla Questura di Genova. A seguito di una gaffe dovuta all’età verde e probabilmente al senso di giustizia giovanile, è stato allontanato, dislocato al confine orientale d’Italia, ovvero a Fiume. Ha chiesto diverse volte il trasferimento, ma la congiuntura storica e l’antagonismo dei diretti superiori nei suoi confronti glie lo hanno impedito. Insomma, per dirla come va detta, Fiume proprio non gli piaceva”.

Però, nonostante tutto, rimase a Fiume?

“Esatto. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando i tedeschi si sostituirono agli italiani, in Questura non c’era più nessuno che per istruzione o anzianità superasse Palatucci. È il momento in cui assunse la reggenza della Questura di Fiume. Tralasciando in questa sede di approfondire il discorso del salvataggio di ebrei stranieri, praticato ancora all’epoca quand’era solo a capo dell’Ufficio stranieri in Questura, mi sono concentrata sulle motivazioni del suo arresto. Tante sono le testimonianze che documentano i salvataggi che per merito suo, diretto o indiretto, sono stati attuati. Le spie tedesche e i servizi segreti intuivano certamente qualcosa, tanto da perquisire casa sua”.

Che cosa trovarono?

“Trovarono un documento denominato ‘Memorandum Rubini’. Giovanni Rubini era un notabile fascista dell’epoca con il quale Palatucci intrattenne rapporti d’amicizia. Personaggi del calibro di Rubini e Riccardo Gigante, per esempio, nel timore di una vittoria comunista, elaborarono un piano, il cosiddetto ‘Memorandum Rubini’, nel tentativo di trovare una soluzione alternativa all’assorbimento di Fiume da parte jugoslava. In sostanza, rappresentava il disegno per la creazione di uno stato autonomo ‘liburnico’ di carattere italiano. Copia del progetto autonomista, debitamente tradotto in lingua inglese, fu trovata dalla polizia tedesca in casa di Palatucci e costituì, quindi, la motivazione ufficiale per il suo immediato trasferimento alle carceri del Coroneo a Trieste e la successiva deportazione al campo di concentramento di Dachau. Una possibile lettura potrebbe essere la metamorfosi da giovanotto che vuole svignarsela da un posto indesiderato, dov’è costretto a risiedere per servizio, adducendo addirittura che la sua permanenza a Fiume ostacolasse il suo futuro coniugale, nel senso che non riusciva a trovare moglie, a fautore della causa indipendentista”.

Quali le sue conclusioni su questa figura?

“Fiume ha una lunga storia di ambizioni indipendentiste combinate al cosmopolitismo e alla tradizionale accoglienza. Questi fattori hanno sicuramente condizionato la maturazione da giovane amante della bella vita a uomo adulto e responsabile, cosciente che il regime aveva mancato e deluso gli obiettivi, dallo spirito cristiano nel senso più elementare del concetto e con un ferreo senso etico di giustizia”.

Su che cosa sta lavorando attualmente?

“Mi piacerebbe poter unire la storiografia alla geografia, in modo da descrivere gli spostamenti pre e postbellici gravitanti attorno a Fiume. È strano, ma sembra che nessuno sia residente a Fiume da più di tre generazioni. Sarebbe interessante mettere in rapporto le migrazioni con gli eventi storici che hanno caratterizzato queste terre”.

Gianfranco Miksa

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