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Neresine ed il suo ”genius loci” (La Voce del Popolo 21 giu)

Fiume, ore diciassette si parte con destinazione Neresine. Il nome è per me tutto un programma: una località che mi riporta al paese natale del grande padre Flaminio Rocchi, che non ho mai avuto il piacere di conoscere, ma il cui nome aleggia in tutti gli ambienti degli esuli istriani fiumani dalmati. La località è importante inoltre per aver dato i natali alla famiglia Lucchi (e tutte le varianti dello stesso cognome) quindi anche a Patrizia (Pat per gli amici che come me e lei sono membri del gruppo di discussione in internet Mailing list Histria). L’occasione di andare a Neresine mi è stata offerta dalla stessa Patrizia che, instancabilmente, porta alta la bandiera: un’ambasciatrice nel mondo di questa piccola perla del Quarnero.
Tre chiese: quella della Madonna della Salute (D.O.M. B.V. SALUTIS – In omaggio alla Madonna veneziana), quella di SanFrancesco e quella di San Giacomo. Ma non manca la devozione a Sant’Antonio. Tre mulini, tre palazzi, tre porti… qui tutto è trino, forse una volontà o un destino ancestrale.
Arrivando in auto il paese lo si scorge un po’ alla volta, ma mai fino in fondo. Rimane sempre qualcosa da scorgere.
Le mie pressanti richieste d’informazioni non danno tregua alla guida che, come un fiume in piena mi travolge. Ad un certo punto non riesco più a seguire tutte queste storie e questi personaggi che s’intrecciano. Chiedo venia e rimandiamo tutto al giorno dopo. Cena a base “de brodetto de pesse e verdura cota”.
Al mattino, perlustrazione di tutte le spiagge e baie possibili (non si sa mai, dovessi convincere le mie donne che a casa mi aspettano a condividere questi luoghi). Spiagge incontaminate. Acqua che solo a guardarla vien da chiedersi se il mare Adriatico esista soltanto nella sua sponda orientale. I colori variano dall’azzurro turchese al verde smeraldo. Colazione al bar Studena in piazza, non prima di aver cambiato un po’ di kune per garantirmi l’acquisto di un souvenir per la me “picia”.
La piazza appena rinnovata a maggio, è un quadretto romantico che ricorda alcune scene delle commedie goldoniane. Palazzi freschi di vernice e grandi alberature per la calura estiva. Il giallo ocra ed il rosso veneziano delle facciate è intervallato da tenui tinte in verde ed azzurro. Un salotto che ricorda un po’ Cherso, un po’ Lussino, un po’ Ossero, forse nessuna di queste. È Neresine e basta.
Arriva poi il turno dei Camalich o Kamalich, il grande Costante che a fine Ottocento (un architrave sul portone d’ingresso porta la scritta I.H.S – 1895) si fa arrivare da Venezia un leone in pietra a sigillo del palazzo, uno dei più belli del paese, anche lui in tinta rosso veneziano, poco distante una piccola edicola dedicata a Sant’Antonio, con il desiderio che preghi per tutti noi.
Ultima tappa il cimitero, dove la tomba monumentale dei Zorovich ci accoglie. Strana la sua collocazione “extra moenia”. Patrizia mi spiega le vicende dell’epoca e capisco come a fine ‘800 le questioni linguistiche e nazionalistiche abbiano iniziato ad intrecciarsi e a complicare i normali rapporti tra i paesani.
Il campanile del convento, in pietra bianca (di ottima fattura) ci ricorda che siamo in uno dei luoghi spirituali più significativi dell’isola. Passiamo in rassegna le principali tombe monumentali e non, e risorge tutta la storia dei neresinotti: i vari Bracco, Marinzulich, Lucchi – Lekic, Camalich- Kamalich, ricordati da tantissimi velieri di pietra che sembrano navigare in eterno. Accompagnato dall’insostituibile cicerone d’occasione, riesco vagamente a capire un po’di più dello spirito di queste terre.

Daniele Milan

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