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Nel FVG non ci sono conflitti fra le comunità (Il Piccolo 11 dic)

di MARINA CATTARUZZA

La Libreria Editrice Goriziana ha pubblicato i risultati di un interessante progetto di ricerca, condotto con fondi dell’Unione Europea nell’ambito del programma Interreg della Regione Friuli Venezia Giulia dal sociologo dell’Università di Milano Paolo Segatti assieme a un team di collaboratori: ”Lingua e identità in una regione plurale. Il punto di vista di friulani, giuliani e sloveni”.

Poiché finora i risultati del progetto sono passati quasi del tutto inosservati, forse anche per il carattere alquanto tecnico della pubblicazione, non mi sembra inutile svolgere alcune – sia pure tardive – riflessioni sui risultati dell’inchiesta, che presentano elementi di eccezionale interesse rispetto alle chiavi di lettura consolidate della nostra realtà regionale.

Scopo del progetto di ricerca, intitolato “Euroregion Identity”, era la mappatura, attraverso l’uso di interviste e di sofisticati strumenti statistici – a garanzia della rappresentatività del campione preso in esame – dei profili identitari compresenti e reciprocamente interagenti nelle province di Udine, Pordenone, Gorizia e Trieste. La ricerca è stata integrata da analoghe interviste svolte nell’area slovena di confine ed è stata svolta a livello operativo dall’istituto Swg.

Il problema centrale di cui si sono occupati Segatti e il suo team è dato dal ruolo della lingua come elemento costitutivo di identità, al modo in cui la lingua interagisce con altri fattori (in primo luogo l’orientamento politico) e il grado di diffusione di identità complesse e multiple, in cui, per esempio, una forte identità friulana sia compatibile con il senso di appartenenza allo Stato italiano. Il tipo di approccio scelto è di tipo chiaramente costruttivista, secondo cui, per dirla con Roger Brubaker, «l’etnicità è fondamentalmente non una cosa nel mondo, ma una prospettiva sul mondo». Come tale, essa è un fenomeno di carattere dinamico, soggetta a processi di attivazione e di ridefinizione. La realtà regionale è un terreno particolarmente favorevole per un’indagine di questo tipo, in quanto il Friuli Venezia Giulia è contraddistinto, rispetto alle altre regioni italiane, da uno spiccato plurilinguismo.

Mentre le interviste-campione nelle province di Udine e Pordenone ruotavano attorno al giudizio sulla legge regionale per l’introduzione del friulano come materia di studio e lingua di insegnamento nelle scuole del Friuli (successivamente bocciata dalla Corte Costituzionale), al centro delle interviste a Gorizia e Trieste stava il modo in cui gli intervistati percepivano se stessi e la propria collocazione in un contesto plurilinguistico. Rispetto ai risultati ottenuti nelle provincie di Pordenone e Udine (e, in parte Gorizia), forse il dato più interessante è rappresentato da una consistente minoranza favorevole all’introduzione del friulano come materia scolastica obbligatoria. Tuttavia sarebbe errato interpretare tale scelta come indicatore di un’identità regionale esclusiva (magari con tendenze separatiste), in quanto solo percentuali assai ristrette di intervistati affermavano di sentirsi esclusivamente friulani. Tra questi, infine, solo una parte ridotta si esprimeva a favore del diritto di autodeterminazione per il Friuli. La maggioranza si collocava invece in una gamma che andava dal sentirsi solo italiano fino a “tanto italiano quanto friulano”.

Un quadro analogo emerge riguardo i profili identitari delle provincie di Gorizia e Trieste riscontrati tra intervistati di lingua italiana e, rispettivamente, slovena. Contrariamente all’immagine tuttora diffusa della minoranza slovena come corpo separato e fortemente compatto al suo interno, le interviste forniscono invece un quadro estremamente variegato, in cui quasi il sessanta per cento alla domanda di come si senta, dà risposte che vanno da “tanto sloveno quanto italiano” fino ad un 16,1 per cento che afferma di sentirsi solo italiano. Solo il venti per cento si definisce invece “solo sloveno”.

Anche altri indicatori del complesso questionario forniscono uno spaccato degli abitanti delle due provincie come relativamente ben integrati nello Stato di appartenenza, con differenze non sostanziali tra i gruppi linguistici italiano e sloveno. Sorprese riservano anche le risposte aggregate degli abitanti del Friuli Venezia Giulia e, rispettivamente, delle zone confinarie della Slovenia, concordemente a favore dell’istituzione dell’Euroregione e di una maggiore integrazione economica e dei trasporti tra Italia e Slovenia, compreso un più stretto raccordo tra i porti di Trieste e Capodistria, in netta controtendenza, qui, rispetto alla politica del governo sloveno. Infine sia a Trieste che a Gorizia si auspica una maggiore integrazione tra gli italiani e gli sloveni che vivono sul territorio italiano. Significativamente, maggiori contatti tra i gruppi linguistici sono sostenuti con particolare vigore dagli intervistati di lingua slovena.

Nel complesso, le rilevazioni condotte senza far riscontrare differenze di rilievo nei risultati nel 2006 e nel 2008 rimandano ad una realtà sostanzialmente non conflittuale nei rapporti tra le diverse componenti linguistiche della regione, con un atteggiamento diffuso di apertura nei confronti del rispettivo vicino, nonostante l’inevitabile permanere di pregiudizi da parte di una minoranza. Secondariamente, i dati statistici raccolti ed elaborati da Paolo Segatti e dal suo team confermano quanto sia ingannevole la percezione di “italiani” e “sloveni” come blocchi contrapposti, definiti in primo luogo sulla base dell’appartenenza etnica. In realtà, l’uso linguistico va correlato con diversi altri indicatori ed anche all’interno dei milieu politici gli atteggiamenti nei confronti dei concittadini di madre lingua diversa dalla propria risultano quanto mai variegati.

Una contestualizzazione definitiva di tali risultati si presenta alquanto difficile, dato che mancano sondaggi analoghi per il periodo antecedente al 2006. Non è quindi possibile ricostruire tempi e modi di questo processo di avvicinamento e integrazione, ma solo fotografarne il temporaneo punto di arrivo. Resta aperto il problema di come tale processo si sia svolto e quali ne siano stati i fattori determinanti (passaggio alla democrazia in Italia, istituzione della Regione autonoma, definizione del confine nel 1954 e nel 1975, dissoluzione della Jugoslavia, transizione democratica in Slovenia, ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, accesso nello spazio di Schengen).
In ogni caso, non si può non concordare con Paolo Segatti, quando al termine dell’esposizione di questi risultati commenta che il mondo dei cittadini e quello della politica sembrano due mondi diversi e non comunicanti. Tale dato di fatto si riflette per esempio nelle risposte alla domanda sulle cause del conflitto tra italiani e sloveni, identificate, a destra e a sinistra, nel Friuli Venezia Giulia e nella zona confinaria slovena, da intervistati con un basso e con un alto livello di pregiudizio nei “politici italiani e sloveni che alimentano il contrasto per prendere qualche voto”.

Sul campione complessivo tale risposta è fornita dal 75,6 per cento degli intervistati. Solo il 15,9 per cento ritiene invece che i contrasti tra i due gruppi siano tuttora profondi anche sul piano personale. I cittadini intervistati presentano, nel complesso, un atteggiamento sorprendentemente pragmatico e aperto nei confronti delle nuove prospettive apertesi con l’allargamento dell’Europa ad est che non trova corrispondente riscontro tra i politici dell’area frontaliera.

Anche il tema così frequentemente (e talora ossessivamente)agitato delle memorie divise e conflittuali non pare incidere in modo particolare sull’atteggiamento della maggioranza degli abitanti del Friuli-Venezia Giulia, né pare influenzarne in maniera determinante la percezione dell’”altro” gruppo linguistico. Sembrerebbe quindi che tradizionali temi di agitazione di matrice nazionalista (slovena e italiana) riescano a mobilitare solo una minoranza del proprio gruppo di riferimento e che le scelte di carattere politico e i comportamenti elettorali dei singoli avvengano anche nella nostra regione in larga misura per motivi che esulano ormai dalla problematica nazionale.
“Euroregion Identity” potrebbe quindi offrire ai politici di qua e di là del confine più di un motivo di riflessione, stimolando l’elaborazione di nuove strategie retorico-discorsive maggiormente in sintonia con le aspettative e le sensibilità attuali del proprio elettorato.

 

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