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Fiume, il battesimo del Novecento (Il Giornale 13 dic)

di Giordano Bruno Guerri*

Se l'impresa di Fiume ap­partenesse alla storia di altri Paesi, verrebbe ri­cordato spesso, e an­che celebrato, come un'avventura epica, straordina­ria. In Italia, invece, tendiamo a nasconderla o a trattarla con leg­gerezza, quasi fosse una vergo­gna. Non lo fu, anzi: oltretutto, comportò il passaggio all'Italia della città, poi purtroppo persa con la Seconda guerra mondia­le. E fu un episodio che merita di essere ricordato anche soltanto per l'entusiasmo e la purezza di molti suoi partecipanti, che ci andarono con vero spirito di amo­re, insieme patriottico e rivolu­zionario.

Invece, l'impresa fiumana è stata vista per lo più come un'an­ticipazione del fascismo, una specie di preludio alla marcia su Roma. Fu anche questo, nel sen­so che Mussolini capì da quel­l'azione la possibilità di sfidare con la forza lo Stato e vincerlo. Il duce prese da d'Annunzio riti, miti, modi e slogan, ma il rappor­to con il fascismo finisce qui. Esi­ste, piuttosto, una documenta­zione ricchissima su quanto Mussolini si sia tenuto lontano dall'impresa, pur sostenendola dal suo giornale; e su come ab­bia raccolto fondi destinati alla «Città Olocausta», che poi sarebbe riuscito a tenere, in gran parte,per sostenere il fascismo.E celebre la lettera speditagli da d'An­nunzio, piena di accuse, che il duce pubblicò tagliata e rimonta­ta in modo che sembrasse una lettera di lode.

Ancora una volta – come pri­ma e durante la guerra – d'An­nunzio era diventato il sacerdote di una religione della patria, mistica e popolare insieme. Mol­ti gli credettero quando diceva che era possibile far rivivere la magnificenza italiana. Il suo eroi­smo in guerra aveva colmato l'abisso fra masse e intellettuali, e lo aveva reso attendibile più di qualsiasi uomo politico, perché alla politica aveva portato la spiri­tualità e l'eroismo che mancava­no agli uomini di governo. Si ca­pisce dunque come il dannun­zianesimo acquisisse ulteriore fascino, al termine di una lunga e non improvvisata gestazione, presso molta parte della borghe­sia. Era la borghesia a trovare in lui, prima che iniziasse a brillare l'astro di Mussolini, l'Uomo capace di offrire al Paese sogni di gloria e di grandezza collettiva.

Anni prima il Vate aveva scrit­to, pensando a sé come a un con­dottiero del Rinascimento: «Ve­ramente, nella nostra anima mo­derna, l'amore della città da for­zare e da prendere è smarrito. Immagino il lampo della cupidigia nell'occhio del venturiero quan­do, allo svolto d'una via, al varco d'un monte, appariva la faccia della città promessa. Certi capita­ni dovettero conoscere una sor­ta di lussuria ossidoniale». Il 12 settembre del 1919, alla testa dei suoi «legionari», occupò Fiume sfidando, oltre al governo italia­no, tutte le maggiori potenze mondiali, che avevano deciso di assegnare la città adriatica alla Jugoslavia.

D'Annunzio terrà la città per sedici mesi, nonostante l'asse­dio dell'esercito italiano, e appli­cò tutta la sua fantasia per dare nutrimento a legionari e cittadi­ni, per esempio inventando gli «uscocchi», che individuavano navi cariche di materiale utile al­la sopravvivenza della città e – ve­ri pirati moderni – le deviavano verso Fiume. Poi, nel dicembre del 1920, Giolitti sentì venuto il momento di interrompere l'im­presa con la forza. E forza fu, con decine di caduti da entrambe le parti, morti non ricordati dalle patrie memorie, perché in Italia si rinnega volentieri di avere avuto delle guerre civili, dal brigan­taggio post-unitario a quella che concluse la Seconda guerra mondiale.

Quanto al desiderio di d'An­nunzio di conquistare il potere a Roma, di certo ambiva a diventa­re il duce dell'Italia prima anco­ra che la parola diventasse così di moda, ma senza un piano stra­tegico preciso. Pensava che un giorno il re non avrebbe potuto far altro che convocare lui. Aspet­tò anche dopo Fiume, invano: Mussolini vinse, conlesuesupe-riori capacità politiche e con l'uso della violenza.

Ben più degli aspetti politici, di Fiume è interessante l'aspetto sociale – rivoluzionario in senso libertario – riscoperto negli ulti­mi anni soprattutto dopo il sag­gio di Claudia Salaris Alla festa della rivoluzione (il Mulino). Fiu­me fu anche un esperimento di libertà, di un modo nuovo di in-tenderela vita, con maggiore au­tonomia e libertà personale: di comportamento, di sessualità, di visioni del mondo. Oltre alla Lega di Fiume, che doveva unire i popoli oppressi, d'Annunzio promulgò la «Carta del Carnaro», ovvero la nuova Costituzio­ne, scritta insieme al sindacali­sta rivoluzionario Alceste De Ambris. E una delle Costituzioni più avanzate dell'intero Nove­cento, e basti dire che prevedeva il suffragio universale, la valoriz­zazione dei giovani, il federali­smo, il multietnismo, la cultura, la bellezza, la musica come beni fondantie irrinunciabili di un po­polo.

A Fiume l'arte si faceva gioco, la politica diventava bellezza scanzonata e acrobazia, mentre si conduceva l'esistenza in un vi­talismo che aveva molto del godimento dissipato e moltissimo del nichilismo frenetico. Tra la folla di eroi e spostati, d'Annun­zio accolse nel suo entourage ta­lenti inquieti che alimentavano i loro sogni di rinnovamento mo­rale e di diversità attingendo al fe­condo braciere del Vate. A buon diritto d'Annunzio poté entusiasmarsi per avere plasmato la sua città ideale, dove tutto poteva es­sere sperimentato e l'avanguardia non aveva limiti all'espressio­ne. Intorno a sé aveva figure biz­zarre e fuori dall'ordinario, uo­mini d'azione, idealisti senza niente da perdere, milionari in cerca di emozioni e giovani che si presentavano a lui come da­vanti a un oracolo. «La sorte mi ha fatto principe della giovinez­za sulla fine della mia vita», mor­morò un giorno Gabriele, beato.

E un bene che negli ultimi me­si siano usciti, oltre a un'edizio­ne de La Carta del Carnaro (Castelvecchi Editore), ben tre ro­manzi ambientati nella Fiume dannunziana. E uscito in questi giorni anche Fiume. L'ultima im­presa di d'Annunzio (Mondado­ri, pagg. 238, euro 23), un bel volume fotografico, di grande for­mato, cui il Vittoriale ha contri­buito, e che contiene anche deci­ne di fotografie provenienti dal­le famiglie dei reduci, quindi inedite. Ottime anche l'introduzio­ne e le schede che inquadrano i numerosi argomenti: tutte tran­ne una, quella sul «poeta-solda­to»; accurata nell'elencare i meriti letterari, militari, sociali, esteti­ci e creativi del Vate, abbonda di ironia sugli aspetti erotici e sul comportamento economico di d'Annunzio: è un cliché usuale, scontato e ammuffito, e non tie­ne conto che -anche in quegli aspetti- il poeta fu un anticipatore della vita contemporanea: la nostra. Peccato per la scivolata, ma ben venga il nuovo libro. Il Vittoriale è particolarmente inte­ressato a questi studi, che ha so­stenuto, sostiene e sosterrà in modo sempre più sostanzioso.

A Gardone Riviera, dentro al Vittoriale, abbiamo un Archivio fiumano che ovviamente è il più importante al mondo, anche perché d'Annunzio portò qui gran parte delle sue carte di ca­po dello Stato, comprese quelle ministeriali. Oltre a migliaia di fotografie ancora su lastra e mai tolte dalla carta velina che le av­volge, esistono le schede dei le­gionari e infinite curiosità docu­mentarie. L'Archivio fiumano, sempre a disposizione degli stu­diosi, è in corso di riordino e di digitalizzazione, e sarà intera­mente consultabile via internet. Insomma: proseguano, accele­rati, gli studi. Ma l'impresa ha bi­sogno di essere conosciuta an­che popolarmente, e credo che su Fiume si debba realizzare un film. Non un documentario co­me ne esistono già, bensì un ve­ro film cinematografico o televi­sivo: perché è una storia fantasti­ca e romanzesca, da trarne mille trame appassionanti e di succes­so. Il Vittoriale, fornirà ogni possibile aiuto.

*Presidente del Vittoriale degli Italiani

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