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Il profumo del mio paese (Gente di Gallesano nov 09)

di Marcella Matticchio

Torno spesso nella terra che da sempre ho sentito mia avendo ca­pito che nelle mie vene scorre san­gue Gallesanese. Fin dalla prima volta che vi ho messo piede, da piccola, ho sentito subito che c'e­ra qualcosa di magico tra me e il borgo, un sentimento profondo, intenso, specialmente nell'aria. Crescendo poi mi sorpresi più volte a chiedere a mia mamma: «Quando torniamo a Gallesano?» quindi capii che da sempre avevo in me la Gallesanità. E' stata lei ad accompagnarmi e nelle difficoltà quotidiane. Ripensando a quel luogo a me caro mi fa stare bene e guai a chi me lo tocca. Mi ricordo che un giorno, forse per l'ennesima volta, ripetendo a mia mamma la stessa domanda, lei mi rispose: «Se vuoi possiamo andare questo venerdì e torniamo domenica, perché vado a prendere la nonna». Ed io senza un attimo d'esitazione dissi subito «Sì». No­nostante fossi consapevole che andarci solo per un fine settimana sarebbe stato una faticaccia im­mane (io abito a seicento chilome­tri da quel piccolo mondo), ci vol­li andare lo stesso e così feci com­pagnia alla mamma per il viaggio. Arrivammo verso sera di venerdì, uscimmo tutti a mangiare al risto­rante, e poi a letto perché la stan­chezza del lungo viaggio si faceva sentire. Il sabato passò velocemente, in giro per salutare gli amici divertendomi in loro compagnia. La domenica mi alzai di buon mattino fermamente deci­sa di rifarmi del tempo perduto. Anche se nel mio cuore sapevo d'essere lontana da casa provai la sensazione che le mie radici affondassero nella terra d'Istria e solo a Gallesano mi sentivo a mio agio. La mattina della partenza ero triste e malinconica, solo allo­ra compresi che oltre ad aver ere­ditato da mio nonno il suo patri­monio genetico e il nome, lui mi aveva trasmesso qualcosa di im­mensamente più grande: l'amore per la «sua terra»e con lei un'in­guaribile malattia che si chiama «nostalgia».

Mi sedetti sulla soglia della vec­chia casa del nonno e incominciai ad inspirare profondamente l'aria e i profumi del mio paese al punto che mia madre mi domandò se mi sentissi male. E quando le risposi di no, lei mi sollecitò: «Ma che fai ancora lì seduta spicciati che è quasi ora di partire.» E io: «La­sciami il tempo di immagazzinare immagini, suoni e i colori della mia terra, voglio inebbriarmi del profumo del mio Paese, il soffio della bora, l'odore dei pini e quel­lo salmastro del mare affinché ri­mangano per sempre dentro di me e nessuno potrà più portarmele via.».

Caricammo i bagagli e partimmo. E mentre guardavo Gallesano sbiadire in lontananza capii che, per il resto della giornata, la tri­stezza avrebbe preso il suo posto dentro di me. Allorché vidi la casa di mio nonno allontanarsi mi ven­ne in mente il ritornello della can­zone che cantava quand'ero picci­na: «Ti porto sempre nel cuor, ca­setta del mio paese / dove vivevo felice e senza aver pretese. / Il campanile della chiesa come un amico gentil /mi svegliava al mattino con la campana festosa». E con queste parole nell'anima sa­lutai il mio paese. Da allora ogni volta che parto ripeto la stessa sol­fa: «Addio mio picio Galisan, non so quando ci rivedremo ma, non temere, ritornerò: Questo non è un addio ma un arrivederci ! » 

 

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