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Mons. De Antoni: 10 anni a Gorizia (Il Piccolo 11 ott)

di ROBERTO COVAZ

La caduta del confine con la Slovenia e il libero accesso a Nova Gorica è il dato da cui partire in questa intervista in esclusiva per il Piccolo a monsignor Dino De Antoni, nel suo 10° anniversario dalla consacrazione episcopale.

C’è ancora molta strada da percorrere per superare le barriere mentali. È d’accordo?

Difficilmente cadranno in tempi brevi. È stato un momento importante la caduta del confine, ma un gesto non cambia la storia. Tuttavia permette di guardare al futuro con maggior ottimismo. Penso alle relazioni più intense tra Gorizia e Nova Gorica. Quanto ai rapporti con la Chiesa di Capodistria essi erano già ottimi prima. Da tempo si celebra assieme la festa di Concordia e Pax al santuario di Montesanto. E dalla scorsa estate ogni domenica a Montesanto si celebra una messa in italiano, perché la chiesa ha dimensioni universali.

In che modo può agire la Chiesa locale per aiutare ad abbattere i muri interiori di cui lei accenna?

Non si può cancellare la storia né far cadere nell’oblio vicende che hanno segnato la vita di tante persone. Quando partecipo alla celebrazione dei deportati dico che il perdono è la dimensione fondamentale della vita di un uomo. Perdono non significa dimenticare o nascondere, ma voler costruire qualcosa di nuovo.

Il problema principale di cui sembra soffrire Gorizia appare essere la marginalità. La avverte anche lei?

La marginalità è legata al fatto di essere stata per 60 anni ai confini. Nei miei primi anni della mia presenza a Gorizia, quando incontravo confratelli italiani di città mi guardavano come se fossi vescovo al confine del mondo. I presuli stranieri poi non sapevano nemmeno dove fosse Gorizia. Un secondo motivo di marginalità è che Gorizia ha faticato a cambiare la sua natura di capoluogo di una grande provincia , vedendo, dopo la seconda guerra mondiale, il suo territorio ridotto ai minimi termini. Quando arrivai dieci anni fa, mi sorpresi che Gorizia non avesse un polo industriale. Io sono figlio di pescatori e i pescatori non sono programmatori, la cosa non avrebbe dovuto sorprendermi. Ma pure provengo dal Veneto dove l’industria ha giocato un ruolo fondamentale per lo sviluppo negli ultimi cinquant’ anni. Qui invece non è stato programmato uno sviluppo industriale che avrebbe permesso a Gorizia di essere meno marginale e più attiva.

La città sembra indugiare anche troppo nella ricerca di una vocazione. Secondo lei qual è?

Cultura e arte. Gorizia vanta due sedi universitarie, sedi culturali di istituti di prestigio quasi Iisg, Issr e Icm, e altre eccellenze con èStoria, che è la manifestazione in grado di lanciare la città a livello nazionale.

Nella nostra variegata diocesi non c’è solo Gorizia. C'è Monfalcone e il suo territorio che hanno una storia legata alla Serenissima al contrario dell'asburgica Gorizia. Radici che hanno inciso nel passato a differenziare in modo netto le due città, che ora – a fatica – pare abbiamo trovato un'unità di intenti. Come legge questa diversità tra le due città?

Monfalcone è la città nel territorio; essa ha infatti tutti i problemi della città moderna: industria, marginalità, immigrazione rilevante che il tessuto sociale assorbe talvolta con fatica; la città dei cantieri spinta dalle circostanze ha saputo mantenere la sua cultura di città del lavoro, aperta alle novità. Monfalcone e Gorizia possono, anzi devono andare d’accordo, tenendo conto della loro diversa vocazione storica.

Monfalcone ha dato sempre prova di integrazione e tolleranza, ma negli ultimi dieci anni sono arrivati moltissimi musulmani. C’è un’insicurezza percepita. La Chiesa a Monfacone come vive questa situazione?

La Chiesa alimenta i tentativi di integrazione soprattutto con i ragazzi. La comunità cristiana si impegna ad aiutare quelli stranieri, facilitando l’integrazione. Anche perché nel giro di una o due generazioni noi avremo problemi di meticciato e questo fenomeno va affrontato e preparato con serenità.

Davanti a una richiesta da parte della comunità musulmana di disporre di una moschea a Monfalcone lei cosa risponderebbe?

Se la richiesta venisse fatta legittimamente, penso che non si può negare la possibilità di offrire loro un luogo del culto, dell’incontro sociale, così come loro intendono la moschea.

Sul fronte degli immigrati la nostra provincia è pesantemente gravata dalla presenza del Cie di Gradisca e dalla Caritas di Gorizia. Cosa pensa del Cie?

La comunità diocesana ha accolto migliaia di clandestini. Alla Caritas avevamo 150 volontari nel centro San Giuseppe di Gorizia in una struttura al limite dell'agibilità. Avevamo chiesto al prefetto De Lorenzo di tutelarci per eventuali conseguenze penali. Ci assicurò che avrebbe firmato un permesso ma non l’ha fatto. Anche adesso abbiamo solo un tacito accordo con l'attuale prefetto Marrosu. C'è poi la grave situazione del dormitorio Faidutti dove ci sono trenta ospiti. Siamo al limite, noi facciamo il massimo. Per quanto riguarda il Cpt per un anno, prima della sua apertura, all’interno della comunità cristiana ci fu un ampio dibattito. Non venne stilato alcun documento ufficiale, perché al nostro interno c’erano anime contrapposte. E quel silenzio ufficiale deluse, forse, sia gli uni che gli altri. Il problema però resta. Lo Stato dovrebbe cercare soluzioni che permettano una giusta accoglienza di queste persone nel rispetto della loro dignità. Certo non esistono soluzioni semplici per arginare l’immigrazione.

Lei ha fatto riferimento al silenzio ufficiale della Chiesa goriziana sulla vicenda del Cie. Ecco, talvolta si ha l'impressione che nelle omelie dei sacerdoti della diocesi si ignorino i problemi dell'attualità che ci circonda. Perché?

La Chiesa fornisce dei criteri di giudizio, se agisse altrimenti si potrebbe pensare che i cristiani non siano sufficientemente intelligenti da formarsi un’opinione personale. È il Vangelo che ci dice ciò che dobbiamo fare. Scendere nel particolare potrebbe far correre il rischio di manipolare la coscienza dell’individuo. Il misurare le parole e non cadere nella strumentalizzazione è un nostro dovere. Talvolta mi sono sentito dire: 'quel prete fa politica', ma se parla del Vangelo non fa politica. Ma non nascondo che alcuni sacerdoti possono talvolta apparire a favore di una parte politica.

Come sono i suoi rapporti con i rappresentanti delle istituzioni locali?

I sindaci, credo, mi riconoscono il fatto di aver dialogato con tutti anche quando non condividevo alcune scelte. Con Pizzolitto ci vediamo volentieri; gli riconosco di aver sempre avuto una grande attenzione del territorio. Anche con Romoli i rapporti sono buoni, ma non c'è grande frequentazione ancora.

Parliamo del lavoro; l’uscita dalla crisi passa anche attraverso un nuovo modello che prevede più tempo per se stessi, per la meditazione, per le relazioni interpersonali. Come si può fare per cambiare il nostro modo di vivere?

Il cammino sarà arduo perché bisogna preparare la coscienza dei lavoratori, ma soprattutto dell’impresa. Un giorno durante una celebrazione in una grande azienda multinazionale dissi che l’uomo è prima del lavoro. Un dirigente, non cattolico, alla fine della messa mi disse: ‘Lei ha detto bene, ma tenga conto che se noi non mantenessimo un alto ritmo di produzione, ci lasceremmo superare dalla Cina, dalla Corea. Le leggi del mercato sono micidiali’. Anche il Papa in Caritas in Veritate esorta il mondo delle imprese a tenere presene che il capitale non è l’aspetto più importante; è il lavoratore il principale soggetto. Faccio notare che, avendo fatto il giudice della cause matrimoniali per 27 anni, ho incontrato tante coppie che chiedevano l’annullamento del matrimonio per la vita stressante dei coniugi, a causa del loro lavoro. Non è che una volta fosse più facile, anzi, ma i coniugi erano più vicini ed avevano lo scudo della famiglia patriarcale che si ergeva a difesa della vita della coppia in eventuali crisi.

È anche vero che sappiamo rinunciare a fatica a certi privilegi.

Certamente e poi ci sono privilegi che costano cari. Chiedo sempre ai ragazzi della Cresima: 'quanti oggetti avete in casa che non usate e sono costati ai vostri genitori ore di straordinario e tanto sacrificio?'. Mi batto per trasmettere criteri di giudizio sulla vita, ma non è facile in un mondo dominato dal potere di condizionamento della pubblicità. Per farmi capire domando loro, a volte se sono proprio convinti che, usando l'olio Cuore, i loro nonni salteranno le staccionate.

Molti guardano al futuro con preoccupazione e paura. Come infondere coraggio?

Da bambino avevo terrore della guerra e questa paura mi è rimasta dentro, ma poi…Il futuro è nelle mani di Dio e nelle nostre. Possiamo prevedere il futuro nella misura in cui lo stiamo preparando. L’uomo ha immense risorse alle quali deve attingere collaborando e superando egoismi e puntando sulla gratuità.

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