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”Mangiar memoria” per nutrire la propria identità (Voce del Popolo 17 ott)

PIRANO – Mangiare non significa semplicemente soddisfare la sensazione fisica della fame, ma anche per soddisfare le proprie emozioni. Fin dai tempi più antichi l'uomo usa il cibo per festeggiare, per alleviare la noia e la depressione, come consolazione nei momenti di tristezza e angoscia. Il cibo, inoltre, è per eccellenza catalizzatore sociale: la consumazione di un pasto è un momento privilegiato per comunicare; a tavola ci si riconcilia o si litiga – non a caso patti e accordi si siglano nelle tavole di lavoro –, si fanno dichiarazioni o confessioni. Senza dimenticare che il cibo è pure espressione dei sentimenti, perché un piatto preparato con amore è differente da un piatto preparato con indifferenza o acquistato giù preparato; per non dire che attraverso il cibo si può anche sedurre. E non è tutto: la cucina ha un forte potere evocativo, fa ricordare periodi e momenti della nostra vita, della nostra storia personale o collettiva. In cucina si sposano cibo, identità e cultura. Il cibo viene considerato cultura, perché l'uomo crea (produce) il proprio cibo; il cibo è cultura quando si prepara, perché l'uomo trasforma i prodotti di base mediante la sua tecnologia, il proprio fare, la disponibilità di materie prime del suo territorio; il cibo è cultura quando si consuma, perché l'uomo lo fa considerando non solo il suo aspetto nutrizionale, ma associandolo anche a valori simbolici. Insomma, un piatto "de minestron de bobici" non è solo una minestra, cibo, ma è il simbolo dell'identità culturale di una precisa realtà. In poche parole, "dimmi come mangi e ti dirò chi sei".

La cucina è, quindi, un frammento tutt'altro che secondario del nostro essere, un tassello che rischiamo di perdere di fronte all'incalzare, anche a tavola, della globalizzazione e, soprattutto, di mode importate dall'Occidente, come quella del fast food. Ecco, allora, che il recupero della cucina tradizionale, quale fattore d'identità, diventa un'impresa importante, preziosa, "storica". Consapevole della plurima valenza di questo discorso di riappropriazione della propria identità attraverso la cucina, la Società di studi storici e geografici di Pirano ha voluto portare a Casa Tartini, sede della Comunità degli Italiani di Pirano, il volume di Chiara Vigini “Mangiar memoria. Cibi tradizionali e trasmissione della cultura dentro e fuori Voce Giuliana” (Associazione delle Comunità Istriane, Trieste 2007), nell'ambito di una serata tutta dedicata alla cucina istriana. L'iniziativa ha riunito un numeroso pubblico attorno a un libro e ad una tavola imbandita con uno dei "prodotti" tipici dell'Istria: il pesce. Una conversazione piacevolissima, amichevole, fraterna, quasi un incontro di famiglia. Protagonista l'autrice del volume, Chiara Vigini, Marino Vocci, operatore culturale e molto altro ancora, profondo conoscitore dell'Istria e della sua cucina – tra l'altro, è curatore del progetto "La barca dei sapori", fortunata rubrica di TV Capodistria –, e Kristjan Knez, non solo coordinatore della serata ma vero e proprio factotum della Società promotrice, oltre che dell'evento (ha mobilitato tutta la famiglia nella preparazione dei piatti di pesce offerti a Casa Tartini). Assente giustificato Denis Visintin (il suo intervento sul libro della Vigini è stato letto da Knez).

Si accennava prima alla funzione "catalizzatrice" del cibo: quasi a conferma di questa sua dimensione, la prima presenza in veste ufficiale, in Istria, del presidente dell'Associazione delle Comunità Istriane di Trieste, Lorenzo Rovis. "L'identità di un popolo si basa su vari parametri, tra i quali le tradizioni e la sua civiltà della tavola sono tra i più qualificanti. La cucina acquista così dignità di patrimonio culturale di una terra, quale corollario della storia, dello stile di vita, dell'organizzazione sociale", afferma Rovis.

Il cibo, dunque, veicolo di una comune identità, condivisa e portata avanti da esuli e rimasti; il cibo che abbatte certi steccati ideologici, che promuove e intensifica la collaborazione culturale. Si è caricata così di sapori e significati un'iniziativa che forse poteva anche sembrare "minore", ma che in effetti ha "portato in tavola" tutti gli ingredienti necessari per alimentare ulteriormente lo spirito di chi vi ha preso parte. Promettente la notizia della prossima ristampa del libro di Chiara Vigini, da tempo esaurito nelle librerie italiane. Per dovere di cronaca, ricorderemo che l'autrice, partendo da una serie di racconti, illustra ricette – consolidate nella prassi quotidiana – che si sono tramandate di generazione in generazione, prendendo spunto e riproponendo quelle inviate dai lettori a "La Voce Giuliana", organo ufficiale di stampa dell’Associazione delle Comunità Istriane. Le 208 pagine della pubblicazione contengono una vasta gamma di piatti a base di carni, pesci, formaggi, paste, verdure e tanti altri prodotti della generosa terra istriana, compresi i vini. Il tutto "impastato" con certosina precisione, amorevole pazienza e autentica passione.

Ma, come più volte sottolineato, "Mangiar memoria" non è il solito ricettario – "condito" dalle immagini di Gianfranco Abrami, un altro figlio dell'Istria, come del resto lo è l'autrice, anche se nata a Trieste –, ma un invito "a pasteggiare con l'Istria", a non "mangiarsi la memoria" che è memoria di tutto un mondo, il nostro, ma piuttosto a nutrirsene per capire, ritrovare, trasmettere ciò che si è e che si è stati nel corso di questa nostra bimillenaria storia. Il volume di Chiara Vigini va dunque assaporato come "cibo" nella più vasta delle accezioni; cibo dell'anima, cibo che scalda il cuore, che conforta e nutre. Complimenti, è proprio il caso di dirlo, agli chef.

Ilaria Rocchi

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