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Lo ”spazio vitale” pagato dall’Istria (Giornale di Brescia 25 ott)

La «questione adriatica» come espressione del «fallimento della politica di potenza italiana». L’accostamento fra i due temi farà arricciare il naso a coloro che – e non sono pochi – preferiscono isolare la storia del confine orientale da qualunque intreccio con le scelte del giovane stato unitario succeduto dopo la Grande Guerra al plurinazionale impero austroungarico nelle terre «redente».

Ma lo studio integrato (e integrale) della storia patria rappresenta una indispensabile chiave di analisi per comprendere in profondità quella grande tragedia «italiana» riassunta nel binomio «foibe ed esodo». È quanto fa il ricercatore bresciano Mauro Pellegrini al suo esordio nella pubblicistica storiografica, centrando perfettamente il bersaglio attraverso una trattazione piana e documentata delle molteplici dinamiche (politiche, ideologiche e socio-economiche) alla base della disastrosa gestione dell’eredità asburgica nel delicatissimo scenario della Venezia Giulia (Trieste, Gorizia, Istria, Fiume e Dalmazia). L’Italia liberale si presenta col suo nazionalismo velleitario in una terra di incontro- scontro fra mondo occidentale e orientale, di delicato equilibrio fra cultura latina e slava, per poi degenerare nell’ultranazionalismo aggressivo dell’Italia fascista.

L’inizio della fine. «Si acuiscono le tensioni economiche e sociali, e l’avvento al potere del fascismo – scrive Pellegrini – con la sconsiderata politica di italianizzazione forzata e sopraffazione delle minoranze nazionali slovene e croate, provocherà un’intensificazione del clima di violenza che troverà soluzione di continuità solo dopo la metà degli anni Cinquanta». Ben oltre il termine, dunque, della Secondo conflitto mondiale.

Proprio l’ultima spaventosa guerra europea costituisce il punto di snodo per capire l’espunzione violenta della presenza italiana dalla Venezia Giulia. L’occupazione e divisione della Jugoslavia nel 1941, cui Mussolini prende parte attiva al fianco del nazisti, segna il culmine di quella fallimentare politica di espansione ad Est, che le popolazioni istriane, fiumane e dalmate pagheranno a caro prezzo dopo l’ 8 settembre ’43, e su più ampia scala dopo il maggio ’45. Ma la «furia» anti-italiana del regime comunista jugoslavo non si acquieterà prima della metà degli anni Cinquanta.

Anche Pellegrini, sulla scia di storici rigorosi come Raoul Pupo (più volte citato nel libro) pone con chiarezza il tema mai risolto della «responsabilità collettiva» del nostro Paese come punto non evitabile per comprendere la reazione – atroce e spropositata – delle foibe e dell’esodo, delle migliaia di italiani eliminati o costretti all’esilio dai nuovi «poteri popolari».

Il frutto amaro di tante omissioni, ambiguità e strumentalizzazioni, è la «memoria separata», che ancor oggi accompagna il «giorno del ricordo».

 

Valerio Di Donato

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