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L’Istria perduta oltre i ricatti dei nazionalisti (Secolo d’Italia 30 mar)

Ripubblicato dopo oltre vent'anni il romanzo di Diego Zandel, autore fiumano, nato nel 1948, romano d'adozione, che ricorda l'esodo…
 

Slataper e Stuparich insegnano che la scelta dell'Italia e dell'italianità era un fattore culturale prima che etnico
 

di Gianfranco Franchi

L’Istria raccontata da Diego Zandel, scrittore fiumano classe 1948, romano d'adozione, è un'Istria perduta: quella in cui la minoranza croata, dalle parti di Albona, antica città romano-veneta, conviveva armoniosamente con la maggioranza assoluta italiana, come niente fosse. È un doloroso piacere leggere la nuova edizione del suo Una storia istriana (Rusconi, 1987), questo Rfiglio perduto. La mia storia dalla terra d'Istria (Alacran, pp. 130, € 13,50): doloroso perché la memoria, e la fantasia, vanno a un periodo in cui tutte le disgrazie dei giuliano-dalmati erano ancora molto distanti dall'accadere, piacevole perché Zandel sembra coniugare i migliori momenti della scrittura e dello spirito dell'umaghese Fulvio Tomizza con lo spirito civile, democratico e dialettico del dalmata Enzo Bettiza, da Spalato. Eppure, quando il romanzo del fiumano-romano Zandel apparve nel 1987, ci fu chi – come il polesano Pasquale De Simone, direttore de L'Arena di Pola – rifiutò di scriverne: perché considerava l'opera espressione «di un'Istria che non ci appartiene». E perchè mai? Perché il De Simone, democristiano sindaco di Gorizia, ala sinistra morotea, non si riconosceva nella storia della famiglia paterna di Zandel, in cui c'era chi parlava "ciakavo". L'Istria era e doveva restare "italianissima". Grave errore: perchè come chiunque venga da quelle parti sa, ognuno di noi può vantare gocce di sangue sloveno, croato, austriaco o serbo; grave errore, perchè come Slataper e Stuparich insegnano la scelta dell'Italia e dell'italianità era un fattore culturale e spirituale, prima che etnico. Non c'è niente di male: basta esserne coscienti.

Cos'era dunque questo misterioso e impronunciabile "ciakavo" di cui parla Zandel? Era «il dialetto slavo dell'interno dell'Istria, appena ammorbidito da influenze e cadenze italiane, venete. Il fascismo lo aveva proibito nelle scuole. Giacomo aveva spesso sentito in casa i grandi lamentarsi di questo, e rimpiangere il periodo in cui stavano sotto l'Austria, solo vent'anni prima». Insomma, niente di male: come chiunque sa, e come Ara e Magris insegnavano trent'anni fa nel loro Trieste. Un'identità di frontiera (Einaudi) la maggioranza assoluta degli italiani e degli italofoni stava nelle città e nelle cittadine istriane, e lungo la costa, in generale; l'entroterra, certo molto meno popoloso, era e restava a maggioranza slava. Chiaro che la lingua dei commerci fosse il dialetto, prima ancora dell'italiano; più chiaro ancora che quel dialetto fosse veneto, sulla costa, e spesso "ciakavo" nell'entroterra.

Quel che Zandel vuole suggerirci è quanto, per dire, ci insegnava Ondaat-je nel Paziente inglese: in certi frangenti, i nazionalismi assoluti sono uno sbaglio mortale. E questo principio vale per entrambe le parti. L'artista ci ricorda che ancora oggi c'è chi, in Croazia e in Slovenia, minimizza la portata di un esodo che ha «creato un vuoto demografico tale da modificare geneticamente, poi con l'arrivo di emigrati provenienti dall'interno della Repubblica Federativa, il tessuto umano e sociale della regione come mai prima era avenuto»: si tratta di politici e intellettuali che parlano di quella che fu l'aminmistrazione italiana come di una "occupazione", e del passaggio dei nostri territori e delle nostre città alla Jugoslavia come di una "restituzione". Sono concetti grotteschi che è facile smentire e demolire, carte alla mano: la relazione Maranelli-Salvemini basata sul censimento austroungarico del 1910 basta e avanza. Ma sono concetti grotteschi che purtroppo hanno attecchito, da quelle parti, e allora Zandel non si meraviglia di quanto accaduto al regista Paolo Magelli, aggredito a Fiume nel giardino di fronte al Teatro Verdi soltanto perché… parlava nella sua lingua italiana.

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