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L’impero Cosulich che resiste da 150 anni (Il Piccolo 08 mag)

LA SOCIETÀ Dopo l’epoca d’oro delle grandi costruzioni navali soprattutto a Monfalcone, con il Saturnia e il Vulcania, con il fascismo, la seconda guerra mondiale e il Gma, il declino di Trieste e il trasferimento della base operativa dei Cosulich a Genova, sebbene la sede legale sia ancora in città. Oggi Antonio Felice Cosulich guida un impero di 44 società con 350 dipendenti, sedi e uffici in quattro continenti.

LE ORIGINI La dinastia dei Cosulich è originaria di Lussino, al pari di altre famiglie di capitani marittimi e armatori, come i Martinolich, i Gerolimich e i Premuda che portarono la marineria italiana dell’Adriatico a primeggiare nel mondo. L’attività armatoriale incominciò nel 1857 allorché il capostipite Antonio Felice, omonimo dell’attuale presidente fece costruire il Fides, imbarcazone di 650 tonnellate.

LA DINASTIA Alla fine dell’Ottocento i figli di Antonio Felice, Callisto e Alberto, si trasferirono a Trieste primo porto dell’Impero austro-ungarico. Al pari di loro fecero Carlo Martinolich e Giovanni Luigi Premuda, anch’essi lussignani, così come Diodato Tripcovich originario delle Bocche di Cattaro. Grazie a loro Trieste diventò una delle capitali marittime con la società Austro-americana e il Lloyd Triestino. dall’inviato

di SILVIO MARANZANA

GENOVA La barba lunga e il passo ciondolante sono quelli dei vecchi lupi di mare. Nei giorni in cui Genova con il presidente Napolitano e alcuni ministri festeggia l’eroe dei due mondi cioé Giuseppe Garibaldi che da qui partì per fare l’unità d’Italia, il capitano dei due mari, Antonio Felice Cosulich racconta se stesso e la sua disunità d’Italia, quella che ancora adesso non lo fa tornare quasi mai nella terra dei padri, la Lussino oggi croata, ma che lo ha allontanato anche da Trieste, felice terra d’approdo della famiglia alla fine dell’Ottocento.

Cambiando longitudine la dinastia dei Cosulich che oggi ha in plancia di comando la sesta generazione non si è smentita e Antonio Felice che porta lo stesso nome del fondatore guida un impero di 44 società e 350 dipendenti con uffici sparsi in quattro continenti. Ha 71 anni ma sembra un giovanotto e si offende se qualcuno gli parla di pensione. «La crisi? Presuntuoso dire che non ci ha sfiorati, ma siamo saldi in piedi da 150 anni. Abbiamo saputo diversificare e rinnovare le nostre attività». Sono lontani i tempi del Saturnia e del Vulcania, dei celebri e festeggiatissimi vari ai cantieri di Monfalcone, della Cosulich line che faceva crociere turistiche nel Mediterraneo.

Oggi i Cosulich si destreggiano tra il petrolio e i computer, sono agenti dei cinesi e degli iraniani, si sono reinventati armatori comprando quattro navi (una delle quali già rivenduta) da 6.500 tonnellate per operare in prima persona i servizi di bunkeraggio cioé di rifornimento di carburante per altre unità, gestiscono navi speciali che operano nei campi petroliferi. La sede legale resta a Trieste, ma per ragioni di tradizioni e affettive («Lì abbiamo un grosso ufficio gestito da bravi manager e io a Trieste ci torno sempre volentieri anche perché è una bella città e vi ho parenti e amici») ma da decenni la sede operativa è a Genova. «Una decisione imprescindibile presa negli anni successivi alla seconda guerra mondiale – spiega il comandante – perché sotto il Governo militare alleato il business era praticamente inesistente».

Il ponte di comando è dunque oggi in una palazzina moderna dello scalo antico tra l’Acquario, che avrebbe dovuto fare da modello per il Parco del mare di Trieste, e Galata Museo del mare, vicino al galeone che fu la principale location del film Pirati di Roman Polanski. Trieste ancora distante anni luce da Genova per volumi di traffici si trova oggi ad essa accomunata da un progetto di Unicredit che dovrebbe costituire un’inedita collaborazione tra il privato e il pubblico in grado di accelerare la realizzazione delle infrastrutture e di far moltiplicare i quantitativi di merci movimentate. «I giornalisti non si offendano – dice Cosulich – se penso che si tratti essenzialmente di esagerazioni mediatiche. Impossibile rispettare i tempi di cui ho letto e soprattutto i volumi di traffico che vengono preventivati. Non siamo in Cina. Quando sapremo progettare e costruire una linea di metropolitana con 9 stazioni in tre anni, come ho visto fare a Hong-Kong, allora potremo pensarci».

Quanto al futuro di Trieste, il lupo di mare con i piedi per terra, come lui stesso si definisce è ancora più cinico. «Non potrà mai superare certi livelli perché i suoi mercati tradizionali non sono quelli di potenze mondiali, di nazioni forti: deve fare riferimento all’Austria, alla Slovenia, all’Ungheria, alla Slovacchia, tutti Paesi piccoli che non avranno mai economie trainanti». Eppure, sebbene in modo modesto, i Cosulich sono tornati via mare a Trieste. Ogni settimana infatti un feeder, una piccola portacontainer unisce Napoli con Trieste. La nave è della Coscos, società per il 50 per cento di proprietà della compagnia di stato cinese Cosco e per l’altro 50 della Cosulich spa. La Cosco, di cui i Cosulich sono agenti, ha stabilito il proprio quartier generale italiano a Napoli ed è qui che soprattutto arrivano le sue maxipoprtacontainer delle linee dirette dal Far East.

Tra le banchine del porto di Trieste si era sparsa la voce che il servizio feeder potesse essere un test per una nuova linea transoceanica con megaportacontainer, ma il crudo realismo di Cosulich anche qui frena le speranze: «Non credo proprio, a Trieste arriva già una linea diretta dal Far East (è quella di Maersk-Cma Cgm, ndr.) e un’altra sta per arrivare (joint venture fra tre compagnie coreane: Hyundai, Hanjin e Yang Min e una araba: United arab shipping). Non ci sarebbe spazio per una terza. La crisi ha picchiato duro sulle compagnie di container perché quasi tutti gli armatori avevano nuove navi in costruzione. Oggi la stessa Cosco ha un bel numero di navi in disarmo. Ma siamo contenti di essere in qualche modo tornati con una linea a Trieste. Avevamo fatto un primo tentativo mi pare nel 2001, ma c’era stato un forte disaccordo con l’Autorità portuale di allora. Adesso va molto meglio e il feeder che arriva al Molo Settimo non è certo una navetta: ha una capienza di 1.500 teu. Quando navigavo io negli anni Sessanta le navi più grandi erano da 1.110 teu e arrivavano in Italia dal Nord America».

Vista da Genova, Capodistria non fa impressione: «Partiva da zero – sottolinea il comandante – per questo la sua progressione può sembrare esaltante e poi giustamente c’è da considerare che il supporto di un intero Stato sarà sempre tutto concentrato su questo che è il suo unico porto. Quanto alla collaborazione con Trieste non funziona, o meglio potrebbe funzionare anche la spartizione dei traffici ma solo se vi fosse un unico padrone di entrambi i porti. Ma così non è e dunque bisogna contendersi la merce: così fanno accanitamente Genova e La Spezia, ma anche Hong Kong e Singapore.

In generale i porti italiani non se la passano bene secondo il comandante dei due mari: «Colpa della burocrazia, delle lungaggini per far approvare i Piani regolatori, per realizzare le infrastrutture. Qui ci dovrebbe essere un federalismo nel senso che le Autorità portuali dovrebbero avere autonomuia finanziaria e i singoli Comitati portuali dovrebbero poter decidere tutto e allora forse potremmo stare al passo con i primi porti del mondo». Per stare al passo con il mondo che cambiava la dinastia dei Cosulich ha dovuto inventarsi altri mestieri, sul mare e non solo. L’ultimo bilancio depositato, quello che si riferisce al 2008, presentava un attivo prima delle imposte di un milione 266 mila euro. E il 2009? «Reggiamo bene, non mi ricordo mai i numeri», si schermisce il comandante.

E poi butta là alcune della miriade di attività svolte: «Forniamo equipaggi alle petroliere, fino a 65 contemporaneamente, un tempo i marinai erano italiani, oggi sono filippini, ucraini, bulgari, polacchi, siamo agenti di servizi di linea iraniani, di Etiopian shipping line, della Borchard line inglese che serve Turchia, Egitto e Israele, della Cotunav tunisina, dei cinesi di Cosco per cui gestiamo anche una liena nell’East Africa, abbiamo il ramo viaggi (è quello che va peggio, ndr.) con uffici a Trieste, Napoli e in Svizzera per le crociere, ci occupiamo di logistica e abbiamo camion, controlliamo ditte di spedizioni in Inghilterra, Irlanda e Istanbul, abbiamo società di software, abbiamo gestioni complete di navi nelle basi petrolifere in Adriatico e in Sicilia, uffici anche a Hong-Kong, Singapore, negli Stati Uniti, in Brasile e in Ghana». Ma il capitano marittimo si è fatto anche capitano di industria: «Abbiamo acquisito partecipazione di maggioranza nella Link trading che produce materiali di ferro in Cina e lana di roccia in Polonia e in Grecia».

Gli ultimi Cosulich entrati in società sono Marta e Tommaso Moreno. «Ma se dobbiamo scegliere tra un bravo aspirante manager e un parente anche solo un po’ meno bravo non abbiamo dubbi, preferiamo il primo. Per qualche Cosulich che entra, altri che pure volevano farlo sono stati esclusi. Abbiamo centocinquant’anni di storia da difendere».

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