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L’eredità della strage di Vergarolla – 10giu14

 

Avrà luogo a Roma, il prossimo 13 giugno alle ore 11.00 nella Sala Aldo Moro di Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei Deputati, la presentazione del volume di Gaetano Dato, Vergarolla 18 agosto 1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e guerra fredda, nel quale l’autore ipotizza un coinvolgimento di ambienti neofascisti e monarchici nell’organizzazione del terribile attentato che il 18 agosto 1946 provocò la morte di 63 persone e centinaia di feriti, tutti civili. Una strage che ebbe il suo tragico peso sulla scelta dell’esodo della stragrande maggioranza della popolazione di Pola, che abbandonò la città e i beni per conservare la libertà e la vita. Su quell’episodio pubblichiamo la riflessione del Presidente nazionale Anvgd Antonio Ballarin.

 

La strage di Vergarolla è stata un dramma per chi l’ha vissuta, ma di certo ha causato molte più vittime di quanto la macabra contabilità dei cadaveri e dei feriti abbia potuto registrare. Quella strage è stata la strage di un popolo intero. È stato un invito bestiale a far fare le valige a chi avesse voluto mantenere la propria identità.

Quella strage ancora oggi, così costretta nella non conoscenza, prima forzata ed ora dimenticata, produce un boato assordante nelle coscienze degli uomini e delle donne che vivono dentro la società civile e che hanno cura dei diritti umani quali riferimento per la propria esistenza.

Noi, oggi, figli di quella tragedia, chiediamo a gran voce giustizia.

Non si tratta, unicamente, di punire i colpevoli, ma chiediamo che quel diritto di identità che fu negato alla generazione da cui discendiamo, oggi, venga restituito e con essa, la dignità della nostra epopea, della nostra storia.

La punizione più grave che un essere umano può subire è, molto probabilmente, l’isolamento e proprio dentro quest’ambito i governi del dopoguerra ci hanno costretti. La nostra storia non si doveva sapere. Vergarolla è stata insabbiata in una settimana. Se ne parlavi a scuola ti prendevano per un tipo strano, per un diverso. Siamo stati relegati nella categoria dei morti viventi. Senza diritto di parola. Non dovevamo esistere, né nelle nostre amate terre, né in quelle che ci avrebbero ospitato. Del resto, la nostra stessa presenza fisica era la palese testimonianza come la guerra fosse stata persa e, allo stesso tempo, come gli ideali di giustizia ed uguaglianza sbandierate dalle ideologie marxiste, in effetti, non avessero funzionato, altrimenti, per quale ragione scegliere l’esilio a vita? Meglio, dunque, l’oblio, l’ignoranza, lo stravolgimento della storia.

Oggi, a distanza di decenni, Vergarolla continua a causare vittime, perché persone nate in quell’epoca e che per conservare la propria italianità hanno dovuto soffrire, se ne vanno senza che nessuno abbia pagato per quel crimine, né per i crimini contro l’umanità che hanno portato a quella pulizia etnica. Eppure, per sanare questo dolore, per trovare pace, per avere giustizia, basterebbe che qualcuno ci dicesse di tornare alle terre che noi, a distanza di anni, continuiamo ad amare. Basterebbe che chi, oggi, popola quelle terre e, al contempo, che la nostra società civile che oggi riconosce il nostro dramma, ci considerasse figli speciali di un’identità non sterile, non estinta, ma come essa realmente è, cioè viva e generativa.

La nostra identità è uno dei doni più grandi che possiamo trasmettere a chi incontriamo, perché è carica di sofferenza, dove le radici, al contrario di ciò cha avviene di norma, non si trovano sotto i nostri piedi, ma sopra la nostra testa. La nostra identità ci guida in quel concetto di memoria senza la quale una qualsiasi ripresa, oggi, sarebbe monca, perché incapace di disegnare una prospettiva che derivi dalla continuità.

Ecco che cosa è per noi Vergarolla, oggi: è una speranza. La speranza che qualcuno, oggi, vivo e attivo nella società civile, faccia memoria. Ma fare memoria ha senso solo se produce un’etica. L’etica che genera la nostra esperienza umana è quella di testimoniare, con la sofferenza patita dai nostri cari sterminati ed il nostro pietoso peregrinare, che la diversità va accolta e rispettata in maniera tale che crimini come quelli che hanno causato Vergarolla non accadano mai più.

Vergarolla, per noi, è un fiore da portare nei nostri cimiteri dove le lapidi in lingua italiana siano restaurate e le tombe curate da noi stessi, aiutati ed amati, allo stesso tempo, da coloro che con pari nostra dignità abitano, oggi, la nostra amata Terra.

 

Antonio Ballarin

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