ANVGD_cover-post-no-img

La storia di Tiberi Mitri a History Channel (Repubblica 15 mar)

di EMANUELA AUDISIO

Lui e l'America s'incrociaro­no a Trieste. Sliding doors. Porte che si aprono, destini che si chiudono. L'America sbarcò, lui s'imbarcò. Dal­l'Oceano all'Adriatico. L'A­merica arrivò dopo la guerra, lui andò a cercarla lì dov'era, perché aveva troppe battaglie personali da combattere. L'A­merica lo illuse e lo distrusse, era solo un piccolo uomo incapace di attraversare il confine. Lui prese a pugni il mondo, Trieste si trovò davanti un futuro incer­to. L'Italia usciva dalla guerra, Trieste nel giugno del '45 da un divorzio politico, papà e mamma ora erano americani e inglesi. Tiberio Mitri era biondo, bello, faccia da schiaffi, da gioventù bruciata. Il figlio complicato di una città difficile, di cui tanti vantavano la proprietà: italiana o jugoslava?

Mitri era diviso, proprio come la sua Trieste, aveva rabbie che bruciavano, che lo mettevano a disagio. Anche per via dell'infanzia difficile: nasce il 12 lu­glio 1926, quartiere San Giacomo, suo padre muore quando lui ha solo dieci anni, Tiberio e il fratello finiscono in isti­tuto. Esce e fa vari mestieri: cromatore, garzone di panetteria, radiotecnico. Non durano perché lui ha un carattere scontroso. Entra nella palestra di via Rigutti quasi per caso, riconosce la puzza di piedi e di sudore, il primo incontro da dilettante è travagliato, l'incontro viene sospeso tra i fischi. Tiberio dà un calcio all'avversario. «Ero stanco di prenderle».

Trieste intanto ha un nuovo corpo di polizia, fatto dagli inglesi, a cavallo e per la prima volta anche donne in unifor­me. L'Italia è messa male, vaga an­cora tra le macerie, Trieste invece pare già risollevata, balla e si di­verte con gli americani. Oh yes: blue-jeans, sigarette e calze di nylon al posto di quelle di seta che non durano niente. È l'età del jazz. Arrivano anche baseball (a Opicina), basketball e football. Ali american boys giocano, Mitri combatte al porto, all'Hangar Club. E diventa il re del ko, "la tigre di Trieste". Paolo Buttazzoni, suo allenatore, ricorda: «Fece volare i denti dell'avversario sul tavolo della giuria». Tiberio è campione italiano nel1948, eu­ropeo nel '49. Mitri, in pantaloncini bianchi, è qualcosa di nuovo: un ragaz­zo giovane, spensierato, imbattuto, im­magine dell'Italia del boom che tra poco inizierà a profumarsi, a non riconoscersi nei detriti del dopoguerra.

Anche Trieste se la passa bene, si sviluppa, diventa una metropoli, viene a suo­narci la sua tromba Louis Armstrong, ci sono anche Le­lio Luttazzi e Ferruccio Ri­cordi, in arte Teddy Reno. Musica, maestro, si balla sui brutti ricordi. Mitri nel lu­glio '48 in vacanza vicino a Tarvisio conosce Fulvia / Franco, bella ragazza, appena eletta Miss Italia. Sembrano la coppia del futuro, hanno voglia di vivere e di sfondare. Le prime star di un Paese che finalmente non è più perdente. I fi­danzati d'Italia si sposano nel '50, nella chiesa di Sant'Antonio, c'è tutta la città, centomila persone. Lamerican dream arriva con una proposta: Jack La Motta contro Tiberio Mitri, mondiale dei pesi medi, al Madison Square Garden il 12 luglio 1950. La mafia pensa che può es-| sere una buona scommessa. La Motta è il campione, "Toro Scatenato", Mi­tri, lo sfidante, ha sei anni meno di lui. L'ordine è di puntare sull'angelo biondo, deve vincere lui.

Ma la mafia non sbaglia quasi mai af­fare: vede un round, e cambia idea. Ca­pisce quello che ancora nessuno vede bene: Mitri non è di quelli che acchiap­pano la vita, ma di quelli che se la fanno sfuggire. È un perdente, il peggiore di tutti: un bel perdente. Infatti perde, ma resiste quindici riprese. Dalla nona co­mincia ad accusare, non è più reattivo. È la prima sconfitta, nel giorno del suo compleanno. Non può prendere il posto di La Motta, gli manca un cuore duro e una forza testarda. La vigilia dell'incon­tro è stata nervosa e problematica: Mitri impazzisce di gelosia, Fulvia è volata a Los Angeles in cerca di una scrittura. E lì la fotografano con Jerry Lewis e Dean Martin. Lui, che ha ventiquattro anni, smette di allenarsi. «Mi provocava sul la­to sessuale. Quando tornò le diedi uno schiaffo, non ci tenevo a fare il marito tradito». Non ci tiene, infatti rifiuterà il ruolo da protagonista nel film Il Grido di Michelangelo Antonioni. Dirà al regista: «Lascia stare, non mi va, è la storia di un cornuto». Mitri è prigioniero del con­tratto e della rivincita, non può rientrare in Italia, per questo scrive alla madre di simulare un malore. Così a fine anno torna, nasce Alessandro, il primo figlio, ma Tiberio e Fulvia lasciano Trieste, i loro orizzonti si sono rimpiccioliti, vanno a Roma, aprono un bar, frequentano Ci­necittà.

Hollywood è lontana. Lui beve, è vio­lento, ha una rabbia secca. L'America lo ha svuotato: non ha più l'amore, la testa, il sogno. Anche Trieste passa un brutto momento: disordini sociali e morti in piazza. Mitri torna sul ring dopo tre an­ni, nel maggio '54, riconquista il titolo europeo battendo per ko alla prima l'in­glese Randolph Turpin, ma lo perde sei mesi dopo. Nello stesso anno si fa l'ac­cordo per Trieste tra Italia e Jugoslavia, la città è meno allegra ora, i conti econo­mici non tornano. Si perde anche Tibe­rio. A trentuno anni dice basta, non è più un pugile, ma un divetto da Cinecittà. L'ultimo incontro lo disputa a Roma il 21 settembre 1957 e chiude la sua carriera pugilistica con 101 match disputati, di cui 88 vinti, 7 pareggiati e 6 persi. Va ma­le anche con Fulvia, si separano nel '57. Naufraga tra le botte anche il secondo matrimonio, con l'americana Hellen de Lys Meyer. Alessandro, il primogenito, muore a ventotto anni di eroina, con la siringa infilata nel braccio. Tiberia, la fi­glia, se la porta via l'aids. Mitri comincia o forse continua a perdersi: vive in una roulotte a Firenze, finisce per venticin­que giorni in carcere per droga.

L'ultima compagna, Marinella, se ne va anche lei, stanca delle violenze. Tibe­rio vive con una modesta pensione in via Manara, a Trastevere, col frigorifero vuoto e la memoria in subbuglio. Non si ricordava più molto bene né di "Toro Scatenato", né di Franca, morta di cirro­si epatica, né di suo figlio Alessandro: «Non mi viene più a trovare, eppure lo fa­ceva sempre». All'autobiografia, uscita nel '67, aveva dato il titolo Una botta in testa. Nella prefazione aveva scritto: «Dedico questo libro ai diseredati come me, tutto quello che si crea in una vita, si può distruggere in dieci secondi. Pensa­vo che la vita durasse di meno. Mi è pia­ciuta la boxe, non i pugni, cercavo l'ono­re, non la gloria».

Aveva ancora una bella faccia, anche se segnata, alla Chet Baker. Trieste era lontana e un altro pugile di quella città era riuscito a mettere le mani sul mondo, Nino Benvenuti. Mitri se ne va per sem­pre un giorno d'inverno del 2001. È un'alba di tramontana quando trovano un corpo sul binario della ferrovia, all'al­tezza del ponte di Porta Maggiore, a Ro­ma. Preso in pieno dal treno che viene da Civitavecchia. Ha il maglione sopra il pi­giama, le scarpe malandate, il passapor­to in tasca. E la solita maledetta voglia di andare in direzione contraria, come un colpo di bora.

IL RACCONTO IN TV

Venerdì 27 marzo alle 21 History Channel manda in onda "Trieste, un ring sull'Adriatico", il documentario che ricostruisce la storia di Tiberio Mitri, stella triestina del pugilato italiano, e di Fulvia Franco, Miss Italia 1948, che divenne sua moglie Sullo sfondo, la Trieste a cavallo tra il 1945 e il 1954, anni in cui il destino della città, contesa tra il governo di Tito e quello di Roma, era ancora incerto e le forze alleate comandavano la transizione

 

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.