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La storia delle terre adriatiche e i suoi tabù (Voce del Popolo 16 giu)

Con un certo ritardo ho letto l’intervento di Lucijan Pelicon di Capodistria, pubblicato sul quotidiano “Primorske novice”, relativo alla storia recente delle nostre terre, affrontata in due recenti puntate della trasmissione di TV Capodistria “Meridiani”. Il ragionamento potrebbe essere ignorato, riprende l’ormai nota tesi del nazionalismo e dell’irredentismo italiani la cui strategia sarebbe quella di provocare uno stato di tensione lungo il suo confine orientale (sic). Ma siamo proprio sicuri? Se ci allontaniamo da Trieste ci accorgiamo quanto le nostre beghe non interessino al resto del Bel Paese. Però fa comodo vedere complotti dietro ad ogni angolo, non è cosi? Il tenore della lettera in questione, estrinseca, in realtà, una visione manichea della storia di queste nostre terre plurali. Perciò, replicando a chi ha levato gli scudi contro coloro che desiderano, invece, discutere del difficile Novecento nell’area Altoadriatica, senza paraocchi, mi trovo nella situazione di dover “parlare a nuora, perché suocera intenda”. Infatti non sono pochi che continuano a interpretare in modo bislacco il passato recente di queste contrade.

Secondo questo ragionamento le brutture del Novecento, provenienti da una certa direzione, dovrebbero essere archiviate per non “suscitare” gli animi, o meglio si dovrebbe accogliere una sorta di versione ufficiale dei fatti. Siccome il sottoscritto è particolarmente preso di mira, forse perché ragiono prendendo in considerazione il passato in tutta la sua complessità e non seguendo populistiche asserzioni, in certi ambienti la cosa, evidentemente, non è stata digerita. È opportuno far notare che è terminata l’epoca in cui esistevano le verità assolute, che hanno dato origine a tante vulgate. Perciò qualcuno non ha gradito la discussione sulla Lega Nazionale, proposta in un appuntamento specifico, curato dalla giornalista Silvia Stern, adducendo che l’associazione aveva lo scopo precipuo di snazionalizzare (leggi italianizzare) gli Sloveni e i Croati. È un’interpretazione di comodo, è un luogo comune che dalla fine dell’Ottocento qualcuno cerca di far passare e che oggi leggiamo anche in certi manuali di storia istriana. usati dalle nostre parti a livello universitario. Essa fu solo questo?

Nel corso della puntata qualche elemento è emerso; le sue strutture scolastiche operavano, tra l’altro, nelle aree plurali e lungo il confine linguistico. E in regioni in cui le popolazioni s’intersecavano, dove poteva essere fissato questo limite? Era proprio in quelle zone indefinite e mistilingui – anche dal punto di vista nazionale, perché l’identità non era e non è dettata dal sangue e dal suolo – che si giocava la partita più grossa, entrando in competizione con gli istituti della Società dei SS. Cirillo e Metodio (Družba svetega Cirila in Metoda), impegnati in un’opera simile: dopotutto anch’essa era un’associazione di difesa nazionale (sorta a Lubiana nel 1885). La Lega operava anche laddove agli Italiani non si riconosceva alcun diritto e non si concedevano loro le scuole (sì proprio così, i Croati facevano questo, sono pagine di storia che non si riconoscono). Ci sarebbero poi tanti altri punti sui quali non possiamo soffermarci in questa sede.

Sulla puntata dedicata alla memoria e alla riconciliazione, curata da Ezio Giuricin, diremo solo che l’intento era commentare l’iniziativa promossa dall’Unione Italiana e dal Libero Comune di Pola in Esilio, tesa a commemorare le vittime italiane di tutti i totalitarismi che lasciarono il loro strascico di dolore nella Venezia Giulia (si noti bene). Le commemorazioni, in cui non vi era spazio per la retorica, desideravano solo rammentare il male provocato dalle dittature, di qualsiasi colore, e quindi le vittime di quelle politiche scellerate, iniziando dal fascismo. Il regime mussoliniano, e ancor prima lo squadrismo, colpì senza distinzione nazionale. Ciò non significa affatto sminuire il dramma subito dagli Sloveni e dai Croati inclusi entro i confini di Rapallo (in studio abbiamo sottolineato che fu attuato un genocidio culturale, il cui fine era la cancellazione di quelle presenze, mediante una forzata assimilazione, ma sembra un dettaglio; è proprio vero che non c’è più sordo di chi non vuol sentire), vuole, semmai, andare oltre certi luoghi comuni. Se la trasmissione non è stata proprio esemplare – siamo i primi a riconoscerlo, ma i punti che si desideravano trattare, in realtà, erano altri e decisamente più costruttivi – lo dobbiamo a Franc Malečkar che ha “virato” in acque che non erano oggetto di trattazione, con argomentazioni poco felici e considerazioni che poteva risparmiarsele (una per tutte quella relativa allo “sloveno” Giuseppe Cobolli Gigli, segretario federale fascista a Trieste e dal 1935 al 1939 Ministro dei Lavori Pubblici, a suo dire addirittura una sorta di “teorico degli infoibamenti”, stendiamo un velo pietoso).

Di fronte a sciocchezze di questa portata la replica era d’obbligo, o forse era preferibile fare finta di niente e rimanere zitti? L’Italia, eccetto certi ambienti minoritari, checché si dica e scriva, ha fatto i conti con il passato, il fascismo e il regime instaurato è oggetto d’indagine; certe questioni dovrebbero essere ancora approfondite, è vero, però il dibattito storiografico è maturo ed è giunto a più di un punto fermo, cosa che non possiamo dire per quello sloveno, anche perché determinate questioni erano dei divieti sacrali prima della democratizzazione del Paese.

Dal signor Pelicon, che mi ha definito lo “storico universale” che ha approfittato del tempo a disposizione per parlare incontrastato, gradirei sapere quali sarebbero i punti “contesi”. L’attacco, infatti, è molto generico e mi fa tanto pensare derivi dal fatto non si voglia che determinati argomenti siano toccati. In estrema sintesi, dai miei ragionamenti è emerso:
– l’auspicio di accantonare l’interpretazione secondo la quale sarebbero esclusivamente gli Italiani i “cattivi”, mentre gli Sloveni non avrebbero sviluppato una forma di nazionalismo;
– che il fascismo non aveva fatto vittime solo tra gli Sloveni e i Croati, ma anche tra gli stessi Italiani (e il medesimo discorso vale pure per le successive repressioni messe in atto dal regime comunista). Come esempi citai quanto era accaduto al socialista piranese Antonio Sema e la distruzione della Casa del Popolo a Isola, nonché la stessa scarica di proiettili contro i ragazzi di Strugnano che provocò due morti (marzo 1921);
– che ancora prima dell’avvento al potere del fascismo esistevano squadre di camicie nere formate esclusivamente da Sloveni e Croati. Una pagina “scomoda”, evidentemente;
– che nelle foibe non finirono solo quanti si erano macchiati durante il ventennio, ma anche tanti innocenti, vittime dell’“epurazione preventiva”. Per sottolineare che le soppressioni non erano solo una forma di vendetta, ho citato la sorte degli autonomisti fiumani, che non volevano né l’Italia né la Jugoslavia. Furono eliminati ugualmente, con una precisione chirurgica.

Quali cose non quadrano, allora? O il problema sono gli argomenti affrontati, considerati ancora dei tabù e come tali da evitare? Si dovrebbe lasciar stare e far passare tutto senza muover ciglio, per una sorta di “politicamente corretto”, per non giungere a quelle “discussioni” che, a detta dell’autore della lettera, ci “allontanano dalla convivenza e dalla riconciliazione”? Che invece si otterrebbero con le menzogne e le mezze verità, più o meno emerge questo fra le righe. Scoperchiare certi vasi ben tappati per quasi mezzo secolo può essere imbarazzante, perciò si continua a coprire tutto con una bella cappa. Ma questo gioco non lo condivido.

Kristjan Knez

“la Voce del Popolo” 16 giugno 2012

 

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