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Il Piccolo – 140907 – Morta Ivetta Luzzatto Fegiz, protagonista del ‘900

iscendente di una delle antiche famiglie di armatori lussignani,

fu una delle prime donne a praticare la vela con la barca di famiglia.

Aveva 94 anni ed era vedova di Pierpaolo,

fondatore della Doxa e accademico dei Lincei

È morta ieri mattina all'alba Ivetta Tarabocchia Luzzatto Fegiz. Aveva 94
anni ed era vedova di Pierpaolo Luzzatto Fegiz (fondatore della Doxa,
docente di statistica a Trieste e a Roma, accademico dei Lincei) e madre di
Marina (attiva per anni nell'istituto demoscopico di famiglia e nel settore
del turismo), Alice (giornalista Rai) e Mario Luzzatto Fegiz (giornalista
del Corriere della Sera, voce radiofonica e volto noto televisivo).
Discendente di una delle antiche famiglie di armatori lussignani, era una
delle ultime testimoni del Novecento triestino.
Si è spenta dopo una lunga malattia, circondata dall'affetto di figli,
nipoti e pronipoti, nella bella villa di famiglia, in via Rossetti. Quella
villa dove uno squattrinato e sconosciuto James Joyce andava un secolo fa a
dar lezione d'inglese a una sorella del suo Piero.
La vita di Iva (questo il suo nome all'anagrafe) Tarabocchia è la storia
delle terre giuliane e dalmate. Nasce a Lussinpiccolo il 22 febbraio 1913 da
una famiglia di armatori e capitani, imparentati con altre grandi famiglie
dell'isola come i Martinolich. Lei, figlia di Eustachio, è una delle prime
donne a praticare la vela con la barca di famiglia, la Mimosa, sulla quale
muoverà i suoi primi passi anche il celebre Tino Straulino. A ventuno anni
sposa un professore universitario triestino, Pierpaolo Luzzatto Fegiz,
creatore delle scienze statistiche in Italia.
Donna dal carattere forte e volitivo, già comproprietaria delle compagnie di
navigazione Lussino e Martinolich, fino a pochi mesi fa si faceva ancora
portare in riva a quel mare che tanto amava o all'Adriaco, a guardare la
barca di famiglia, l'Eos II, varato nel 1961, col quale per tanti anni aveva
veleggiato in Istria e in Dalmazia, ma soprattutto nella sua amata Lussino.
Dove aveva la casa di famiglia, nel paese, e quella costruita col marito,
nella baia di Zabodaski.
Ed è proprio un libro del marito, il commovente «Lettere da Zabodaski», la
miglior testimonianza della forza di questa donna trovatasi a fronteggiare
da sola, a Lussino, nel '45, l'arrivo dei titini e a organizzare poi una
rocambolesca fuga via mare, in barca a vela, verso Trieste, con bambini e
quel poco che si poteva portar via. Il marito, che nel 1925 era stato
campione italiano di canottaggio, aveva già attraversato l'Adriatico in
barca a remi, di notte, direzione Ancona.
Donna forte fino all'ultimo, capace appena una decina di anni fa, a
Edimburgo, di intrattenere in inglese un uditorio di statistici per
ricordare il marito scomparso nel 1989. Tennista e velista di valore,
maestra al timone, ha trasmesso ai figli e ai molti nipoti la passione per
la vela e per il mare.
Ricorda il figlio Mario: «Nel suo cuore è bruciato fino alla fine il dolore
per la sua Lussino che aveva dovuto abbandonare. Tanti anni fa, nell'album
dei ricordi di una mia sorella, aveva disegnato una casetta e scritto queste
poche righe: «Casetta casetta che stai presso al mare, io prego il buon Dio
di poter ritornare, ti guardo e ripenso al luogo incantato e sogno le grotte
e il mirto profumato…"».
Ca.m.

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