ANVGD_cover-post-no-img

Il dramma dell’Esodo, una ferita ancora aperta (Radici Cristiane set 09)

Il 22 giugno 2009 si è tenuta, presso la sede della Provincia di Roma, Palazzo Valentini, una tavola rotonda sull'ingresso della Croazia nell'Europa Unita che ha visto come protagonisti il sen. Maurizio Casparri, l'on. Luciano Violante, il presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD) sen. Lucio Toth e il presidente della sede ANVGD di Roma, il sig. Oliviero Zoia. Il convegno, dal titolo spontaneamente ironico "Benvenuta Croazia in Europa. E poi?" voluto dal comitato di Roma dell'ANVGD, ha portato di nuovo in primo piano la problematica sulla restituzione dei beni abbandonati degli esuli giuliano-dalmati e/o il loro indennizzo da parte del governo italiano e mirava a chiarire, prima dell'ingresso definitivo dello Stato slavo in Europa, la posizione storica di entrambi i governi sulle vicende che hanno visto come protagonisti gli italiani residenti nelle "terre irredente".

 

Sono passati più di 60 anni dal Trattato di Parigi che il 10 febbraio 1947 sanciva le condizioni di pace per l'Italia, uscita sconfitta dalla Se­conda Guerra Mondiale. Senza tener conto né dei pre­cedenti storici, né di quelli politici, né di quelli etnici, linguistici e culturali, in quel giorno l'Italia venne "pu­nita" agli occhi del mondo con la cessione alla Jugo­slavia comunista di Tito (vincitrice "morale" del se­condo conflitto mondiale) di gran parte delle province di Gorizia e Trieste, dell'intera Istria, delle isole quar-nerine e della provincia di Zara in Dalmazia, oltre che con il pagamento dei danni di guerra calcolati al­l'epoca in 160 milioni di dollari.

Vista la drammatica situazione economica di un'Italia devastata dal recente conflitto, fu permesso al nostro governo di "scontare" dai 160 milioni dovuti come risarcimento i beni pubblici presenti sul suolo ora jugoslavo, che venivano contestualmente nazio­nalizzati dal regime titino.

Chi ha pagato il debito di guerra italiano verso le nazioni uscite vincitrici dalla Seconda Guerra Mon­diale? Quale parte dell'Italia ha risarcito i 160 milioni di dollari stabiliti dal Trattato? La risposta è sempre la stessa: 350.000 esuli giu­liano-dalmati che furono costretti a lasciare le loro case, le loro aziende, i loro terreni alla Jugoslavia del Maresciallo Tito. Questi connazionali sono un'alta espressione di un attaccamento viscerale all'Italia cattolica e ai valori socio-politici a essa connessi.

 

Induzione subdola all'esilio

Certamente, non fu una linea di confine spostata la causa fondamentale che costrinse quegli italiani al­l'esodo: basti pensare che lo stesso accadde a Briga e Tenda (che, sempre per il Trattato di Parigi, divennero francesi) senza che per questo avvenisse alcun esodo.

Le motivazioni sono altre, ben più drammatiche. L'esilio in realtà era già iniziato nel 1943, a seguito dell'Armistizio dell'8 settembre. Furono questi i giorni in cui, occupata anche Trieste, vennero fatte sparire dai comunisti titini, con rastrellamenti e depor­tazioni, circa 15.000 persone di cui 4.000 infoibati, per la maggior parte civili.

A differenza di quanto avvenne per l'espulsione dei tedeschi dalla Jugoslavia voluta espressamente dal dittatore comunista, gli italiani furono indotti in ma­niera subdola all'esilio, tramite rappresaglie e depor­tazioni in campi di sterminio che nulla avevano da in­vidiare a quelle naziste.

Non essendoci mai stata l'emissione di un de­creto di espulsione da parte del governo jugoslavo, l'esodo può dunque considerarsi un fenomeno gene­ratosi spontaneamente dai singoli italiani che hanno sacrificato i loro ricordi, le loro case e le loro terre per mantenere la loro identità nazionale.

L'unico atto legale che si fece per allontanare i no­stri connazionali avvenne dopo il "Memorandum di Londra" del 1954, con il quale si concedeva l'ammi­nistrazione dei territori istriani e dalmati alla Repub­blica Federativa Popolare di Jugoslavia e si chiedeva ufficialmente agli italiani di scegliere fra lasciare la pro­pria terra per conservare la cittadinanza italiana (quindi, optare per l'Italia) o aderire al regime di Tito.

Chi partiva non poteva portare con sé né mobili, né mantenere la proprietà degli immobili che veni­vano sistematicamente nazionalizzati nell'ottica eco­nomica di stampo socialista: solo quello che material­mente poteva entrare in baule e la consapevolezza di non poter mai più rivedere le loro terre.

Le stime sul numero di quanti lasciarono l'Istria e la Dalmazia sono più che mai incerte. Il Ministero degli Esteri italiano parla di 270.000 esuli; una com­missione slovena conta 30.000 esuli; padre Raminio Rocchi (definito l'"Apostolo degli Esuli") li stima in 350.000. Tuttavia queste cifre difettano degli "op­tanti": ufficialmente aderirono all'opzione 60.000 su 65.000 italiani, senza considerare coloro che, non venuti a conoscenza di questa possibilità (come chi vi­veva nelle campagne) o, comunque, messi nella con­dizione di non poter "optare" (come i detenuti), rima­sero in terra straniera come apolidi.

 

Dal Trattato di Osimo a oggi

Un'altra tappa importante di questa drammatici vicenda fu la firma, avvenuta nel 1975 quasi all'insaputa degli italiani, di un trattato bilaterale tra Eugenio Carbone (allora direttore generale del Ministero del­l'Industria) per l'Italia e il ministro degli Esteri Milos Minie per la Jugoslavia, nel quale si riconosce lo stato di fatto venutosi a creare dopo il Trattato di Parigi nei territori della "Zona A" e della "Zona B".

Il trattato di Parigi, infatti, non definì nell'imme­diato i confini orientali dell'Italia dando vita al Terri­torio libero di Trieste (noto con l'acronimo TLT) retto da un governatore nominato dal Consiglio di Sicu­rezza delle Nazioni Unite e diviso a sua volta nella Zona A (Trieste e il territorio circostante, occupata dalle truppe anglo-americane) e nella Zona B (l'Istria occupata dalla Jugoslavia, ovvero il litorale da Capo-distria a Cittanova che si estendeva all'interno fino a Buie).

Gli accordi presi in tale sede prevedevano la ces­sione della Zona B alla sovranità Jugoslava e un in­dennizzo (di cui si faceva carico il Governo italiano) ai cittadini che avevano lasciato o che erano stati espropriati dal regime delle loro proprietà nei territori facenti parte della Jugoslavia.

Con la disgregazione della Federazione Jugoslava del 1991 e la relativa nascita degli Stati indipendenti, i giuristi di diritto internazionale hanno reputato nulli tutti gli accordi sottoscritti dalla ex-Jugoslavia e si do­vette attendere il 15 gennaio 1992 per la stipula di un nuovo accordo tra Slovenia, Croazia e Italia per il ri­sarcimento dovuto.

La situazione odierna vede la sola Slovenia aver depositato parte del risarcimento presso la Dresdner Bank, in Svizzera, mentre la Croazia, dopo una dichia­razione mediática da parte del suo Capo di Governo, Ivo Sanader nel 2006, aspetta di trattare ulteriormente con il governo italiano prima di versare la sua parte.

Con l'avvento dell'Unione Europea, sia Slovenia che Croazia hanno promulgato leggi sulla denaziona­lizzazione dei beni con le quali si prevedeva il reinte­gro nei loro diritti i legittimi proprietari (privati e

pubblici) a esclusione dei cittadini stranieri o dei beni oggetto di accordi intemazionali. In considerazione di tali discriminazioni, viene da chiedersi dove siano fi­niti l'inviolabilità del diritto alla proprietà e l'obbligo alla restituzione dei beni sottratti ingiustamente, prin­cipi fondamentali della Comunità Internazionale.

 

Giustizia storica, prima che economica

A Villa Madama, il Io luglio scorso si è svolto l'in­contro del Comitato dei Ministri italiano e croato. Mentre le associazioni degli esuli chiedevano che venissero dettate delle condizioni preliminari all'in­gresso di questi Paesi ex-comunisti in Europa, a Roma si è parlato soprattutto di economia: sfruttamento del giacimento di gas "Anna Maria" (posto nell'Adriatico tra Ravenna e Pola), costruzione di nuovi gasdotti per ottimizzarne la distribuzione su entrambe le coste, si­tuazione dei trasporti e nuove sinergie per le politiche agricole/ambientali.

La tavola rotonda del 22 giugno plaudiva la pro­posta dell'On. Violante di sottoporre al Parlamento una mozione per arrivare a questo incontro bilaterale con richieste precise. In primo luogo, il riconosci­mento di quella Verità ad oggi ancora negata dai Go­verni sloveno e croato, sulle spalle dei quali pesano la tragedia delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata. Solo in seconda battuta, stabilire preventivamente quali siano i ruoli dei rispettivi governi sulla questione della restituzione o dell'eventuale risarcimento dei beni abbandonati: la tragedia di questa diaspora, in­fatti, non è solo politica o economica, ma anzitutto umana.

E proprio questo fa dell'interesse delle associazioni di esuli che chiedono la restituzione o l'indennizzo di questi beni non un mero desiderio di recuperare la pro­prietà materiale di qualcosa che, comunque, è stato in­giustamente loro sottratto e di cui si è dovuto fare a meno in questi 60 anni, bensì la volontà di fare della giustizia storica il fondamento di una nuova pace tra i popoli costituenti l'Unione Europea.

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.