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Il bombardamento di Zara in 26 foto inedite (Globus Zagabria 11 dic)

GLOBUS pubblica fotografie del 1943 e 1944 di Zara annientata, mai viste sinora, allorché gli Alleati rasero al suolo, con bombardamenti intensivi durati più mesi, la città che, successivamente alla capitolazione dell’Italia, cadde sotto il controllo tedesco. L’illustre Prof. Tvrtko Jakovina esamina se la brutale distruzione avesse avuto davvero un giustificato scopo militare o se non avesse costituito una del tutto inutile dimostrazione di forza.

Il Maresciallo Arthur T. Harris, Comandante supremo deibombardieri dell’Aeronautica Regia, fu lo stratega dell’annientamento dellecittà nemiche.
Polveri e ceneri della città di San Donato: nuove incertezze intorno alla Seconda Guerra Mondiale.
 

IL BOMBARDAMENTO DI ZARA IN 26 FOTOGRAFIE.
 

Le conseguenze degli attacchi aerei alleati: 422 morti, 28.000 profughi, i partigiani infine liberano la città distrutta.

Il giorno di San Valentino del 1942, il Ministero dell’Aeronautica Britannico decise di rinunciare a bombardamenti precisi, mirati, di obiettivi militari in Germania. Altrettanto fecero, sin dal 1940, i Tedeschi, ché Londra fu bombardata come se rappresentasse, tutt’intera, un obiettivo militare. La Regia Aviazione, R.A.F., s’indirizzò verso il bombardamento indiscriminato. Ogni acquedotto, ogni centrale elettrica, ogni posta, distrutti, avrebbero dovuto configurare un fiero colpo agli sforzi bellici del nemico. “E’ stato stabilito che il bersaglio principale delle vostre operazioni sia ora il morale della popolazione civile del nemico e, particolarmente, dei lavoratori dell’industria. Prefissato questo scopo, alleghiamo una lista dei territori “ stava scritto nell’ordine impartito. I circoli militari britannici avrebbero così ridotto le città tedesche nello stato in cui furono ridotte Rotterdam, Varsavia o Belgrado.

L’arrogante Maresciallo Harris.

Il comandante della R.A.F., dal febbraio del 1942, fu il Maresciallo Arthur Harris. Energico e senza riguardi, supponente e rozzo, Harris prestò cure agli equipaggi e mostrò delusione per il fatto che, nei primi anni del conflitto, l’aviazione britannica non si fosse attivata abbastanza. Gli strumenti di navigazione non erano efficienti, i piloti erano insufficientemente addestrati, le bombe sovente “si disperdevano” e non colpivano gli obiettivi. Navigazione in aeroplani freddi, pericolo di essere abbattuti da terra o nelle battaglie aeree, continuo richiamo a statistiche che concedevano poche speranze di sopravvivenza, tutto contribuiva a rendere i piloti più duri e brutali. Il bombardamento diurno era rischioso, i piloti soccombevano. Gli strateghi americani preferivano le sortite diurne, gli attacchi precisi, ponendosi in tal modo, moralmente, al di sopra dei Britannici. Arthur Harris non aveva dubbi e la strategia variò. Il bombardamento notturno riduceva le perdite, aumentando quelle a terra. Gli attacchi dal cielo, riteneva Harris, erano più umani che non i blocchi navali.. La morte si configurava più evidente e diretta, e tuttavia non più crudele di quella lenta, per fame, come era accaduto nel corso del Primo Conflitto Mondiale.

Il comando supremo britannico propose, conseguentemente, la concentrazione degli attacchi sulle città costiere. Esse si raggiungevano più agevolmente e in modo più sicuro. Gli edifici in fiamme, dopo la prima ondata d’attacchi, avrebbero meglio indirizzato la seconda ondata di bombardieri. La duplice sortita fu così brevettata come modello di sterminio. Il caos che ne seguiva, mentre la popolazione a terra cercava di spegnere le fiamme e mentre fioccavano le bombe della seconda aggressione, si rivelava straordinariamente prezioso quanto ad abbattimento del morale. Fu Lubecca la città su cui, per prima, si sperimentò la nuova teoria d’annientamento. Alla fine del marzo 1942, duecentotrentaquattro bombardieri ed alcune centinaia di tonnellate d’esplosivo devastarono un terzo della superficie totale della città baltica. Fu incendiata la cattedrale del 1173. Perirono circa 320 persone, 16.000 furono i senzatetto. Minime le perdite britanniche.

Le norme belliche, è evidente, mutarono drammaticamente. I velivoli della Luftwaffe riuscirono a quei tempi pur sempre vendicarsi, talché fu bombardata l’inglese Bath. Furibondo, Hitler pretese che, per rappresaglia, fossero colpiti i centri culturali, luoghi nei quali “gli attacchi avrebbero avuto maggior influenza sulla popolazione civile”. Via via che il conflitto incalzava, le ritorsioni tedesche si riducevano fino a svanire.

Alla fine del 1943, gli Americani per primi bombardarono Amburgo, di giorno e con minimi risultati, colpendo la periferia della città. Dopodiché, il 27 luglio, settecentottantasette velivoli si diressero verso Amburgo, sfruttando la “finestra”. Le postazioni radar tedesche, a terra, furono disorientate, perché gli aerei lanciarono migliaia di lamine di foglio metallico le quali, cadendo lentamente, originarono suoni che neutralizzavano le postazioni medesime, generando caos. Gli uomini radar nazisti intravedevano dappertutto migliaia di velivoli britannici, i piloti in cielo cercavano inutilmente di intravedere il nemico. Lo scopo di quella sera fu uno solo. Bisognava scaricare addirittura 2326 tonnellate d’esplosivo su due milioni d’abitanti di Amburgo. Storia a sé costituivano le bombe al fosforo, che producevano fiamme con temperature estremamente elevate. Se, fino a quel momento, le perdite umane erano minime, Amburgo ha dimostrato come le circostanze potessero variare. Migliaia di Tedeschi morirono asfissiati dall’ossido di carbonio. Occorsero due giorni perché i rioni cittadini più colpiti si raffreddassero, consentendo ai soccorritori di entrarvi. Gli asfissiati, e lo erano tutti, sembrava dormissero, volti rosei. “Amburgo è hamburgherizzata”, strillavano i titoli dei giornali britannici, ironizzando sulla “coventrizzazione” tedesca, agli inizi del conflitto, della città di Coventry.

Cinquanta aggressioni su  Zara.

Dopo che i Sovietici ebbero superato la Polonia, marciando verso le regioni orientali della Germania, il Comando Aereo delle Forze Britanniche ed Americane decise di profittare delle sensazioni di paura che ispiravano i resoconti intorno ai militari sovietici. Le incursioni aeree andavano rinvigorite, occorreva attaccare Berlino, Lipsia e Dresda, creare panico e dimostrare ai Sovietici, nuovamente, come fossero compatti gli Alleati. Più di altre furono attaccate Berlino e, sopra tutto, Dresda. Arthur Harris, senza ombra di dubbio, fu daccapo uno dei comandanti chiave, cionondimeno nessuna decisione fu adottata senza l’imprimatur dei vertici. La città fu bombardata l’indomani dagli Americani. Nel marzo 1945, i bombardamenti strategici in Europa furono sostanzialmente interrotti. La luterana Frauenkirche rappresentò il simbolo della distruzione del 90% di una città e della morte di 20 – 40 mila persone: il Governo della DDR lasciò intatte le rovine, le pietre, del sito messo a ferro e fuoco. Alla fine del conflitto, Dresda temette i Sovietici, che vegliavano da Est. La morte e la completa devastazione della “ Firenze dell’Elba” sopraggiunsero dal cielo, da Ovest.

La Germania, più di tutti i paesi, fu meta di bombardamenti alleati, ma i bombardamenti non risparmiarono altri luoghi. Vennero distrutti i giacimenti petroliferi della Romania, i centri di comunicazione in Grecia ed in Serbia, una serie di città nel territorio della N.D.H. ( n.d.t.: Stato Indipendente di Croazia ), nonché quelle sotto controllo dei Tedeschi. Zara fu, dalla Prima Guerra Mondiale, capoluogo della 94^ Provincia del Regno d’Italia. Preko (Oltre) sull’isola di Ugliano fu centro amministrativo del Regno di Jugoslavia. Con Spalato e Slavonski Brod, è la città, fra le nostre, che soffrì di più. Le vittime più numerose si ebbero a Brod, a Zagabria e Spalato. A Zara perirono 422 cittadini, ma le distruzioni materiali furono immense. Per la prima volta nella sua storia, Zara venne aggredita dal cielo nell’aprile 1941. Tre aerei del Regno di Jugoslavia, nel corso d’una inutile quanto tiepida resistenza, decollarono da Mostar ed attaccarono il centro città. Scaricarono appena alcune bombe, perlopiù nel rione di Val de’Ghisi. Irrilevanti furono, dal punto di vista militare, i danni, ma si constatò che Zara risultava essere esposta agli attacchi provenienti dal cielo; che ogni offesa assestata con bombe, in spazio limitato da strette calli e da elevate costruzioni, densamente popolato, era funesta.

Da Fiume alle Bocche di Cattaro, Zara costituì non solo centro politico di un territorio italiano, ma pure il più grande caposaldo militare. La capitolazione dell’Italia di Mussolini, nel settembre 1943, ha contribuito ad esaltare l’importanza strategica della città. I Tedeschi, che presero il posto degl’Italiani, fecero di Zara un centrale porto d’approvvigionamento, che avrebbe dovuto opporsi al previsto sbarco alleato dall’Italia. Il porto si trovava sostanzialmente nel centro, esattamente di fronte alla città. Man mano che nei territori dell’interno s’inaspriva la guerriglia partigiana, gli strateghi alleati ritenevano che, similmente a quanto avvenne coi Sovietici nel corso delle aggressioni alla Germania, l’alleanza coi partigiani si sarebbe potuta meglio esplicitare bombardando i Tedeschi. I quali, così, temendo l’invasione, avrebbero versato incessantemente in uno stato di allerta.

Nel corso della guerra, e dal primo attacco alleato del 2 novembre 1943, Zara subì una cinquantina d’altre aggressioni. Le più rilevanti distruzioni si susseguirono fino al marzo 1944. La città, ed in specie la parte centrale della penisola, sopra la quale si allineavano i corridoi aerei, fu interamente rasa al suolo. Gli incendi e la fuga della popolazione non consentirono il vivere. Corpi, disseminati in giro, imputridivano; in città rimasero, sì e no, un centinaio di persone. La popolazione menava la vita dell’uomo delle caverne, informavano i bollettini del tempo. A Trieste, i profughi italiani, nonostante la miseria dell’esilio, diedero ad intendere il 16 gennaio 1944: “Abbiamo una singolare fortuna: che le bombe anglo-americane hanno ridotto Zara ad un enorme rogo, quello che i nostri padri si augurarono nel 1920, se la nostra città non fosse rimasta italiana”. Prima del conflitto, Zara annoverava 35.000 abitanti. Alla fine di esso, in città rimasero circa 7.000 persone. Fu distrutto il 60% circa dell’assetto urbano, principalmente quello di origine medievale, meno, assai meno, ne risentirono le costruzioni nuove del periodo mussoliniano.

Dubbi morali.

I bombardamenti suscitarono, già durante la guerra, dubbi, discussioni. Le critiche, come del resto altrove, in Gran Bretagna o negli U.S.A., non ebbero carattere pubblico, per non incidere sullo spirito guerriero. Molti, peraltro, si chiesero se davvero il bombardamento e le bombe incendiarie fossero comparabili, quanto ad effetti deleteri, col blocco navale che, asserirono alcuni, procurò a Dresda, durante la Grande Guerra, più vittime di quante ne procurarono i tristemente famosi attacchi aerei alla fine del Secondo Conflitto Mondiale. “Non è il caso che ci paragoniamo al diavolo”, si eccepì al Comandante della R.A.F., Harris, ancora nel 1943, quando costui discorse dell’eticità degli attacchi aerei. Il dilemma consisteva nel chiedersi se il bombardamento delle città, colla morte di innocenti, donne e bambini, avesse avuto peso rilevante sul decorso delle operazioni belliche. Sono tutte le società ugualmente sensibili all’impossibilità dei governanti di preservarle dagli attacchi aerei, di garantire energia elettrica ed acqua ? E’ certo che tutto concorreva ad incrementare l’insoddisfazione dei Tedeschi nei confronti di Hitler e di Goering, ma incommensurabilmente più odiati furono i Britannici.

I Britannici, alla fine del conflitto, si mostrarono contrariati all’idea che venisse allestito sollecitamente un progetto d’inchiesta sulla loro compartecipazione alla guerra. Sin dal 1946, Sir James Butler divenne coordinatore d’una riscrittura della storia, a patto che tutti gli archivi fossero aperti. Emerse, di lì a poco, che durante gli eventi bellici ci si accapigliò intorno alla necessità di aggredire le città o di concentrarsi sulla distruzione dei soli impianti industriali. Quando nel 1959 si pensò di dare alle stampe un libro sugli attacchi aerei della R.A.F. alla Germania, il Ministero dell’Aeronautica protestò; ritenne che i contrasti e le irresolutezze nel processo decisionale avrebbero nociuto al prestigio delle Forze Armate. Più che sulla responsabilità morale, il dubbio verteva sul fatto se migliaia d’aeroplani e tonnellate d’esplosivi, la cui produzione l’industria caldeggiava, avessero avuto corretta destinazione oppure se sarebbero potuti essere meglio impiegati in altri fronti, fronti che allo sforzo bellico sarebbero stati di maggior utilità. Il Governo Britannico deliberò di dar via libera alla pubblicazione di volumi. Giudicò che è compito degli storici orientare i futuri portatori di importanti e difficili decisioni. I media conservatori contestarono quel che Noble Frankland scrisse. Accusato di non aver volato sopra i cieli di Germania, di aver offeso tutti i piloti e le loro famiglie, di avere enunciato che il periodo finale del conflitto fu caratterizzato dall’inutile perdita di vite e dall’ altrettanto inutile profusione di sforzi, lo storico rimase sulle sue tesi. Infine, si stabilì che la verità, anche dalla prospettiva politica, era necessaria più della pitturazione mimetica della storia britannica. Prese piede, dopo il 1990, un’iniziativa internazionale, diretta a ricostruire la Frauenkirche di Dresda. La chiesa fu restaurata, entro il 2005, col contributo di donazioni, in gran parte anche britanniche. Divenne simbolo della fine di uno dei più sgradevoli capitoli del Secondo Conflitto Mondiale e, contemporaneamente, luogo d’adunanze di neonazisti. Per costoro Dresda rappresenta, sulla falsariga dell’interpretazione che ne diedero le autorità comuniste della D.D.R., emblema dell’olocausto aereo dei Tedeschi, testimonianza dell’ipocrisia degli Anglo-Americani.

Una città uccisa.

Con la caduta del muro di Berlino, la questione del bombardamento alleato di spazi croati ha dato la stura a nuove interpretazioni. I libri di Kazimir Pribilovic sul bombardamento di Zara e di Marica Karakas – Obradov sul bombardamento della N.D.H.(n.d.t.: Stato Indipendente di Croazia), nel corso del Seconda Guerra Mondiale, hanno mostrato che cosa occorre fare per descrivere e contestualizzare il controverso tema. Per molti versi, trattasi d’imprese pionieristiche. Terminata la guerra, Zara fu città morta. Di abitanti autoctoni, se ne annoverarono molto pochi. La popolazione di Zara (odierna) proviene da altre plaghe, dalle isole e dal suo retroterra. Costituì entità nuova, circostanza che fa di Zara, tutt’oggi, uno dei rari ambienti in cui gli “stranieri” vengono più agevolmente assimilati. I profughi italiani di Zara argomentano, continuamente, che la città non rivestiva alcun’importanza strategica, che fu aggredita senza necessità. Sono peraltro più arrabbiati sugli “Slavi” che ci vivono oggi. Una parte di coloro che, oggigiorno, almeno una volta all’anno, sanno passare per la Calle Larga con corredo di simboli ustascia, ebbene non vi passeggerebbero mai, eccetto che col passaporto in mano, se i partigiani non l’avessero espugnata. Le unità partigiane furono alleate di coloro che, in assenza verosimilmente di particolari giustificazioni militari, bombardarono intensamente la città. Chi ne fu vittima, impoverito o morto, non riesce a condividere le superiori motivazioni che possano rendere comprensibile ed accettabile il fatto. Tutti gli altri dovrebbero sforzarsi di capire quel che accadde e lasciarlo circoscritto al luogo degli eventi.

Il bombardamento di Zara, come quello di Coventry, Londra o Dresda, non fu giusto. Nella Seconda Guerra Mondiale morirono 50 milioni di persone, sono state annientate numerose città. E’ stato creato, nondimeno, un nuovo mondo che è migliore, davvero, di quello precedente. Peccato che una parte delle sue fondamenta posi su rovine e sangue.

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