ANVGD_cover-post-no-img

Il ”Grido dell’Istria”, voce soffocata dal Trattato di Parigi (Voce del Popolo 02 gen)

di Kristjan Knez

L'uscita del "Grido del­l'Istria", sostenuta e vo­luta dall'Unione degli Istriani, va salutata positivamente in quanto grazie a tale edizione, che raccoglie i cinquanta nume­ri del giornale, si offre ai lettori e soprattutto agli studiosi la raccol­ta completa di un giornale di non facile reperibilità e al contempo di indubbio interesse per compren­dere le vicende seguite al termi­ne della seconda guerra mondiale e in particolare la posizione in cui venne a trovarsi la popolazione ita­liana. Naturalmente non si tratta di un foglio neutrale, va precisa­to, esso parteggiava per una causa e su determinate questioni, forse, si tendeva ad enfatizzare.

Nono­stante questo appunto è doveroso segnalare l'importanza di siffatto giornale, poiché, a differenza de "L'Arena di Pola" – che usciva senza incontrare grosse difficoltà nella città amministrata dagli Al­leati e quindi poteva, senza alcu­na titubanza, esprimere le proprie posizioni – il "Grido" era illegale e tra innumerevoli traversie fu in grado di diffondere la voce soffe­rente dei connazionali sotto l'am­ministrazione provvisoria jugosla­va, che, di fatto, era uno strapotere su una terra le cui sorti non erano ancora stabilite da un trattato di pace.

Attraverso gli articoli di fon­do e le centinaia di segnalazioni e/ o notizie provenienti dalle varie lo­calità istriane si scorge innanzitut­to la precaria situazione in cui ven­nero a trovarsi gli Italiani, sui qua­li, oltre all'ideologia comunista, si abbatté un nazionalismo prepo­tente che tendeva a rappresentare la componente italiana solo come usurpatrice di una terra slava, che dopo secoli sarebbe stata finalmen­te unita alla Jugoslavia.
Il giornale usciva in clandesti­nità e senza una periodicità, in­fatti, sotto il titolo si legge "Esce dove, quando e come può". A capo pagina poi non compariva alcun indirizzo redazionale e gli articoli non erano mai firmati. Il primo numero a stampa (il quin­to della prima annata) vide la luce il 26 agosto 1945, la pubblicazio­ne cessò il febbraio 1947 cioè il giorno dopo la firma del Trattato di pace. Le caratteristiche e le di­mensioni del foglio mutarono nel corso del tempo. I primi quattro numeri furono semplicemente ci­clostilati, mentre dal quinto in poi usciva "per gentile concessione di tipografie venete".

Per la concordia tra croati e italiani

Il primo numero diffuso por­ta il nome di "Osservatore" e si   apre con l'articolo "Italiani e Ju­goslavi dell'Istria" in cui si evi­denziava che il Comitato Istriano poggiava sui postulati della Giu­stizia e della libertà, si ispirava ai tre maggiori partiti politici della regione (Democrazia Cristiana, Partito d'Azione e Socialismo), pertanto la linea che seguiva era antifascista e antimonarchica. Nel prosieguo si rammentava che "la nostra attività per ora si preoccu­pa di creare la premessa per una vera concordia tra croati e italia­ni. Ci appoggiamo innanzitutto alle forze progressiste che per pri­me hanno impugnato le armi ed hanno condotto a termine la lotta contro l'oppressore fascista. Esse si sono fatte garanti ed interme­diarie fra i vari popoli auspican­do la vera fratellanza. Ma quanti compagni che ieri hanno combat­tuto coraggiosamente non si sono fermati ed interdetti? Fino a ieri sloveni e italiani sono vissuti nel reciproco odio scatenato dalla im­provvida propaganda fascista. Fu lo sloveno allora in uno stato di inferiorità, ma ora tutte le forze del maresciallo Tito hanno inver­tito la situazione. E così si conti­nua a uccidere, a torturare, men­tre l' italiano ingannato soffre".

Nell'estate del 1945 ci si chiede­va inoltre se dopo "le giuste ven­dette, le esemplari punizioni [che] dovrebbero aver soddisfatto tutti" sarebbe stato possibile vivere nel­le proprie case nonché se una con­vivenza fosse stata possibile. Una nota concerne anche i comunisti italiani dell'Istria i quali aveva­no dato un contributo non indif­ferente al movimento partigiano.

Il giornale avverte che i medesi­mi furono attirati da false promesse, e riporta: "attratti dal miraggio di un vero comunismo e lusinga­ti dall'offerta di un'ampia libertà per il popolo voi avete appoggia­to, fiduciosi, l'instaurazione del regime di Tito, tendente tutt'altro che a creare quella tanto decantata eguaglianza (sic) sociale, il benes­sere e la libertà per il popolo e il risanamento delle triste condizio­ni dei lavoratori. Le promesse che a piene mani vi stavano elargendo gli emissari di Tito hanno servito unicamente al raggiungimento dei loro fini nazionalisti".

A tutela del popolo

Il 25 luglio 1945 usciva la "Sferza", foglio "Eletto per tute­lare gli interessi del popolo". Tra gli argomenti presentati rammen­tiamo una critica al regime co­munista da poco instaurato, i cui principi enunciati – famiglia, mo­ralità, Patria, proprietà – erano ri­tenuti solo "(…) una maschera che si adotta per far preda sulla povera gente basandosi sull'igno­ranza". Le pungenti osservazioni indicavano "quale moralità abbia il comunismo instaurato nella no­stra povera Istria lo si vede dalle compagne che circolano per le nostre contrade. E poi si parla di famiglia su basi più morali; non si ammettono giornali se non comu­nisti o slavi e poi si parla di liber­tà di stampa; si parla di finirla con i favoritismi, si parla della ascesa dei migliori e poi vediamo al po­tere analfabeti che ti sistemano la loro parentela nei posti di contor­no, si parla di libertà di opinione e si obbliga con l'uso della violenza ad esporre bandiere di partito "

Poichè quella era la realtà dei fatti i redattori del giornale definirono il comunismo in Istria nientemeno che " comunfascismo. "­
Il giornale riporta anche una serie di note su personaggi che prima avevano appoggiato in va­rio modo il fascismo oppure ave­vano collaborato con i nazisti, mentre a guerra finita divennero strenui assertori dei nuovi padro­ni. Il medesimo chiedeva pertan­to che "l'opera di pulizia iniziata contro i collaboratori ed i crimina­li fascisti deve essere completata. Chiediamo il fermo e la punizione di tutti gli arricchiti, gli approfittatori di guerra, di coloro che abu­sando della pubblica carica si sono macchiati del reato di concussio­ne. Tutto ciò al di fuori di ogni in discriminazione politica. Solo così l'epurazione sarà radicale".

Che fare? Resistere

Nel numero del 5 settembre 1945, con l'articolo "Che cosa possiamo fare?", si risalta la cri­tica situazione in cui si trovava la popolazione italiana, poiché "se appena ci azzardiamo di pronun­ciare una parola diversa da quel­le comandate ci accoppano. Pure bisogna resistere. Non collaborare con l'occupatore. Fargli il vuoto intorno. Negargli ogni appoggio. Vivere ignorandolo. Fino al limite del possibile. Protestare col silen­zio, coll'astensione, col rifiuto". Sul finire dell'estate del 1945, in concomitanza con l'apertura del­la conferenza di Londra, si iniziò a nutrire non poche speranze cir­ca il nuovo confine d'Italia che sa­rebbe stato stabilito con il trattato di pace. Si auspicava passasse la proposta della cosiddetta Linea Wilson, dal nome del presidente  statunitense che l'aveva ideata al termine del primo conflitto mon­diale come possibile soluzione del contenzioso territoriale tra il Re­gno d'Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Alla conferenza londinese si chiedeva altresì "(.) di riconoscere i nostri sacri dirit­ti sull'Istria italiana, conceden­do al popolo jugoslavo, al quale siamo cordialmente uniti, il giusto premio per la lotta combattuta e vinta".

Il Comitato Istriano era deci­samente contrario ad assolvere coloro che si erano macchiati sotto il regime mussoliniano e nell'articolo " Non ritorneranno! " si legge che " ci sono bastardi (bande nere o milizie fasciste ) rei di delitti, deportazioni che accarezzano il sogno di ritornare nella nostra Istria per prendere i loro posti il giorno della liberazione. Popolo istriano! Stà certo! Non ritorne­ranno mai! Il sangue dei nostri fi­gli caduti per la libertà, lo strazio delle madri per quanti deportati sono morti in Germania, il terrore di quanti sono vissuti con la morte alla gola, i lividi di chi ha provato sulle proprie carni il manganello squadrista sono accuse alle quali dovranno rispondere davanti alla giustizia".

Il foglio era critico an­che nei confronti dell'operato del regime fascista nella Venezia Giu­lia, e se da un lato si rammenta­no i grandi interventi pubblici che migliorarono le condizioni di vita della popolazione (l'acquedotto, le bonifiche, la lotta alla malaria, ecc.), dall'altro non si omettono gli errori compiuti. "Qui i meto­di del governo fascista – si legge nell'edizione del 9 ottobre 1945 – si sono manifestati in tutta la loro assurdità. È naturale perciò che alcuni gruppi slavi non di­mentichino i divieti nell'uso del­la lingua materna nelle scuole e nei giornali e certe intolleranze nei loro riguardi".

Da tali posi­zioni si evince chiaramente non vi fosse una connivenza con il fasci­smo, anzi, le accuse spesso mosse in quella direzione dalle autorità jugoslave e dai loro fiancheggia­tori erano solo una sorta di alibi per colpire quanti non erano in­tenzionati a seguire la direttrice politica del partito unico.

Infatti "hanno accusato di fascismo la popolazione italiana perché non si lasciava bastonare in silen­zio. Ci hanno chiamati reaziona­ri perchè abbiamo sempre soste­nuto il nostro diritto di sceglierci un modo di vivere, di proclamarci italiani davanti al mondo" (25 no­vembre 1945, p. 1). Al contempo non si tolleravano gli opportunisti che con straordinaria abilità erano riusciti a passare da un regime al­l'altro prestando la loro opera. I compilatori indicano che "non mancano i fascisti convertiti alla democrazia progressista. La fun­zione precipua di codeste spettrali autorità consiste nell'apostolato a favore della fratellanza italo-jugo-slava. Viene poi un'altra funzione non meno importante che è quella dello spionaggio e della delazione a danno degli italiani e a profitto dell'occupatore".

Basta con il sangue

L'obiettivo del "Grido del­l'Istria" era la diffusione delle posizioni degli Italiani, che sotto il giogo jugoslavo erano impos­sibilitati ad esprimere, alla luce del sole, una linea politica alter­nativa. Contemporaneamente il foglio portava all'attenzione del­l'opinione pubblica notizie e fat­ti accaduti nelle contrade istriane con particolare riferimento alla repressione messa in atto. Tutte le informazioni passavano clan­destinamente e grazie alla colla­borazione dei lettori, che rischia­vano non poco per la loro incolu­mità.

Tra le rubriche segnaliamo quella intitolata "Complici!", in cui si evidenzia che i "responsa­bili, sappiatelo istriani, dei nostri dolori e dei nostri lutti non sono soltanto gli slavi calati dai boschi, ma anche degli italiani degeneri venduti all'oppressore".

La rubri­ca "L'istriano errante" – che con i primi numeri del 1946 diventerà "Sotto il terrore dell'OZNA" – se­gnala invece le prevaricazioni av­venute nei confronti degli Italiani e di coloro che erano contrari alla politica annessionistica jugoslava come pure tutti gli interventi delle autorità comuniste tese a cancel­lare i segni dell'italianità nonché a soffocare i sentimenti della po­polazione italiana. Il 25 novem­bre 1945 con "Basta sangue!" si lancia un monito per fermare la spirale di violenza che ormai re­gnava ad oriente di Trieste. Non si lesinano i rimproveri verso co­loro che parlavano di fratellanza e di collaborazione, mentre in real­tà – contrariamente ai buoni prin­cipi enunciati – conculcavano i diritti della componente italiana. Sul finire di quell'infausto anno si rassicurava la popolazione che "questo tragico periodo finirà" e che "l'Italia ritornerà", perché "la nostra certezza è basata sul­la giustizia e sulla garanzia che le Nazioni Unite ci hanno dato per il trionfo del nostro diritto" (9 dicembre 1945, p. 1). Sarà solo un'illusione!

Se il numero di Natale era "pie­no di tristezza per l'Istria", quel­lo del primo gennaio 1946, con un titolo erompente d'ottimismo, annunciava che "La vita ritorne­rà". La speranza in un futuro mi­gliore era dettata dal fatto che sul piano internazionale s'era deciso di arrivare quanto prima al trat­tato di pace con l'Italia e tutti gli stati coinvolti nel conflitto contro le forze del patto Tripartito. Vi era però un eccesso di fiducia, infatti, si legge che "l'Italia dunque non avrà una pace di forza, imposta dai vincitori, ma una pace che, spera­bilmente sarà frutto di un sereno e giusto esame della sua buona pre­parazione democratica e della sua partecipazione alla lotta contro il totalitarismo".

Intanto si annun­ciava l'arrivo della commissione preposta alla raccolta dei dati per le proposte della linea di demarca­zione tra i due stati. In un clima il­liberale appariva palese per gli Ita­liani l'impossibilità di manifestare le proprie posizioni. Il "Grido del­l'Istria" del 31 gennaio 1946 ri­porta a piena pagina "L'italianità dell'Istria strozzata col terrore" indicando altresì che "si impone la bandiera jugoslava. – Si mano­mettono le Anagrafi. – Si minac­cia apertamente la foiba a chi non applaudirà a Tito. – Si spianano i mitra contro chi osa dirsi italia­no".

L'intenzione degli jugoslavi era, quindi, proporre artatamente ai membri della commissione in­ternazionale la volontà plebisci­taria dell'intera popolazione del­l'Istria di unirsi alla Jugoslavia, di conseguenza ogni espressione contraria, e in primo luogo a fa­vore dell'Italia, era pesantemente soppressa con l'uso della violen­za. Nei numeri successivi si rileva poi che "gli archi e le scritte non possono esprimere i sentimenti del vero popolo istriano che invoca la fine di una odiosa commedia" (6 marzo 1946, p. 1).

Il Comitato di Liberazione Nazionale per l'Istria indirizzava alla popolazione alcu­ni consigli su come comportarsi all'arrivo della detta commissione. E mentre "il CLN Istriano denun­cia al mondo la nostra drammatica situazione" ci si consolava rimem­brando la storia, nella "(…) inin­terrotta continuità italica, manifestantesi, sempre e pur sotto l'ostile dominazione di uno stato stranie­ro, nella lingua, nei costumi, nel­la cultura, nell'arte, nel navigare, nelle industrie e nei commerci" (13 febbraio 1946, p. 1).

Ridateci la libertà

Intanto si stava avvicinando l'arrivo della commissione inte­ralleata. Il 16 marzo 1946 con il titolo "Ridateci la libertà. Rifate­ci la vita!" e un appello in italiano, in inglese e in francese si rammen­tava che "da dieci mesi un'ammi­nistrazione, che doveva essere fi­duciaria, sta violentemente calpe­stando ogni nostro più elementare diritto di uomini, di cittadini, di italiani. Sappiatelo e fate conosce­re le nostre condizioni al di fuori di questo carcere". Era il lamen­to di una popolazione soggetta ad una dura politica repressiva, calpe­stata nei diritti ed intimorita in va­rio modo affinché non manifestas­se la propria identità e la volontà di ritornare a far parte dell'Italia.
Comprendendo l'importanza della visita di quegli esperti, s'intensifi­carono le denuncie del giornale il quale avvertiva le Nazioni Unite e l'opinione pubblica che gli Jugo­slavi erano responsabili di "viola­zione degli usi di guerra; oppres­sioni; forme crudeli di tortura; delitti comuni compiuti su vasta scala sotto specie politica; diffuse confische di beni; deportazioni il­legali; infrazioni alle leggi d'uma­nità e ai dettami della coscienza pubblica quali sono stati codificati nella IV. Convenzione dell'Aja del 1907" (28 marzo 1946, p. 1).

Dalle colonne del foglio si evince poi la posizione diametralmente opposta esistente nella Venezia Giulia os­sia nella Zona A amministrata da­gli anglo-americani e nella Zona B di pertinenza jugoslava. Nella pri­ma, soprattutto nelle città di Trie­ste e di Pola – che passarono agli Alleati con gli accordi di Belgra­do – la popolazione italiana poté esprimere nella più totale sponta­neità i propri sentimenti, cosa che, invece, non fu possibile nel resto dell'Istria in cui ogni dichiara­zione, ogni azione ed ogni even­to era controllato ed orchestrato dagli agenti dell'OZNA.

I dram­matici messaggi, però, rimasero per lo più inascoltati e si legge che "il Popolo istriano chiede l'occu­pazione Alleata della zona B per­chè sia posto fine al terrorismo nazionalista slavo-progressista e domanda di poter decidere da se stesso della propria sorte" (9 mag­gio 1946, p. 1). Si contesta pure la chiusura delle scuole italiane per­ché si andava a colpire un settore importante nella trasmissione del­l'italianità della regione. Così leg­giamo che esse furono soppresse del tutto in determinati comuni mentre in altri il loro numero di­minuì nell'ordine compreso tra il 50 e l'80 per cento. A Portole su 7 scuole italiane, con 17 maestri, ne rimasero 2 con due soli insegnanti, a Cherso furono soppressi tutti gli istituti ad eccezione di quello del capoluogo isolano, mentre nei vil­laggi di Caisole e Biancavilla, per esempio, nonostante le richieste della popolazione di vedere riaper­ta la scuola per i loro figli nulla si mosse; fatti simili si verificarono anche a Visinada e a Pinguente.

Malgrado il foglio operasse in clandestinità e la distribuzione fos­se alquanto rischiosa, nel numero del 13 settembre 1946 riscontria­mo alcuni dati alquanto interessan­ti: la tiratura iniziale era di 500 co­pie, triplicò con il numero 12 e con il 19 decuplicò, poiché le richieste aumentavano il numero 25 fu edito in ben 8000 copie, il 30 in 12 000 e il 35 addirittura in 14 000. Agli albori la sua distribuzione era limi­tata solo alla Zona B e in minima parte alla Zona A. Il foglio era in­viato in Italia a 493 giornali, a 127 sedi di partiti politici, a tutti i co­mitati giuliani costituiti, a tutti i deputati della commissione per gli affari esteri e a 53 giornalisti este­ri presenti a Roma e in altre città italiane. Un altro problema non in­differente da affrontare era quello dei mezzi finanziari, le somme ne­cessarie alla sua uscita erano, in­fatti, raccolte attraverso le elargi­zioni e grazie alla solidarietà dei lettori. Nel numero del 13 dicem­bre 1946 si annuncia che, proprio per mancanza di mezzi economici, sarebbe uscito tutt'al più un altro numero a meno che non ci fosse­ro stati dei contributi. L'appello fu ripetuto anche il 30 dicembre di quell'anno. In realtà furono raccol­ti dei mezzi in tutta Italia ma ormai la missione del giornale stava per esaurirsi e il trattato di pace, che avrebbe ceduto buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia, era ormai imminente.

Siamo tanti e tanto italiani

Il 27 giugno 1946 "agli inetti di Parigi" si suggeriva il plebiscito come unica soluzione per risolve­re il problema della Venezia Giulia e contemporaneamente, con sarca­smo, si aggiunge "visto lo spirito che anima i quattro a Parigi non ci sarebbe alcuna meraviglia, se, dopo tanti progetti assurdi e inu­mani, saltasse fuori la proposta di fare dell'Istria zona di esperimenti per la bomba atomica". Nei mesi estivi il giornale uscì solo il 19 lu­glio, il 10 agosto – in cui si ricordò la morte di Nazario Sauro, avve­nuta trent'anni prima – e il 13 set­tembre 1946 nel cui numero, con il titolo "Assassini!", si evidenzia­va la carneficina di Vergarolla av­venuta il 18 agosto a seguito del­lo scoppio di 28 mine disattivate e poste sulla spiaggia di Pola.

Al termine del 1946, allorché apparivano chiare le sorti del­l'Istria, il giornale, con amarezza, giudica l'operato dell'Italia e la sua sensibilità nei confronti delle terre del confine orientale. "Forse l'Italia – si legge sulla prima pa­gina del 13 dicembre – ha sempre guardato a noi un poco esitante, non bene convinta che noi siamo tanti e tanto italiani. Siamo stati, così, dimenticati e da soli abbiamo alimentato la fiamma della nostra grande idea e delle nostre speran­ze; tutti raccolti attorno alle no­stre pietre i vecchi, i giovani spar­si per il mondo ostile a preparare le giornate più belle". Il governo di Roma era giudicato incapace in quanto aveva abbandonato sia Zara sia Fiume nonché le isole del Quarnero, definito "il fiore della marineria nostra". E non era finita perché "poi venne la linea inglese che tagliava l'Istria in due. Si am­mise anche quella. Infine una linea francese, idiota come soltanto san­no essere certe idee francesi o cer­te linee tracciate da generali ame­ricani. E l'Istria è andata quasi tut­ta perduta salvo un lembo straccia­to attorno a Trieste".

A metà gennaio del 1947, a meno di un mese dalla firma del Trattato di pace, il "Grido del­l'Istria" enunciava che "Trieste deve diventare il campo trincerato della difesa della italianità istria­na" e ricordava, con dispiacere, la tragedia che si era abbattuta sulla popolazione dell'Adriatico orien­tale. "Ancora al principio dell'al­tro secolo esistevano sessantamila italiani in Dalmazia, liberi di vi­vere e di essere italiani. Oggi gli italiani liberi – e non tanto – di vivere e di essere sè stessi arri­vano appena a Trieste" e continua "L'Istria ha dato a Trieste operai, commercianti, marinai, armato­ri, intellettuali, patriotti e politici. Stà dando, ora, profughi e profu­ghi che sono tutto questo".

Così il capoluogo giuliano, che durante la dominazione austro-ungarica era considerato una sorta di capitale dell'italianità adriatica, nel pri­missimo secondo dopoguerra si ritrovò ad essere nuovamente un punto di riferimento, con la diffe­renza che nella nuova realtà aveva perduto il suo intero ed ampio en­troterra.

Il 1946 fu considerato un anno nefasto, per la popolazione italiana si trattava di una tempesta che s'era abbattuta con vigorosi­tà e che non accennava a placar­si. La lista delle prepotenze, del­le coercizioni, dei maltrattamenti era interminabile. Il foglio riporta che gli agenti dell'OZNA asporta­rono da varie parrocchie i registri risalenti addirittura al XVI secolo redatti in latino e in italiano, vio­lente campagne furono lanciate contro il clero italiano, in partico­lare contro i vescovi di Trieste e di Pola, e poi "continuano le raz­zie. Svalutazione artificiosa della lira per depredare gli italiani onde diminuirne la capacità di resisten­za. Chiusura di scuole italiane. Asportazione di macchinari. Ar­resti, deportazioni. E il mondo civile sta a guardare".

Il cinquantesimo ed ultimo nu­mero del "Grido dell'Istria" uscì febbraio 1947 cioè all'indo­mani della firma del Trattato di pace. Il giornale si apre con "10 febbraio. Finis Histriae". La città dell'Arena da lì a breve si sareb­be spopolata quasi completamen­te. "La crisi mortale di Pola è solo l'apice della tragedia istriana co­minciata nel settembre 1943. Da allora centomila italiani sono fug­giti per ritrovare la Patria, lascian­do alle spalle tutto ciò che conta nella vita: la casa, il lavoro, le me­morie. E una parte rilevante della tragedia istriana è proprio nell'in­comprensione dell'Italia ufficia­le. Di fronte a Pola che si svuo­ta l'Italia è stupefatta e imprepa­rata, come se da tre anni l'Istria non fosse tutta nelle condizioni di Pola".

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.