di Kristjan Knez
L'uscita del "Grido dell'Istria", sostenuta e voluta dall'Unione degli Istriani, va salutata positivamente in quanto grazie a tale edizione, che raccoglie i cinquanta numeri del giornale, si offre ai lettori e soprattutto agli studiosi la raccolta completa di un giornale di non facile reperibilità e al contempo di indubbio interesse per comprendere le vicende seguite al termine della seconda guerra mondiale e in particolare la posizione in cui venne a trovarsi la popolazione italiana. Naturalmente non si tratta di un foglio neutrale, va precisato, esso parteggiava per una causa e su determinate questioni, forse, si tendeva ad enfatizzare.
Nonostante questo appunto è doveroso segnalare l'importanza di siffatto giornale, poiché, a differenza de "L'Arena di Pola" – che usciva senza incontrare grosse difficoltà nella città amministrata dagli Alleati e quindi poteva, senza alcuna titubanza, esprimere le proprie posizioni – il "Grido" era illegale e tra innumerevoli traversie fu in grado di diffondere la voce sofferente dei connazionali sotto l'amministrazione provvisoria jugoslava, che, di fatto, era uno strapotere su una terra le cui sorti non erano ancora stabilite da un trattato di pace.
Attraverso gli articoli di fondo e le centinaia di segnalazioni e/ o notizie provenienti dalle varie località istriane si scorge innanzitutto la precaria situazione in cui vennero a trovarsi gli Italiani, sui quali, oltre all'ideologia comunista, si abbatté un nazionalismo prepotente che tendeva a rappresentare la componente italiana solo come usurpatrice di una terra slava, che dopo secoli sarebbe stata finalmente unita alla Jugoslavia.
Il giornale usciva in clandestinità e senza una periodicità, infatti, sotto il titolo si legge "Esce dove, quando e come può". A capo pagina poi non compariva alcun indirizzo redazionale e gli articoli non erano mai firmati. Il primo numero a stampa (il quinto della prima annata) vide la luce il 26 agosto 1945, la pubblicazione cessò il febbraio 1947 cioè il giorno dopo la firma del Trattato di pace. Le caratteristiche e le dimensioni del foglio mutarono nel corso del tempo. I primi quattro numeri furono semplicemente ciclostilati, mentre dal quinto in poi usciva "per gentile concessione di tipografie venete".
Per la concordia tra croati e italiani
Il primo numero diffuso porta il nome di "Osservatore" e si apre con l'articolo "Italiani e Jugoslavi dell'Istria" in cui si evidenziava che il Comitato Istriano poggiava sui postulati della Giustizia e della libertà, si ispirava ai tre maggiori partiti politici della regione (Democrazia Cristiana, Partito d'Azione e Socialismo), pertanto la linea che seguiva era antifascista e antimonarchica. Nel prosieguo si rammentava che "la nostra attività per ora si preoccupa di creare la premessa per una vera concordia tra croati e italiani. Ci appoggiamo innanzitutto alle forze progressiste che per prime hanno impugnato le armi ed hanno condotto a termine la lotta contro l'oppressore fascista. Esse si sono fatte garanti ed intermediarie fra i vari popoli auspicando la vera fratellanza. Ma quanti compagni che ieri hanno combattuto coraggiosamente non si sono fermati ed interdetti? Fino a ieri sloveni e italiani sono vissuti nel reciproco odio scatenato dalla improvvida propaganda fascista. Fu lo sloveno allora in uno stato di inferiorità, ma ora tutte le forze del maresciallo Tito hanno invertito la situazione. E così si continua a uccidere, a torturare, mentre l' italiano ingannato soffre".
Nell'estate del 1945 ci si chiedeva inoltre se dopo "le giuste vendette, le esemplari punizioni [che] dovrebbero aver soddisfatto tutti" sarebbe stato possibile vivere nelle proprie case nonché se una convivenza fosse stata possibile. Una nota concerne anche i comunisti italiani dell'Istria i quali avevano dato un contributo non indifferente al movimento partigiano.
Il giornale avverte che i medesimi furono attirati da false promesse, e riporta: "attratti dal miraggio di un vero comunismo e lusingati dall'offerta di un'ampia libertà per il popolo voi avete appoggiato, fiduciosi, l'instaurazione del regime di Tito, tendente tutt'altro che a creare quella tanto decantata eguaglianza (sic) sociale, il benessere e la libertà per il popolo e il risanamento delle triste condizioni dei lavoratori. Le promesse che a piene mani vi stavano elargendo gli emissari di Tito hanno servito unicamente al raggiungimento dei loro fini nazionalisti".
A tutela del popolo
Il 25 luglio 1945 usciva la "Sferza", foglio "Eletto per tutelare gli interessi del popolo". Tra gli argomenti presentati rammentiamo una critica al regime comunista da poco instaurato, i cui principi enunciati – famiglia, moralità, Patria, proprietà – erano ritenuti solo "(…) una maschera che si adotta per far preda sulla povera gente basandosi sull'ignoranza". Le pungenti osservazioni indicavano "quale moralità abbia il comunismo instaurato nella nostra povera Istria lo si vede dalle compagne che circolano per le nostre contrade. E poi si parla di famiglia su basi più morali; non si ammettono giornali se non comunisti o slavi e poi si parla di libertà di stampa; si parla di finirla con i favoritismi, si parla della ascesa dei migliori e poi vediamo al potere analfabeti che ti sistemano la loro parentela nei posti di contorno, si parla di libertà di opinione e si obbliga con l'uso della violenza ad esporre bandiere di partito "
Poichè quella era la realtà dei fatti i redattori del giornale definirono il comunismo in Istria nientemeno che " comunfascismo. "
Il giornale riporta anche una serie di note su personaggi che prima avevano appoggiato in vario modo il fascismo oppure avevano collaborato con i nazisti, mentre a guerra finita divennero strenui assertori dei nuovi padroni. Il medesimo chiedeva pertanto che "l'opera di pulizia iniziata contro i collaboratori ed i criminali fascisti deve essere completata. Chiediamo il fermo e la punizione di tutti gli arricchiti, gli approfittatori di guerra, di coloro che abusando della pubblica carica si sono macchiati del reato di concussione. Tutto ciò al di fuori di ogni in discriminazione politica. Solo così l'epurazione sarà radicale".
Che fare? Resistere
Nel numero del 5 settembre 1945, con l'articolo "Che cosa possiamo fare?", si risalta la critica situazione in cui si trovava la popolazione italiana, poiché "se appena ci azzardiamo di pronunciare una parola diversa da quelle comandate ci accoppano. Pure bisogna resistere. Non collaborare con l'occupatore. Fargli il vuoto intorno. Negargli ogni appoggio. Vivere ignorandolo. Fino al limite del possibile. Protestare col silenzio, coll'astensione, col rifiuto". Sul finire dell'estate del 1945, in concomitanza con l'apertura della conferenza di Londra, si iniziò a nutrire non poche speranze circa il nuovo confine d'Italia che sarebbe stato stabilito con il trattato di pace. Si auspicava passasse la proposta della cosiddetta Linea Wilson, dal nome del presidente statunitense che l'aveva ideata al termine del primo conflitto mondiale come possibile soluzione del contenzioso territoriale tra il Regno d'Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Alla conferenza londinese si chiedeva altresì "(.) di riconoscere i nostri sacri diritti sull'Istria italiana, concedendo al popolo jugoslavo, al quale siamo cordialmente uniti, il giusto premio per la lotta combattuta e vinta".
Il Comitato Istriano era decisamente contrario ad assolvere coloro che si erano macchiati sotto il regime mussoliniano e nell'articolo " Non ritorneranno! " si legge che " ci sono bastardi (bande nere o milizie fasciste ) rei di delitti, deportazioni che accarezzano il sogno di ritornare nella nostra Istria per prendere i loro posti il giorno della liberazione. Popolo istriano! Stà certo! Non ritorneranno mai! Il sangue dei nostri figli caduti per la libertà, lo strazio delle madri per quanti deportati sono morti in Germania, il terrore di quanti sono vissuti con la morte alla gola, i lividi di chi ha provato sulle proprie carni il manganello squadrista sono accuse alle quali dovranno rispondere davanti alla giustizia".
Il foglio era critico anche nei confronti dell'operato del regime fascista nella Venezia Giulia, e se da un lato si rammentano i grandi interventi pubblici che migliorarono le condizioni di vita della popolazione (l'acquedotto, le bonifiche, la lotta alla malaria, ecc.), dall'altro non si omettono gli errori compiuti. "Qui i metodi del governo fascista – si legge nell'edizione del 9 ottobre 1945 – si sono manifestati in tutta la loro assurdità. È naturale perciò che alcuni gruppi slavi non dimentichino i divieti nell'uso della lingua materna nelle scuole e nei giornali e certe intolleranze nei loro riguardi".
Da tali posizioni si evince chiaramente non vi fosse una connivenza con il fascismo, anzi, le accuse spesso mosse in quella direzione dalle autorità jugoslave e dai loro fiancheggiatori erano solo una sorta di alibi per colpire quanti non erano intenzionati a seguire la direttrice politica del partito unico.
Infatti "hanno accusato di fascismo la popolazione italiana perché non si lasciava bastonare in silenzio. Ci hanno chiamati reazionari perchè abbiamo sempre sostenuto il nostro diritto di sceglierci un modo di vivere, di proclamarci italiani davanti al mondo" (25 novembre 1945, p. 1). Al contempo non si tolleravano gli opportunisti che con straordinaria abilità erano riusciti a passare da un regime all'altro prestando la loro opera. I compilatori indicano che "non mancano i fascisti convertiti alla democrazia progressista. La funzione precipua di codeste spettrali autorità consiste nell'apostolato a favore della fratellanza italo-jugo-slava. Viene poi un'altra funzione non meno importante che è quella dello spionaggio e della delazione a danno degli italiani e a profitto dell'occupatore".
Basta con il sangue
L'obiettivo del "Grido dell'Istria" era la diffusione delle posizioni degli Italiani, che sotto il giogo jugoslavo erano impossibilitati ad esprimere, alla luce del sole, una linea politica alternativa. Contemporaneamente il foglio portava all'attenzione dell'opinione pubblica notizie e fatti accaduti nelle contrade istriane con particolare riferimento alla repressione messa in atto. Tutte le informazioni passavano clandestinamente e grazie alla collaborazione dei lettori, che rischiavano non poco per la loro incolumità.
Tra le rubriche segnaliamo quella intitolata "Complici!", in cui si evidenzia che i "responsabili, sappiatelo istriani, dei nostri dolori e dei nostri lutti non sono soltanto gli slavi calati dai boschi, ma anche degli italiani degeneri venduti all'oppressore".
La rubrica "L'istriano errante" – che con i primi numeri del 1946 diventerà "Sotto il terrore dell'OZNA" – segnala invece le prevaricazioni avvenute nei confronti degli Italiani e di coloro che erano contrari alla politica annessionistica jugoslava come pure tutti gli interventi delle autorità comuniste tese a cancellare i segni dell'italianità nonché a soffocare i sentimenti della popolazione italiana. Il 25 novembre 1945 con "Basta sangue!" si lancia un monito per fermare la spirale di violenza che ormai regnava ad oriente di Trieste. Non si lesinano i rimproveri verso coloro che parlavano di fratellanza e di collaborazione, mentre in realtà – contrariamente ai buoni principi enunciati – conculcavano i diritti della componente italiana. Sul finire di quell'infausto anno si rassicurava la popolazione che "questo tragico periodo finirà" e che "l'Italia ritornerà", perché "la nostra certezza è basata sulla giustizia e sulla garanzia che le Nazioni Unite ci hanno dato per il trionfo del nostro diritto" (9 dicembre 1945, p. 1). Sarà solo un'illusione!
Se il numero di Natale era "pieno di tristezza per l'Istria", quello del primo gennaio 1946, con un titolo erompente d'ottimismo, annunciava che "La vita ritornerà". La speranza in un futuro migliore era dettata dal fatto che sul piano internazionale s'era deciso di arrivare quanto prima al trattato di pace con l'Italia e tutti gli stati coinvolti nel conflitto contro le forze del patto Tripartito. Vi era però un eccesso di fiducia, infatti, si legge che "l'Italia dunque non avrà una pace di forza, imposta dai vincitori, ma una pace che, sperabilmente sarà frutto di un sereno e giusto esame della sua buona preparazione democratica e della sua partecipazione alla lotta contro il totalitarismo".
Intanto si annunciava l'arrivo della commissione preposta alla raccolta dei dati per le proposte della linea di demarcazione tra i due stati. In un clima illiberale appariva palese per gli Italiani l'impossibilità di manifestare le proprie posizioni. Il "Grido dell'Istria" del 31 gennaio 1946 riporta a piena pagina "L'italianità dell'Istria strozzata col terrore" indicando altresì che "si impone la bandiera jugoslava. – Si manomettono le Anagrafi. – Si minaccia apertamente la foiba a chi non applaudirà a Tito. – Si spianano i mitra contro chi osa dirsi italiano".
L'intenzione degli jugoslavi era, quindi, proporre artatamente ai membri della commissione internazionale la volontà plebiscitaria dell'intera popolazione dell'Istria di unirsi alla Jugoslavia, di conseguenza ogni espressione contraria, e in primo luogo a favore dell'Italia, era pesantemente soppressa con l'uso della violenza. Nei numeri successivi si rileva poi che "gli archi e le scritte non possono esprimere i sentimenti del vero popolo istriano che invoca la fine di una odiosa commedia" (6 marzo 1946, p. 1).
Il Comitato di Liberazione Nazionale per l'Istria indirizzava alla popolazione alcuni consigli su come comportarsi all'arrivo della detta commissione. E mentre "il CLN Istriano denuncia al mondo la nostra drammatica situazione" ci si consolava rimembrando la storia, nella "(…) ininterrotta continuità italica, manifestantesi, sempre e pur sotto l'ostile dominazione di uno stato straniero, nella lingua, nei costumi, nella cultura, nell'arte, nel navigare, nelle industrie e nei commerci" (13 febbraio 1946, p. 1).
Ridateci la libertà
Intanto si stava avvicinando l'arrivo della commissione interalleata. Il 16 marzo 1946 con il titolo "Ridateci la libertà. Rifateci la vita!" e un appello in italiano, in inglese e in francese si rammentava che "da dieci mesi un'amministrazione, che doveva essere fiduciaria, sta violentemente calpestando ogni nostro più elementare diritto di uomini, di cittadini, di italiani. Sappiatelo e fate conoscere le nostre condizioni al di fuori di questo carcere". Era il lamento di una popolazione soggetta ad una dura politica repressiva, calpestata nei diritti ed intimorita in vario modo affinché non manifestasse la propria identità e la volontà di ritornare a far parte dell'Italia.
Comprendendo l'importanza della visita di quegli esperti, s'intensificarono le denuncie del giornale il quale avvertiva le Nazioni Unite e l'opinione pubblica che gli Jugoslavi erano responsabili di "violazione degli usi di guerra; oppressioni; forme crudeli di tortura; delitti comuni compiuti su vasta scala sotto specie politica; diffuse confische di beni; deportazioni illegali; infrazioni alle leggi d'umanità e ai dettami della coscienza pubblica quali sono stati codificati nella IV. Convenzione dell'Aja del 1907" (28 marzo 1946, p. 1).
Dalle colonne del foglio si evince poi la posizione diametralmente opposta esistente nella Venezia Giulia ossia nella Zona A amministrata dagli anglo-americani e nella Zona B di pertinenza jugoslava. Nella prima, soprattutto nelle città di Trieste e di Pola – che passarono agli Alleati con gli accordi di Belgrado – la popolazione italiana poté esprimere nella più totale spontaneità i propri sentimenti, cosa che, invece, non fu possibile nel resto dell'Istria in cui ogni dichiarazione, ogni azione ed ogni evento era controllato ed orchestrato dagli agenti dell'OZNA.
I drammatici messaggi, però, rimasero per lo più inascoltati e si legge che "il Popolo istriano chiede l'occupazione Alleata della zona B perchè sia posto fine al terrorismo nazionalista slavo-progressista e domanda di poter decidere da se stesso della propria sorte" (9 maggio 1946, p. 1). Si contesta pure la chiusura delle scuole italiane perché si andava a colpire un settore importante nella trasmissione dell'italianità della regione. Così leggiamo che esse furono soppresse del tutto in determinati comuni mentre in altri il loro numero diminuì nell'ordine compreso tra il 50 e l'80 per cento. A Portole su 7 scuole italiane, con 17 maestri, ne rimasero 2 con due soli insegnanti, a Cherso furono soppressi tutti gli istituti ad eccezione di quello del capoluogo isolano, mentre nei villaggi di Caisole e Biancavilla, per esempio, nonostante le richieste della popolazione di vedere riaperta la scuola per i loro figli nulla si mosse; fatti simili si verificarono anche a Visinada e a Pinguente.
Malgrado il foglio operasse in clandestinità e la distribuzione fosse alquanto rischiosa, nel numero del 13 settembre 1946 riscontriamo alcuni dati alquanto interessanti: la tiratura iniziale era di 500 copie, triplicò con il numero 12 e con il 19 decuplicò, poiché le richieste aumentavano il numero 25 fu edito in ben 8000 copie, il 30 in 12 000 e il 35 addirittura in 14 000. Agli albori la sua distribuzione era limitata solo alla Zona B e in minima parte alla Zona A. Il foglio era inviato in Italia a 493 giornali, a 127 sedi di partiti politici, a tutti i comitati giuliani costituiti, a tutti i deputati della commissione per gli affari esteri e a 53 giornalisti esteri presenti a Roma e in altre città italiane. Un altro problema non indifferente da affrontare era quello dei mezzi finanziari, le somme necessarie alla sua uscita erano, infatti, raccolte attraverso le elargizioni e grazie alla solidarietà dei lettori. Nel numero del 13 dicembre 1946 si annuncia che, proprio per mancanza di mezzi economici, sarebbe uscito tutt'al più un altro numero a meno che non ci fossero stati dei contributi. L'appello fu ripetuto anche il 30 dicembre di quell'anno. In realtà furono raccolti dei mezzi in tutta Italia ma ormai la missione del giornale stava per esaurirsi e il trattato di pace, che avrebbe ceduto buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia, era ormai imminente.
Siamo tanti e tanto italiani
Il 27 giugno 1946 "agli inetti di Parigi" si suggeriva il plebiscito come unica soluzione per risolvere il problema della Venezia Giulia e contemporaneamente, con sarcasmo, si aggiunge "visto lo spirito che anima i quattro a Parigi non ci sarebbe alcuna meraviglia, se, dopo tanti progetti assurdi e inumani, saltasse fuori la proposta di fare dell'Istria zona di esperimenti per la bomba atomica". Nei mesi estivi il giornale uscì solo il 19 luglio, il 10 agosto – in cui si ricordò la morte di Nazario Sauro, avvenuta trent'anni prima – e il 13 settembre 1946 nel cui numero, con il titolo "Assassini!", si evidenziava la carneficina di Vergarolla avvenuta il 18 agosto a seguito dello scoppio di 28 mine disattivate e poste sulla spiaggia di Pola.
Al termine del 1946, allorché apparivano chiare le sorti dell'Istria, il giornale, con amarezza, giudica l'operato dell'Italia e la sua sensibilità nei confronti delle terre del confine orientale. "Forse l'Italia – si legge sulla prima pagina del 13 dicembre – ha sempre guardato a noi un poco esitante, non bene convinta che noi siamo tanti e tanto italiani. Siamo stati, così, dimenticati e da soli abbiamo alimentato la fiamma della nostra grande idea e delle nostre speranze; tutti raccolti attorno alle nostre pietre i vecchi, i giovani sparsi per il mondo ostile a preparare le giornate più belle". Il governo di Roma era giudicato incapace in quanto aveva abbandonato sia Zara sia Fiume nonché le isole del Quarnero, definito "il fiore della marineria nostra". E non era finita perché "poi venne la linea inglese che tagliava l'Istria in due. Si ammise anche quella. Infine una linea francese, idiota come soltanto sanno essere certe idee francesi o certe linee tracciate da generali americani. E l'Istria è andata quasi tutta perduta salvo un lembo stracciato attorno a Trieste".
A metà gennaio del 1947, a meno di un mese dalla firma del Trattato di pace, il "Grido dell'Istria" enunciava che "Trieste deve diventare il campo trincerato della difesa della italianità istriana" e ricordava, con dispiacere, la tragedia che si era abbattuta sulla popolazione dell'Adriatico orientale. "Ancora al principio dell'altro secolo esistevano sessantamila italiani in Dalmazia, liberi di vivere e di essere italiani. Oggi gli italiani liberi – e non tanto – di vivere e di essere sè stessi arrivano appena a Trieste" e continua "L'Istria ha dato a Trieste operai, commercianti, marinai, armatori, intellettuali, patriotti e politici. Stà dando, ora, profughi e profughi che sono tutto questo".
Così il capoluogo giuliano, che durante la dominazione austro-ungarica era considerato una sorta di capitale dell'italianità adriatica, nel primissimo secondo dopoguerra si ritrovò ad essere nuovamente un punto di riferimento, con la differenza che nella nuova realtà aveva perduto il suo intero ed ampio entroterra.
Il 1946 fu considerato un anno nefasto, per la popolazione italiana si trattava di una tempesta che s'era abbattuta con vigorosità e che non accennava a placarsi. La lista delle prepotenze, delle coercizioni, dei maltrattamenti era interminabile. Il foglio riporta che gli agenti dell'OZNA asportarono da varie parrocchie i registri risalenti addirittura al XVI secolo redatti in latino e in italiano, violente campagne furono lanciate contro il clero italiano, in particolare contro i vescovi di Trieste e di Pola, e poi "continuano le razzie. Svalutazione artificiosa della lira per depredare gli italiani onde diminuirne la capacità di resistenza. Chiusura di scuole italiane. Asportazione di macchinari. Arresti, deportazioni. E il mondo civile sta a guardare".
Il cinquantesimo ed ultimo numero del "Grido dell'Istria" uscì febbraio 1947 cioè all'indomani della firma del Trattato di pace. Il giornale si apre con "10 febbraio. Finis Histriae". La città dell'Arena da lì a breve si sarebbe spopolata quasi completamente. "La crisi mortale di Pola è solo l'apice della tragedia istriana cominciata nel settembre 1943. Da allora centomila italiani sono fuggiti per ritrovare la Patria, lasciando alle spalle tutto ciò che conta nella vita: la casa, il lavoro, le memorie. E una parte rilevante della tragedia istriana è proprio nell'incomprensione dell'Italia ufficiale. Di fronte a Pola che si svuota l'Italia è stupefatta e impreparata, come se da tre anni l'Istria non fosse tutta nelle condizioni di Pola".