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I contributi per il superamento dei nazionalismi a Trieste (Il Piccolo 04 set)

INTERVENTO

Sotto il titolo ”Trieste e i tre presidenti” sul Piccolo del 12 agosto u.s. il prof. Stelio Spadaro ripercorre i dati salienti di quel percorso che ha portato Trieste a quello straordinario appuntamento svoltosi in città con la partecipazione dei 3 Presidenti di Italia, Slovenia e Croazia. Nel sottolineare che questo evento non poteva rappresentare solo un ricordo, ma anche un’opportunità, Spadaro coglie due aspetti che mi interessa riprendere: il ruolo nefasto che i diversi nazionalismi di ieri e di oggi, quello italiano e quello sloveno, hanno avuto e possono continuare ad avere se non vengono decisamente contrastati nella storia di un territorio come il nostro; e, accanto a questo, l’indiscutibile preziosità del lavoro svolto dai sindaci Illy e Dipiazza perché si potesse arrivare a questo evento che giustamente ha assunto un carattere storico. Le argomentazioni sostenute da Peter Mocnik delle quali mi limito a prendere atto, in quanto in verità prevalentemente dettate da esigenze dovute alla difesa d’ufficio della Slovenska Skupnost della quale è segretario, non contestano comunque i malefici risvolti dei diversi nazionalismi. Quello che mi preme far presente è, tuttavia, il ruolo che in questo percorso hanno svolto, con alterne intensità, anche le comunità religiose che aldiquà e aldilà del vecchio confine sono state protagoniste non secondarie della vita delle nostre popolazioni. E nel guardare a quella della Chiesa cattolica, penso con profonda gratitudine al difficile compito che si sono assunti in particolare i vescovi di Trieste mons. Bellomi e mons. Ravignani. Di quest’ultimo, richiamo in particolare quell’invito alla ”riconciliazione” che ha già agito in profondità e che avrebbe dovuto fare di Trieste (ma potrebbe farlo ancora) ”un esempio nel saper offrire un’esperienza nel superare gli scontri, …le separazioni, …i pregiudizi”, ”proprio a partire dalla sua storia, non da cancellare, ma da affidare alla memoria da purificare” (che sempre su questa rubrica don Del Ben ha ricordato qualche giorno dopo il grande concerto di Muti). È un segno di forte continuità con quanto a livello mondiale aveva significato la storica richiesta di perdono da parte di Papa Giovanni Paolo II per altri gravi errori della Chiesa, lungo l’arco della sua millenaria storia.

La forte responsabilità che si è preso il Vescovo Ravignani in quella circostanza può oggi essere sinceramente ricordata proprio accanto al lavoro svolto dai sindaci, per il suo significato religioso e profetico, proprio di un indirizzo pastorale che si è positivamente inserito nel comune obiettivo civile raggiunto. Lo dico perché i diversi nazionalismi richiamati da Spadaro per i loro aspetti politici e culturali e che hanno caratterizzato anche l’attività della Chiesa tra le genti di queste tre nazioni, hanno avuto a loro volta un’analoga importanza nella evoluzione della vita delle rispettive comunità religiose, prima ancora che nel contesto civile e politico. La passione pastorale di Ravignani è quindi l’esemplificazione di un segnale – per il quale non lo si ringrazierà mai abbastanza – destinato ad avere, mi auguro, conseguenze e riscontrare significative condivisioni e coerenti comportamenti anche in Slovenia e Croazia. Certo, il contesto europeo in cui oggi questi territori sono chiamati a convivere, può facilitare un percorso che – come ha acutamente scritto il prof. Paolo Segatti nel fondo del Piccolo con il quale ha commentato l’evento del 13 luglio – interpella oggi più che mai proprio la Chiesa cattolica in ragione del ruolo avuto nel percorso troppo spesso drammatico dei nostri Paesi dal dopoguerra ai nostri giorni. I semi della riconciliazione e del perdono sono cioè gli elementi per poter superare una responsabilità anche religiosa che pure c’è stata e che ha contrassegnato la vita dei credenti, italiani, croati, sloveni.

Tarcisio Barbo

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