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I Banfield, dall’Irlanda ai cieli di Trieste (Il Piccolo 20 dic)

di PIETRO SPIRITO

L’Aquila di Trieste arriva da lontano. I primi Banfield li troviamo a Lion Castle, nella Contea di Kork, in terra d’Irlanda, attorno alla seconda metà del XVII secolo. È una stirpe guerriera che appartiene al ceppo normanno-irlandese, e in quella verde regione dominata dai britanni, piena di castelli e di leggende, in un orizzonte che fonde cielo e mare i Banfield affondano le radici del loro robusto albero genealogico.

William Banfield nasce nel 1683 e muore nel 1751, lasciando una successione di capifamiglia che portano i nomi di Peter, Richard e Thomas Collin, ”famigerato donnaiolo”, come viene ricordato ancora oggi dai discendenti. Thomas vede in natali all’alba dell’Ottocento, ed è il primo Banfield dell’era moderna a seguire i destini dell’Europa in mutamento. Dopo gli scossoni della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche, all’indomani del Congresso di Vienna Thomas Collin Banfield lascia l’Irlanda e, su specifica richiesta di Ludovico I di Baviera, approda a Monaco, con l’incarico di insegnante di inglese e precettore della casa reale. Bello, colto e spregiudicato, Thomas Collin sposa nel 1853, nella chiesa di Santo Stefano a Vienna, Josephine von Frech, dando avvio agli ultimi capitoli della saga dei Banfield, il ramo della famiglia che lungo le vie dell’Austria porta dritto a Trieste. Dall’unione dell’irlandese, suddito della regina Vittoria, e della nobile austriaca nascono nove figli, il maggiore dei quali porta il nome di Richard Mitis Banfield, padre di Goffredo e nonno di Maria Luisa ”Pinky” de Banfield. È lei che adesso, a 83 anni portati con disinvoltura, rimette insieme i tasselli del puzzle di famiglia.

Nonostante il padre sia fedele alla Corona britannica, Richard entra come ufficiale nella Marina austriaca al servizio degli Asburgo, dopo aver frequentato l’Imperial regia Accademia di Venezia. Lo troviamo come ufficiale di artiglieria sulla corazzata Ferdinand Max nella battaglia di Lissa, fianco a fianco con l’ammiraglio Tegetthoff, poi lo vedremo comandante del Presidio di Castelnuovo, alle Bocche di Cattaro, e infine direttore di armamento nel cantiere navale di Pola. Ma prima Richard Banfield si è sposato – nella chiesa di Barcola a Trieste – con la baronessa Nathalie Mumb von Muhlheim, figlia del comandante del 14.o Reggimento di fanteria, caduto a Solferino, e che prima del matrimonio ha abitato nel Castelletto di Miramare con lo zio, direttore dei lavori per la costruzione del castello di Massimiliano. Il 6 febbraio del 1890, a Castelnuovo, la baronessa Nathalie dà alla luce Goffredo, ultimo di cinque fratelli. Ragazzino vivace e irrequieto, Goffredo è affascinato dai due elementi che hanno nutrito tanta parte della sua stirpe: mare e cielo. Frequenta le elementari alla scuola della Marina di Pola, le medie alla scuola militare di St. Polten, nella bassa Austria, quindi si iscrive all’Accademia navale di Fiume. Nel 1910, dopo l’accademia, frequenta il corso ufficiali a Pola e si imbarca sulla corazzata ”Arciduca Francesco Ferdinando”.

Goffredo ama il mare, ma è anche attratto dal volo. Sin da ragazzino è ammaliato dalle creature dell’aria: come scriverà nelle sue memorie (”L’Aquila di Trieste”, ed. Lint) ama osservare il planare dell’albatros, l’atterraggio della colomba, le tecniche di caccia del falco, dello sparviero e della poiana, il sistema d’orientamento dei volatili notturni e dei pipistrelli. È affascinanto dalla storia del volo umano, che ai suoi tempi sta vivendo l’epoca gloriosa dei primi aeroplani. Perciò, nel 1912, non sta nella pelle quando, appena dopo aver ottenuto il comando del rimorchiatore ”Hippos”, viene spedito alla Società velivoli a motore di Wiener Naustadt per ricevere un’istruzione da pilota. Qui, tra gli allievi della nascente aviazione, trova anche i suoi fratelli Karl e Ferdinand. Manco a dirlo, Goffredo Banfield scopre di avere il volo nel sangue. In breve prende i brevetti di pilota, pilota militare e pilota di idrovolanti, si appassiona alle tecniche di costruzione dei velivoli, partecipa all’acquisizione di apparecchi come i Donnet-Lévecque. Nel 1913, durante un volo dimostrativo, di ritorno verso Pola, il motore pianta in asso il futuro asso dell’aviazione imperiale. Goffredo tenta l’ammaraggio, ma il mare è mosso e la manovra non riesce del tutto: due longheroni dell’aereo si spezzano e spezzano la gamba destra del pilota. Soccorso e portato a Pola, all’inizio Goffredo teme di perdere la gamba. Viene sottoposto a una serie di interventi chirurgici, trascorre sedici mesi in convalescenza poi torna alla stazione idrovolanti. L’incidente lo lascerà claudicante a vita, circostanza che non gli impedirà di primeggiare nei suoi sport preferiti, tra cui il tennis.

Lo scoppio della Prima guerra mondiale trova Goffredo Banfield in piena forma a bordo del suo L47, con il quale nel luglio del 1915 ingaggia il suo primo duello con un biplano Nieuport nello spicchio di cielo fra Isonzo e Tagliamento. Quindi riceve l’incarico di creare una stazione idrovolanti nel porto di Trieste, nei pressi dell’Arsenale del Lloyd, a difesa della città. Tra ricognizioni, bombardamenti e duelli aerei inizia la carriera di eroe del giovane aviatore. Goffredo viene ferito due volte. La prima, sopra Capodistria, è colpito alla gamba da una pallottola al fosforo sparata dal Mas di Luigi Rizzo, il nemico che poi incontrerà in veste di amico anni dopo. La seconda viene centrato da un aereo italiano durante un duello. A Trieste Goffredo diventa presto una star: bello e audace, è adorato dalle donne, al punto che le ”venderigole” di Piazza Ponterosso fanno colletta e gli regalano un serto d’argento. Lo chiamano l’Aquila di Trieste, Francesco Giuseppe lo nomina barone, il suo idrovolante, che vola nel blu ed è dipinto di blu, è noto appunto come Miracolo blu. A Roma, chissà perché, lo conoscono come Drago rosso, e sicuramente lo riconosce l’asso italiano Francesco Baracca quando i loro velivoli s’incrociano, il primo gennaio del 1917, nel cielo sopra Sistiana, in un incontro che finirà con un cavalleresco saluto.

Finita la guerra, nel 1920 Goffredo convola a nozze con la ragazza più bella di Trieste, Maria Tripcovich, conquistata con un giro in aereo sulla città. In città è conosciuta e ammirata da tutti. Il fidanzamento ufficiale porta la data del 3 novembre 1918. L’amore dell’Aquila di Trieste per Maria è autentico, e l’intera famiglia Tripcovich stravede per questo giovane eroe di lontana origine irlandese.

In seguito Maria diventerà un modello di eleganza e bellezza per le donne di Trieste e protettrice delle arti. Che dal canto suo ha passato una serie di guai con la nuova madrepatria: in carcere con l’accusa di aver venduto la base aeronavale di Trieste alla Jugoslavia, nel 1919 viene espulso dall’Italia, e soprattutto ha davanti a sé un futuro incerto. Ci pensano i Tripcovich: dopo il matrimonio a Londra con Maria, Goffredo entra come disegnatore nei cantieri Lith & Co. di Port Glasgow. Anche grazie all’intercessione dell’ex nemico Luigi Rizzo, nel 1923 può finalmente tornare a Trieste dove, dopo la morte dei Diodato, assume l’incarico di guidare la sezione Recuperi, rimorchi e salvataggi della Tripcovich. Per lui è un ritorno al mare, e mentre nascono i figli Raffaello (1922) e Maria Luisa (1927) i palombari e i rimorchiatori della Tripcovich si avviano a diventare leader del settore, con imprese storiche come la bonifica del Canale di Suez dopo la guerra arabo israeliana del ’56. «Papà – ricorda Maria Luisa – amava il suo lavoro; avevo 23 anni quando, per convincere i palombari a calarsi sul relitto pericoloso di una nave affondata in golfo, mi costrinse a indossare lo scafandro e a scendere sul relitto per dimostrare a tutti che anche una ”mula” lo poteva fare».

Il resto è storia recente. Goffredo de Banfield morirà nella sua bella villa di Gretta nel 1986, salutato dall’intera città come uno dei suoi grandi, esprimendo ai figli la propria angoscia per chi non poteva come lui morire in casa circondato dagli affetti (da cui la nascita dell’Associazione Goffredo de Banfield).

Maria Luisa, dopo una giovinezza passata tra la meglio gioventù di New York, Parigi, Londra sposerà l’industriale Guido Mosterts, del Lanificio di Somma, incrociato per caso a Milano all’età di 25 anni. Dal loro matrimonio nasceranno Giorgio, Marco e Sebastiano. Raffaello, invece, detto Falello, si avvia sulla strada dell’arte. Studia tra l’altro al Conservatorio "Benedetto Marcello" di Venezia sotto la guida di Gian Francesco Malipiero, poi a Trieste con il Maestro Vito Levi ed infine a Parigi dal 1946 al '49. Diventerà compositore, professore e direttore dell'American Conservatory of Music di Fontainebleau. Conosce Herbert von Karajan, con il quale avrà un profondo e duraturo rapporto di amicizia e a Parigi frequenta Pablo Picasso, Greta Garbo, Jaen Cocteau, Francio Poulenc e molti altri. Stringerà amicizia anche con Maria Callas e nel 1949, grazie alla pittrice Leonor Fini, conosce Roland Petit e compone la musica per il suo nuovo balletto, "Le combat", in scena a Londra. L’opera sarà rappresentata ben trentanove volte alla Wiener Staatsoper. Ma tutte le sue opere e i suoi balletti saranno rappresentati nei maggiori teatri del mondo. Dal 1972 al 1996, ininterrottamente per 24 anni, sarà l’apprezzato e stimato direttore artistico del Teatro Verdi di Trieste, che rinnovò e modernizzò, e tra il 1978 e il 1986 sarà anche direttore artistico del "Festival dei due mondi" di Spoleto.

Nella sua lunga carriera otterrà numerose onoreficienze, tra le quali quella di Grand’Ufficiale della Repubblica Italiana e quella di Gran Cavaliere della Legion d’Onore consegnatagli da François Miterrand nel 1994, oltre al San Giusto d’Oro nel 1973. Poi, in anni più recenti, perderà tutto nel gorgo del fallimento della Tripcovich, una voragine di oltre 500 miliardi di lire avvenuta al tempo in cui amministratore delegato era Agostino della Zonca. Raffaello de Banfield è morto in un modesto appartamento di via del Lazzaretto Vecchio nel gennaio dello scorso anno.

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