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Giudici croati: ridate le case agli italiani (La Stampa 22 ago)

di FRANCESCO MOSCATELLI e PAOLO STEFANINI

Via Radic 35. Centro di Zagabria. È questo l’indirizzo della speranza per gli italiani di Istria e Dalmazia che da oltre mezzo secolo sognano la restituzione delle loro proprietà nazionalizzate dalla Jugoslavia socialista. Con una sentenza storica, l’Alta Corte croata ha convalidato la decisione del 2008 di un tribunale amministrativo: la palazzina di via Radic 35 dovrà tornare alla sua antica proprietaria, Zlata Ebenspanger, una donna ebrea di origini croate, ma cittadina brasiliana.

Una svolta. Finora le leggi di denazionalizzazione, approvate dalle nuove repubbliche indipendenti dopo la dissoluzione della Jugoslavia del Maresciallo Tito, non avevano mai esteso agli stranieri il diritto alla restituzione delle proprietà confiscate. Anche in Croazia: i croati potevano riavere i beni (o un indennizzo), gli stranieri no. «Come se la proprietà privata dipendesse dalle varie cittadinanze», commenta un soddisfatto Furio Radin, presidente dell’Unione Italiana e deputato al parlamento croato (un seggio è riservato alla minoranza): «Aspettavamo da anni una sentenza del genere. Pochi credevano in un verdetto favorevole. Sembra invece che lo Stato di diritto abbia funzionato».

Dall’indipendenza della Croazia, nel 1991, sono 4.211 i cittadini stranieri che hanno avviato al Ministero della Giustizia di Zagabria l’iter per la restituzione dei beni espropriati dopo il 1945. In testa gli italiani (1.034), seguiti da austriaci (676), israeliani (175) e tedeschi (143). Ma per capire i limiti e la portata della sentenza dell’Alta Corte serve un ripasso di geografia e soprattutto di storia, in quest’area di frontiere mobili e di grandi tragedie, tra guerre, foibe e il doloroso esodo dei giuliano-dalmati.

Dopo la guerra, Tito confiscò tutti i beni degli italiani che, costretti dal crescente clima d’odio, avevano abbandonato i territori dell’Istria e della Dalmazia. Il Trattato di Pace di Parigi del 1947 stabilì in 125 milioni di dollari la somma di riparazione che l’Italia doveva versare a Belgrado per i danni bellici. Le autorità socialiste (anche se questo non era previsto dal Trattato, che anzi garantiva il diritto di proprietà) iniziarono ad attuare confische di massa, giustificando il comportamento proprio con la questione del mancato risarcimento. Nessun successivo Trattato (Osimo nel 1975, Roma nel 1983) ha risolto la questione.

La Jugoslavia si era impegnata a pagare per i beni nazionalizzati ma, con la dissoluzione, tutto è finito nelle tasche dei nuovi Stati. Così, solo per la Croazia, visto che si tratta in gran parte di palazzi e ville lussuose, il conto potrebbe arrivare a 500 milioni di euro. La possibilità di restituzione aperta dalla sentenza dell’Alta Corte riguarda solo una particolare categoria di cittadini stranieri privati dei loro beni. Innanzitutto, per il risarcimento, la domanda deve essere stata presentata entro il febbraio del 2003. E poi, per gli italiani, è più problematica la situazione dei molti a cui case e terreni furono nazionalizzati dopo il Trattato del 1947 perché non sono nella lista già stilata allora delle restituzioni. E la paura ulteriore, come spiega il presidente dell’Unione degli istriani Massimiliano Lacota, è che finisca come in Slovenia, dove molte proprietà sono state vendute dallo Stato ai privati, rendendo impossibile la restituzione. «Per evitarlo – riflette -, l’Italia dovrebbe sottoscrivere un accordo bilaterale che congeli la situazione».

Conosce bene queste insidie la signora Anita Derin, capodistriana doc, che spera ancora di poter tornare nei luoghi della sua infanzia. «Siamo scappati nel 1947, quando avevo dodici anni – racconta -. Un partigiano con i baffoni neri entrò e si prese la mia cameretta: il letto per sé, il divano per il suo cane lupo. Mi rimangono solo le chiavi d’ingresso e un pezzetto di muro, che ho recuperato anni dopo. Oggi la villa ospita alcuni uffici e non amo vederla così. Tutte le notti, prima di addormentarmi, torno con il pensiero a sessant’anni fa. Ricordo perfettamente ogni angolo, ogni lampada e ogni tappeto. Ho già dato disposizioni: se non mi restituiranno la casa voglio almeno essere sepolta con le chiavi in tasca».

 

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