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Enciclopedia del calvario istriano-dalmata (Voce del Popolo 09 feb)

ROMA – Cosa accade alla memoria storica e all’identità culturale quando i confini degli Stati subiscono una radicale trasformazione? Lo spiega una ricercatrice americana, Pamela Ballinger, in uno studio impegnativo e affascinante sull’esodo italiano dall’Adriatico orientale; una ricerca che propone ambedue i punti di vista, quello degli esuli che lasciarono il territorio e di coloro che rimasero in Istria e Dalmazia. Sfruttando un approccio multidisciplinare, in cui alla storia si uniscono le tecniche proprie dell’antropologia, della linguistica, della letteratura e degli studi culturali, l’autrice illustra sia le ragioni complesse alla base di questo processo, sia il modo in cui il fenomeno è stato interpretato e utilizzato nel corso degli ultimi cinquant’anni, da un lato da parte della maggioranza della popolazione italiana che abbandonò la regione nel secondo dopoguerra, dall’altro lato dalla minoranza che vi è rimasta. È “La memoria dell’esilio – Esodo e identità al confine dei Balcani” di Pamela Ballinger (Roma 2010, pp. XVI – 516, euro 35), che Il Veltro Editrice ha tradotto e appena pubblicato in italiano. Il saggio di Pamela Ballinger (in inglese “History in Exile – Memory and identity at the Borders of the Balkans”, edito dalla prestigiosa Princeton University Press nel 2003) costituisce il primo importante studio di carattere antropologico dedicato al tema dell’esodo dall’Istria – così come dalle città di Zara e Fiume – tra il 1943 e il 1955.

Analisi completa

La ricerca s’incentra in particolare su come la popolazione italiana, divisa da confini politici dopo la Seconda guerra mondiale, vive il ricordo della “Marca Giuliana” – termine cui la studiosa americana ricorre per indicare la zona di confine tra l’Italia e l’allora Jugoslavia, e che comprende la Venezia Giulia e l’Istria odierne – nel decennio successivo alla fine della Guerra Fredda e alla dissoluzione della Jugoslavia socialista. Sotto l’aspetto cronologico, Ballinger fa iniziare la sua analisi partendo dagli anni tra i due conflitti mondiali, quando si verificarono le prime partenze degli italiani dalla Dalmazia. Ciò che avvenne in questa regione costituisce, per la ricercatrice, la base di un attento esame storico proprio di quello che è capitato poi in Istria durante e dopo la guerra, quando gli istriani, tanto quelli “italofoni” quanto gli “slavofoni”, verranno coinvolti in un circolo vizioso di antagonismi e volenze. Ballinger segue quindi l’inserimento degli italiani nelle loro nuove case nella Nazione Madre, dopo l’esodo, prendendo in considerazione il graduale processo di adattamento all’ambiente, come pure l’atteggiamento assunto verso quello che era loro successo, rispettivamente i cambiamenti che si verificheranno nella percerzione e nel ricordo di qui fatti a distanza di tanti anni. La sua indagine “torna” quindi in Istria, tra gli italiani rimasti, soffermandosi sulle motivazioni della scelta di non lasciare la propria terra.

Una pagina sconosciuta

Come anticipato sopra, Ballinger esamina ambedue i punti di vista, quello degli esuli e quello dei rimasti. Il crollo della Jugoslavia e la trasformazione politica dell’Italia nei primi anni ’90 permetteranno a questa popolazione di portare la propria storia all’attenzione dell’opinione pubblica italiana e mondiale quasi mezzo secolo dopo che si è compiuta questa triste pagina di storia. Nel suo libro, Ballinger esamina il contesto politico e culturale degli avvenimenti storici non solo nell’area di Trieste, dove la maggior parte degli esuli si stabilì, ma anche nella penisola istriana, dove coloro che hanno deciso di restare risiedono e sono attivi tutt’oggi, mantenendo in vita lingua e cultura italiane.
Frutto di una meticolosa ricerca negli archivi e nelle biblioteche e centri di ricerca governativi, pubblici ed universitari, della lettura di un’infinià di manoscritti, di visite a numerosi ambienti giuliani, d’interviste a centinaia di persone nei suoi lunghi soggiorni a Trieste, nella regione giuliana e nell’Istria, tra il 1995 e il 1996, l’autrice esamina due modelli fortemente contrastanti dell’identità storica e prodotti dall’“esodo istriano”. Come rileva, coloro che lasciarono le loro terre videro l’Istria come una “pura” terra italiana sottratta dagli Slavi”, mentre coloro che restarono “la considerarono come una regione etnicamente e linguisticamente ibrida”. E quale esempio, Ballinger cita il caso dei membri di una stessa famiglia che, pur vivendo a poca distanza e parlando la stessa lingua, hanno maturato una concezione radicalmente opposta della propria identità nazionale. E l’approfondito lavoro svolto da Ballinger acquista così un valore “aggiunto”: è una vera enciclopedia del calvario istriano.

I momenti cruciali

Strutturato sostanzialmente in due momenti, la prima parte del libro dà un fondamento storico all’esodo, e anche alla narrazione e ai ricordi attraverso cui viene oggi considerata la divisione territoriale successiva al 1945 e la conseguente migrazione. Ballinger esamina i tre momenti cruciali nei quali stati e confini della “Marca Giuliana” sono stati modificati: dopo la Prima Guerra Mondiale, dopo la Seconda Guerra Mondiale e nel 1991. Per ciascun periodo l’autrice confronta le diverse accentuazioni a riguardo dell’identità etnica e nazionale. Con ciò, essa sottolinea come le interpretazioni dell’identità e del passato che divennero di attualità negli anni Novanta avessero profonde radici storiche – tra l’altro – nella concezione cattolica della redenzione, nel dibattito sull’irredentismo a partire dall’Ottocento, nelle visioni imperiali, nel cosmopolitismo. Allo stesso tempo, il giudizio degli istriani sul passato riflette la loro attuale situazione. Di conseguenza, l’analisi colloca il nuovo modo di considerare la storia dell’esodo istriano nel mutato panorama politico italiano e dell’ex Jugoslavia.

Differenti versioni

La seconda parte mette a fuoco come gli abitanti della regione diano differenti versioni delle memorie dell’esodo. La studiosa attinge dalle interviste e dalle fonti orali che le consentono di esaminare come si siano formati i racconti di violenza e di spostamenti e i modi nei quali vicende individuali possano ad un tempo confermare e contraddire storie di sofferenze e vittimizzazione. Un intero capitolo è dedicato al controverso ed emotivamente coinvolgente tema delle foibe. Segue un capitolo dedicato alle memorie dell’esodo di coloro che lasciarono l’Istria ed un altro dedicato alle memorie di coloro che rimasero. Il capitolo finale esamina l’emergere, negli anni Novanta, di un movimento regionalista nell’Istria croata, che cerca di superare le divisioni che portarono all’esodo attraverso la promozione della convivenza.

Meticolosa ricerca

Positive le recensioni ottenute dal libro da importanti studiosi di università americane, oltre a segnalazioni pubblicate su “Slavic Review”, “American Historical Review”, “Journal of the Royal Anthropological Institute” e “Journal of Modern History”. A proposito del volume, Michael Herzfeld, della Harvard University, ha rilevato che si tratta di “un significativo contributo per la comprensione di un capitolo poco conosciuto nello sviluppo delle identità balcaniche in relazione all’Europa Occidentale. La meticolosa ricerca della Ballinger e la sua abilità nel mantenere un’equilibrata distanza dalle parti rende questo saggio un grande contributo alla pubblicistica sull’argomento”.

Ilaria Rocchi

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