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Dignano si accaparra i beni degli Esuli (Arena di Pola 28 apr)

Gli esuli avrebbero «rinunciato di propria volontà» al patrimonio-di cui disponevano «in cambio della cittadinanza italiana». A so­stenere una simile tesi è il notizia­rio bilingue della Città di Dignano "Attinianum" in un articolo appar­so sul numero del dicembre 2009.

«La Città di Dignano – si legge nel testo in lingua italiana -, con­siderando la specificità della sua posizione e della sua storia, ha molti problemi anche con il patri­monio degli optanti. In tal senso già da molti anni sta aggiornando i dati sulle proprietà in questione, ovvero sta raccogliendo da vari organi preposti i dati sulle perso­ne registrate quali proprietari for­mali degli immobili, iscritte come optanti, ovvero come soggetti che hanno rinunciato di propria volon­tà al patrimonio nell'ex stato, in cambio della cittadinanza italiana loro concessa. Si tratta di immo­bili iscritti quali proprietà di optan­ti, ma che in realtà risultano regi­strati quali proprietà della Città di Dignano. La documentazione raccolta sugli optanti va poi con­segnata all'ufficio regionale pre­posto, che avvia l'iter sullo status del patrimonio di optanti. Nel ca­so in cui si stabilisca che si tratta realmente di proprietà di optanti, l'ufficio della Regione Istriana che se ne occupa emana un decreto confermativo che viene inoltrato al tribunale catastale che a sua volta iscrive la Città di Dignano quale proprietario formale degli immobili in questione».

Non è affatto vero però che gli "optanti" abbiano rinunciato ai propri beni, tantomeno «di pro­pria volontà», in cambio della cit­tadinanza italiana! L'Allegato XIV del Trattato di pace stabilisce al comma 9 che i beni, diritti e inte­ressi dei cittadini italiani residenti al 16 settembre 1947 nei territori ceduti avrebbero dovuto essere rispettati come quelli dei cittadini jugoslavi, mentre i beni, diritti e interessi dei cittadini italiani non residenti avrebbero dovuto esse­re rispettati come quelli dei citta­dini stranieri. In base all'art. 79 dello stesso "diktat", tali beni, di­ritti e interessi non avrebbero po­tuto essere trattenuti o liquidati in compensazione delle riparazioni per danni di guerra, ma avrebbe­ro dovuto essere restituiti ai legit­timi proprietari senza alcuna delle misure restrittive prese fra il 3 set­tembre 1943 e il 16 settembre 1947.

L'articolo 19 dispone inoltre che «tutti i cittadini italiani che, al 10 giugno 1940, erano domiciliati in territorio ceduto dall'Italia» alla Jugoslavia «ed i loro figli nati do­po quella data» avrebbero avuto la «facoltà di optare per la cittadi­nanza italiana» entro un anno dall'entrata in vigore del trattato (dunque entro il 15 settembre 1948, data poi prorogata), a patto che la loro lingua «usuale» fosse l'italiano. La Jugoslavia era però legittimata a costringere gli op­tanti a trasferirsi in Italia entro un anno, cosa che non esitò a fare.

Dunque il trattato di Parigi parla chiaro: non c'era nessun legame fra opzione e beni, ma "solo" (ahi­noi!) fra opzione ed esodo. I beni di quanti optarono per la cittadi­nanza italiana avrebbero dovuto essere conservati o restituiti (se in precedenza sottratti). La citta­dinanza italiana non sarebbe sta­ta «concessa» a quanti erano già cittadini italiani, ma sarebbe stata semplicemente conservata. Quanti invece, non avendo eser­citato il diritto di opzione, rimase­ro nei territori ceduti perdettero, sempre ai sensi dell'articolo 19, la cittadinanza italiana acquisendo quella jugoslava.

Vero è che le autorità comuni­ste non restituirono il maltolto e anzi continuarono a man bassa con gli espropri. A seguito di tale condotta illegale, il 23 maggio 1949 i governi italiano e jugosla­vo firmarono un accordo che la­sciò in mano a Tito, quale com­pensazione per i danni di guerra, i beni rubati agli esuli e istituì una commissione bilaterale con il compito di stabilire la cifra che la Federativa avrebbe dovuto paga­re per il loro indennizzo. Ne deri­vò la legge italiana 1.064 del 1949, che stabiliva per gli aventi diritto che ne avessero fatto ri­chiesta un indennizzo sulla base della misera cifra versata dalla Jugoslavia. A quella legge sull'in­dennizzo ne fecero seguito altre ancora peggiori, sempre in viola­zione al Trattato di pace oltre che ai più elementari principi di giusti­zia.

«I problemi relativi il patrimonio degli optanti – aggiunge l'articolo di "Attinianum" – riguardano an­che il dato di fatto che tali proprie­tà vengono alienate abusivamen­te, ovvero che persone terze che non hanno alcun diritto sugli im­mobili in questione trovano i "veri proprietari", o meglio i loro eredi iscritti al catasto quali proprietari ufficiali e fanno da mediatori nella vendita degli stessi immobili (che non risultano di proprietà della Città di Dignano), facendosi pa­gare la provvigione».

In sostanza l'amministrazione comunale di Dignano si lamenta perché certe agenzie immobiliari fanno da intermediarie fra i di­scendenti degli esuli espropriati e gli acquirenti, ricavando un com­penso sulla vendita di beni che la Città vorrebbe invece accaparrar­si sottraendoli agli esuli.

«Nel comprensorio della Città di Dignano – continua l'articolo -ci sono anche moltissimi immobili ancora iscritti al catasto come proprietà sociale, pubblica. Si tratta anche di proprietà sulle quali la Città non ha alcun diritto di iscriversi quale proprietario e perciò anche per tali immobili, nel processo di soluzione dei proble­mi giuridico-patrimoniali, si sta la­vorando velocemente alla trascri­zione della proprietà a favore del­la Città di Dignano. Finora sono già stati risolti lo status patrimo­niale e la relativa trascrizione al catasto di un grande numero di questi immobili».

In sostanza la Città di Dignano si rallegra di essersi impadronita di molti beni degli esuli divenuti in epoca jugoslava di «proprietà so­ciale» e rende noto di voler acqui­sire anche i rimanenti, con lo sco­po non di restituirli ai legittimi tito­lari, ma di trarne un utile venden­doli o affittandoli. Tale comporta­mento, che dura da anni e non ri­guarda certo solo Dignano, è mo­ralmente riprovevole, oltre che in contrasto col Trattato di pace.

«La decisione presa dalla Città di Dignano – commenta Maria Biasiol Aprà, l'esule dignanese residente a Torino che ci ha forni­to l'articolo in questione – appare come un vero e proprio espro­prio». Non possiamo che sotto­scrivere tali parole. Quanto la Cit­tà di Dignano sta facendo è un abuso che completa le illegali procedure di esproprio attuate dalle autorità comuniste jugosla­ve contro dignanesi "rei" di aver voluto rimanere cittadini italiani.

No: così proprio non va. Impos­sessarsi, a scopo di lucro, dei be­ni di chi ha dovuto lasciare la pro­pria terra per fedeltà all'Italia è furbesco e ingiusto.

Invitiamo caldamente la Comunità degli Italiani di Dignano ad attivarsi per tutelare i sacrosanti diritti dei propri compaesani e connazionali esuli, prima che sia troppo tardi.

Al Governo di Roma ribadiamo invece la richiesta che tutti i beni degli esuli ancora "liberi" vengano restituiti ai legittimi titolari.

Paolo Radivo

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