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Brescia: Esodo e Foibe, memorie divise di una tragedia (Giornale di Brescia 15 mag)

Foibe ed esodo, le memorie divise di una tragedia
 

Alla Pace lo scrittore croato Milan Rakovac e lo storico Fulvio Salimbeni: una riflessione sull'aberrazione di tutti gli «ismi»

Ogni avventura umana ci ricorda Claudio Magris, inizia con un esilio, una condizione drammatica, n pro­fugo vive una violenza, un senso d'incompletezza, una funambolica sospensio­ne dell'esistere. Come trapezisti camminano in bilico tra due culture, sono gente di frontie­ra a cavallo tra due mondi diversi a cui sento­no sempre di appartenere. Non sono solo "psi­copatologie di frontiera" come le definisce lo scrittore e poeta croato Milan Rakovac, una delle voci fuori dal coro della retorica nazionali­sta e figlio di un eroe della resistenza istriana, Joakim Rakovac, ucciso su delazione.

In un'affollata Sala Bevilacqua della Pace su iniziativa della Cede, Cooperativa cattolico-de­mocratica di Cultura, Valerio Di Donato redat­tore del Giornale di Brescia e autore del libro «Istrianleri Storie di esilio», ha sollecitato e in­trodotto nel vivo di un dibattito doloroso due voci, Rakovac e Fulvio Salimbeni docente di storia contemporanea nell'Università di Udi­ne, studioso dei rapporti tra Italia e Slavia nell'800 e '900.

La riflessione proposta, «Foibe ed esodo, me­morie divise di una tragedia nazionale», parte dall'esigenza di un reale contraddittorio tra parte italiana, slovena e croata. Rakovac col ro­manzo «Riva i druzi», 1983, ha narrato l'esodo di 350mila italiani dall'Istria in conseguenza del Trattato di pace che cedeva l'Istria alla Jugoslavia. In un idioma ritmato da inflessioni ve­nete, ha elencato cento modi multilingui di di­re «stupido» in istriano. Un tentativo letterario per evidenziare quanto siano aberranti tutti gli «ismi». «Esistono due culture affacciate sul­l'Adriatico, nazioni in contrasto che non s'in­contreranno mai; croati e italiani si guardano con un fucile immaginario, scusate, sono uno scrittore non sono politically correct». Cio nonostante, ha proseguito il poeta, una riconcilia­zione, un'armonia va riconquistata per onora­re i cadaveri di quelle gole carsiche.

Come ricostruire la storia comune

Le foibe sono come due binari paralleli ma, con testardaggine, dobbiamo riuscire a farle convergere; ecco perché la giornata del ricordo diventa uh obbligo storico nazionale, il recupe­ro di una storia collettiva. Si dovrebbero unire due memorie, con la volontà politica di creare quell'«Italia affratellata con gli slavi del Sud», di mazziniana memoria. È proprio l'istituzione della giornata del ricordo, 10 febbraio,riporta lo strappo di una verità frammentata, in un se­colo quello del 900, teatro di massacri spaven­tosi. Fulvio Salimbeni citando Raoul Pupo, massimo conoscitore del dramma delle foibe e dell'esodo giuliano dalmata, osserva che la me­moria non può che essere personale ma altresì rispettosa di quella altrui. E doveroso ricostrui­re la storia comune laddove la scuola dovrebbe rivestire un ruolo fondamentale per insegna­re ciò che unisce.

L'istituzione della giornata del ricordo è sicu­ramente servita a far conoscere uno dei capito­li più dolorosi e a lungo dimenticati, ma atten­zione che sia la memoria della Shoa, degli Ar­meni, dei Croati… ognuno rivendica un lutto privato. Chi è più vittima, chi ha sofferto di più? Salimbeni ha sottolineato quanto le inter­pretazioni storiche separate e divise in realtà tengano vivi i contrasti. Forse si dovrebbe isti­tuire una giornata unica per fare i conti con il proprio vissuto senza il bilancio delle colpe al­trui, scrivendo la storia a più voci, così come sono riusciti a fare Francia e Germania.

Ma com'è possibile, ha ricordato Rakovac che terre come Istria, Fiume e Zara, crogiuoli multietnici e mistlingui abbiano dovuto vivere la tragedia dell'esodo, delle torture, delle foibe quando nel XV-XVI secolo Venezia assicurava l'equilibrio e la serena convivenza tra i popoli. I poeti croati stampavano nelle tipografie vene­ziane e i Dogi imponevano lo studio delle lin­gue slave. Il nazionalismo è stato la vera peste come la definì Stuparich. Ma al di là della sto­ria politica e diplomatica, dei trattati, Salimbe­ni rivaluta la forza della memorialistica, le testi­monianze di chi ha vissuto realmente «Amore e guerra», perché è lì che si annida la vita.

Emanuela Zanotti

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