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Dar voce alle tante anime degli Esuli (CDM 24 nov)

Ciò che è accaduto a Zara, a Fiume in Dalmazia e nelle isole del Quarnero dopo l’occupazione titina non l’abbiamo dimenticato, non vogliamo dimenticare e vogliamo che tutto il mondo sappia e non dimentichi. Ma, ciò che è accaduto appartiene ormai alla storia, alla quale va consegnato senza odio perché, come sta scritto all’Ara Pacis Mundi di Medea: “L’odio provoca morte”.

Tuttavia, ciò che è accaduto appartiene anche alle persone private perché sono i nostri genitori, parenti, amici che sono stati perseguitati, torturati, uccisi ed è un dolore che possiamo tener racchiuso nel cuore o gridare al mondo intero ma deve continuare a rimanere privato.

Si deve il più profondo rispetto a chi ha patito sulla propria pelle o ha visto i propri cari patire persecuzioni e morte; non possono dimenticare e nessuno ha il diritto di chiederglielo; e nessuno ha il diritto di chieder loro di perdonare. Si possono perdonare certe cose? Se sì, anche questo è un fatto personale e privato.

Un’altra considerazione da fare è che quei fatti appartengono al passato e dobbiamo trarne insegnamenti utili – come da ogni esperienza – per vivere meglio il presente e programmare meglio l’avvenire. Se rimaniamo fermi al pensiero di ciò che è accaduto e basta è la fine della vita o siamo in una situazione schizofrenica in cui la vita, per certi aspetti, si è fermata a ciò che è accaduto nel decennio 1943/54 e per altri, dopo l’esodo – che costituisce comunque e sempre una cesura per l’esule – è continuata.

Ma va ancora aggiunto – ed è importantissimo – che questo modo di sentire e ragionare, che va compreso e rispettato, appartiene a una parte e non a tutti gli esuli e che anche chi ragiona diversamente deve essere compreso e rispettato e si deve dargli il modo di esprimere le proprie idee altrimenti cadiamo nell’intolleranza, nella mancanza di democrazia, che proprio fra gli esuli non devono esistere altrimenti significa che non abbiamo capito che ciò che è accaduto è dovuto principalmente all’intolleranza.

Inoltre, il “privato” non deve influire sui nostri comportamenti quando sediamo in un consiglio, parliamo o scriviamo a nome e per conto del mondo dell’esodo.

A questo proposito è emblematico il problema dei rapporti con i residenti nelle nostre terre d’origine sia appartenenti alla minoranza italiana sia appartenenti alla maggioranza croata e slovena. Se vogliamo conservare la cultura romano-veneta e italiana delle nostre terre è indispensabile avviare dei rapporti di collaborazione con chi ora vi abita per fornire un corretto contributo nella programmazione delle attività culturali: mostre, pubblicazioni, spettacoli folcloristici ed altro come lapidi e targhe, che spesso trasmettono informazioni errate e sulle quali, una volta attuate o incise nella pietra, ben poco si può fare oltre che protestare; ma le proteste non correggono gli sbagli, per errore o dolo incisi nelle pietre o nella memoria delle persone. La comunicazione, cui può seguire la collaborazione, può invece evitare gli errori e consentirci di perseguire l’obiettivo della corretta trasmissione della nostra storia alle nuove generazioni e ai numerosi turisti provenienti dal mondo intero che durante l’estate vanno a godere il mare, il sole, la bellezza delle nostre terre.

Esuli e rimasti italiani in primo luogo devono comprendere che la collaborazione è un’esigenza per perseguire i suddetti obiettivi.

Carmen Palazzolo Debianchi

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