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Comunismo ultimo atto: la storia di un suicidio (Il Piccolo 20 mag)

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Una spallata è arrivata da Solidarnosc, il sindacato di Lech Walesa. Altri colpi d’ariete alla roccaforte comunista li hanno assestati la strategia vaticana di Papa Wojtyla, la politica americana di Ronald Reagan. Ma a far crollare il Muro di Berlino nel 1989, a dissolvere il mastodontico impero dell’Unione Sovietica, è stato un killer ben più subdolo. Un sicario più difficile da fermare.

A far implodere il comunismo è stato lo stesso apparato comunista. Logorato dall’incapacità di superare i propri errori. Eroso inesorabilemnte dal non saper cambiare la gestione dell’industria, dell’agricoltura, dell’economia più in generale. Odiato per le continue, criminali violazioni dei diritti umani. Fiaccato dalle lotte intestine per il Potere. Abbagliato dall’illusione che ancora a lungo popoli così diversi tra loro, come quello russo e quello ungherese, quello polacco e quello bulgaro, sarebbero rimasti assieme sotto il vincolo del terrore.

Enzo Bettiza, nato a Spalato, classe 1927, non ha dubbi: il Muro di Berlino sarebbe crollato anche senza Solidarnosc, anche senza Papa Wojtyla e Reagan. E lo dice con grande convinzione nel suo nuovo libro ”1989. La fine del Novecento” (pagg 161, euro 18) pubblicato da Mondadori. Un saggio che chiude la trilogia iniziata da ”1956. Budapest: i giorni della rivoluzione” e proseguita con ”La primavera di Praga. 1968: la rivoluzione dimenticata”.

Parte proprio dal Muro, Bettiza, da quel baluardo che ha diviso a lungo il destino dell’Occidente da quello del blocco sovietico. Per andare a cercare le tracce del virus mortale che ha portato al tramonto repentino dell’uomo della perestrojka Michail Gorbaciov, alla fucilazione dei coniugi Ceausescu in Romania, alla miserevole fine di Erich Honecker e dei suoi grigi collaboratori nella Ddr, al tramonto del generale-fantoccio Wojciech Jaruzelski in Polonia.

Ma Bettiza non si ferma all’ex Impero sovietico. No, si spinge fino in Cina per dare una lettura apparentemente ”eretica”, ma al tempo stesso lucidissima, della rivolta di piazza Tienanmen. Per far ritorno, poi, in Italia e analizzare i perché dell’incapacità del Partito comunista, quand’era guidato ancora da Enrico Berlinguer, di smarcarsi dall’ormai morente colosso sovietico. Prima, insomma, che crollasse stecchito.

«È stato il comunismo stesso a uccidere il comunismo – spiega Enzo Bettiza -. E io lo posso dire perché l’ho visto da vicino. Tutto l’apparato messo in piedi, dall’economia di guerra ai gulag, alla polizia segreta, alla collettivizzazione che ha provocato disastri soprattutto nelle campagne, a un certo punto si è sfasciato».

Ma ci sarà stato un detonatore che ha fatto esplodere l’Urss?

«Sicuramente l’inizio della fine è legato alla disfatta dell’Armata Rossa in Afghanistan. Ma anche all’insurrezione del sindacato Solidarnosc in Polonia contro il regime comunista».

La leggenda dice che sia stato tutto merito di Papa Wojtyla.

«Quelli del Papa, di Walesa, di Reagan, sono stati aiutini. Piccole spallate, non determinanti, che hanno accelerato il processo di autodistruzione già presente da tempo nel corpo del comunismo».

L’inizio della fine sono state Budapest 1956, Praga 1968?

«Assolutamente sì. Per questo ho voluto dedicare questo libro alla caduta del Muro di Berlino. La lunga agonia del comunismo è iniziata in Ungheria e proseguita in Cecoslovacchia, come ho raccontato negli altri due saggi della trilogia».

Ma Erich Honecker nel 1989 dichiarava: «Il Muro non crollerà mai».

«Perché il leader della Ddr era animato da un’ottusità fideistica nei valori di un comunismo immaginario. Lui era convinto che il Muro sarebbe durato in eterno: lo pensava per davvero, non era abituato a porsi domande. Il suo Credo non ammetteva dubbi».

Ma di lì a poco Gorbaciov stesso l’avrebbe sconfessato…

«La visita di Gorbaciov fu il preludio al crollo del Muro. Scatenò il tripudio della folla ammettendo gli errori del regime».

Quello fu l’anno di piazza Tienanmen. Un episodio difficile da interpretare?

«È forse il passaggio più scabroso da spiegare nel libro. Perché sarebbe stato normale che la Cina, dopo il massacro di piazza Tienanmen, si fosse riconvertita a un rigido maoismo. Ma non andò così. Anzi, le riforme subirono un’accelerazione».

Lei non dà un giudizio positivo sulla rivolta…

«No, certamente in piazza ci andarono molti studenti idealisti. Ma la rivolta venne inquinata anche da frange violente, estremiste. E poi, ai tempi di Mao le forze dell’ordine sarebbero intervenute nel giro di poche ore. Invece la protesta venne stroncata, tra tira e molla, dopo oltre un mese».

Allora non è stato quello il vero 1989 dei cinesi?

«No, piazza Tienanmen è stato un episodio casuale nel percorso della Cina. Il vero 1989 risale al 1967, quando crollò la grande muraglia cinese con la morte di Mao».

Adesso che cosa sopravvive del vecchio regime comunista?

«Sopravvive la burocrazia comunista. Il potere totalitario non ha più il controllo rigido sulla cultura, sulla società. Si sta ripetendo, insomma, la storia del Kuomintang. Non è che al tempo di Chiang Kai Shek la Cina fosse un modello di democrazia. Il partito al potere era indubbiamente dittatoriale, sostenuto da Mosca, però con un’economia libera».

E i comunisti italiani?

«Enrico Berlinguer, in un’intervista a Giampaolo Pansa, aveva ammesso di sentirsi più tranquillo sotto l’ombrello della Nato che sotto quello del Patto di Varsavia. Eppure i comunisti italiani non hanno saputo anticipare, seppure di qualche passo, quella che è stata poi la perestrojka di Gorbaciov».

Hanno atteso che l’Urss si distruggesse da solo?

«Sono rimasti sempre al rimorchio di Mosca. Aspettando che fossero i sovietici a fare la prima mossa. Avrebbero dovuto, invece, giocare d’anticipo. Cambiare il nome del partito, gli slogan, il loro modo di fare politica. Magari cogliendo al volo la mano tesa di Bettino Craxi».

Lei pensa che Craxi avrebbe aiutato gli odiati comunisti?

«Sì, perché il leader socialista ha fatto il possibile perché il Pds entrasse nell’Internazionale socialista. I comunisti, invece di cercare un accordo con Craxi, hanno sempre tenuto un atteggiamento aggressivo nei suoi confronti. Perdendo così la possibilità di avviare una trasformazione in chiave socialdemocratica del Pci, ben prima che crollasse il Muro».

Quell’errore la sinistra lo sconta ancora oggi?

«Non c’è dubbio. Il debolissimo compromesso storico tra comunisti e cattolici è fallito. E ancora oggi la sinistra è alla ricerca di una propria identità».

Pensa di ritornare a scrivere romanzi?

«Ho interrotto un romanzo a cui stavo già lavorando per scrivere questo libro. È stata la signora Rosanna Colombo, mia collaboratrice fin da tempi dell’avventura del ”Giornale” con Indro Montanelli, a suggerirmi di completare con questo ”1989” la trilogia dedicata al tramonto del comunismo. Adesso ho già ripreso a scrivere. Del resto, la narrativa è sempre stata una grande passione».

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