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Balcani “colonia” della Cia per sequestri e torture (Il Piccolo 08feb13)

Tutti i Paesi della regione sono protesi verso la piena integrazione nell’Unione europea. C’è chi, come Slovenia e Romania, ha compiuto già il gran passo. Chi, come Zagabria, è in dirittura d’arrivo. E chi, come Serbia, Macedonia, Bosnia, ha ancora tanta strada da fare. E deve dare il massimo non solo sul piano delle riforme, ma anche su quello della salvaguardia dei diritti umani.

Sui Balcani però, con l’eccezione di Lubiana, Belgrado e Pristina, s’allunga un’ombra oscura che viene dal passato. E che mette in discussione la reale volontà di alcune nazioni dell’area di rispettare i diritti dell’uomo. Un’ombra su cui ha rifatto luce un rapporto dell’Open Society Justice Initiative dell’«investitore e filantropo», così si definisce sul sito ufficiale dell’istituzione, George Soros. Il rapporto in questione s’intitola “Globalizing Torture” e a ragione si presenta come «il più completo compendio» sulle prigioni segrete della Cia e sulle “extraordinary renditions” volute da Washington nella lotta al terrorismo internazionale. E più di qualche passo delle 216 pagine dell’analisi-denuncia, basata anche su precedenti rapporti di Onu e Amnesty, non inediti ma spesso dimenticati o ignorati, riguarda proprio vari Paesi balcanici che, assieme ad altri 54 Stati tra cui l’Italia, condividono con gli Usa «la responsabilità di questi abusi».

Chi sono i “complici” balcanici degli americani nella scomparsa di sospetti terroristi, sequestrati in Paesi occidentali e trasferiti in Paesi terzi, a volte con tappa nei Balcani, per essere interrogati, torturati, detenuti senza processo e garanzie legali? “Globalizing Torture” parte dalla Bosnia. Bosnia che ha «concesso l’uso del proprio spazio aereo e degli aeroporti per voli associati a operazioni Cia di extraordinary rendition». Non solo. Sarajevo ha dato luce verde anche «all’uso del suo territorio» per basi Usa «che hanno custodito detenuti» sospettati di avere legami con Al Qaeda.

Due basi, in particolare, sono descritte come “buchi neri” in cui sono finiti alcuni sequestrati. Quella Usa di Tuzla e quella Nato di Butmir. La prima, nel 2001, ha «processato» almeno otto rapiti. In quella di Butmir furono certamente condotti tali Nihad Karsic e Almin Hardaus, dopo essere stati catturati da carabinieri italiani, al tempo «parte delle forze di peacekeeping» in Bosnia. I due uomini, denuncia la Open Society, una volta in mani Usa «furono picchiati e insultati, denudati, privati di cibo e sonno, fotografati» in condizioni inumane, «soggetti a isolamento». Per tutti i casi che coinvolgono la Bosnia, «non ci sono indagini in corso» da parte delle autorità locali.

La Macedonia è invece ricordata per il caso El-Masri, cittadino tedesco arrestato a Skopje, torturato e spedito in Afghanistan e uscito di recente vincitore in una causa contro la Macedonia davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. E nel rapporto è menzionata anche la Croazia. Zagabria, come Sarajevo, ha «concesso l’uso di aeroporti e spazio aereo» ai voli per “extraordinary renditions” della Cia. Nel 2006, come già denunciato da Amnesty, i voli con codice N313P e N4476S fecero scalo a Dubrovnik nel tragitto Usa-Sudan. Anche l’Onu, ricorda Open Society, ha confermato nel 2009 che «la Croazia ha facilitato le extraordinary renditions in diversi modi».

A far la parte del leone nella regione è tuttavia la Romania, “oasi” sicura per gli uomini della Cia. Questo grazie non solo all’assistenza logistica agli aerei Usa, ma anche a «una prigione segreta» allestita a Bucarest in virtù di un accordo, sempre negato, col governo romeno. Neppure in questo caso, alcuna seria investigazione è stata compiuta. Ma è tempo di cambiare, esorta la Open Foundation. È tempo, a più di 10 anni dall’11 settembre, che gli Usa e «i suoi partner ripudino le pratiche illegali» e diano il via libera a inchieste che individuino le «responsabilità per gli abusi». Perché solo facendo chiarezza e ammettendo eventuali colpe, un vicepresidente Usa – nel 2001 Dick Cheney – non potrà più dire che è lecito «lavorare nell’ombra, usando tutti i mezzi a disposizione per raggiungere l’obiettivo». Inclusi sequestri, torture e detenzioni illegali in Paesi amici. E conniventi.

Stefano Giantin
“Il Piccolo” 8 febbraio 2013

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