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arcipelagoadriatico.it – 17.06.08 – Chiara Bertoglio porta il ”Va’ pensiero” in Scozia

I giovani e la memoria: è un percorso che non segue regole perché è lasciato perlopiù alla coscienza del singolo, alla sua sensibilità o necessità di una ricerca delle radici. Ma proprio per questo, avviene in modo libero e sempre diverso attraverso l’attivazione di strumenti culturali originali. Così è per tanti ragazzi nati da famiglie che hanno vissuto l’esodo, spesso è un processo che avviene con la prima generazione, quella dei figli, a volte sono i nipoti ad affrontare questa strada. Come? Un esempio eccellente è quello della pianista Chiara Bertoglio, torinese di nascita con radici istriane.

Nel 2005 è stato pubblicato il suo primo libro, ”Voi suonate, amici cari”, presso la Casa editrice Marco Valerio di Torino, sui rapporti fra la musica per pianoforte e la musica operistica di Mozart; a maggio è stato presentato alla Fiera del Libro di Torino la sua seconda opera: “Musica, maschere e viandanti-Gifure dello spirito romantico in Schubert e Schumann”. La sua ricerca universitaria “Sì bella e perduta”, sul valore socio-psicologico del canto del Va’, pensiero nelle comunità di esuli istriani, fiumani e dalmati, ha vinto nel 2005 il premio di studio “Ignazio Gherbetz” e nel 2006 il Premio Letterario “Loris Tanzella”. Ma Chiara è soprattutto una musicista di grande talento. Dopo il suo primo récital pianistico, tenuto all’età di otto anni, ha suonato in sale prestigiose quali il Concertgebouw di Amsterdam, la Wiener Saal del Mozarteum di Salisburgo, l’Istituto Chopin di Varsavia, il Maggio Musicale Fiorentino, il Cantiere Internazionale di Montepulciano, il Festival di Cervo, la Sala dell’Accademia di Santa Cecilia, la Filarmonica Romana, il Politeama di Palermo, la Sala Tripcovich di Trieste, i Conservatori di Roma, Torino, Milano, Firenze, Trieste etc., e per stagioni quali l’Unione Musicale di Torino, il Festival Mozart di Rovereto, la Società dei Concerti di Milano, il Festival Opera Barga e il Festival Wörthersee Classics. Nel dicembre 2005 ha debuttato presso la Carnegie Hall di New York, interpretando un Concerto di Mozart con la Curtis Chamber Orchestra diretta dal M.o Leon Fleisher. Ha inoltre suonato in tutta Europa, con orchestre come l’European Union Chamber Orchestra, Milano Classica, l’Orchestra Sinfonica di Roma, la Filarmonica Italiana e numerosissime altre.
Nei giorni scorsi ha tenuto una relazione all'Università di Aberdeen, in Scozia, nell’ambito di un congresso sui rapporti tra storia e musica. Il titolo della sua relazione era: “So beautiful and lost” (Sì bella e perduta)  e trattava del tema della Memoria ispirandosi allo studio sul canto del “Va’ pensiero” anche attraverso interviste fatte tramite internet e durante i raduni degli esuli.

Il tutto era corredato da un video, da lei curato, con materiale iconografico e registrazione live del “Va’ pensiero” durante un incontro di esuli, a Torino,tenutosi nel 1998 per ricordare i 50 anni dai primi arrivi al Campo profughi “Casermette San Paolo”.

Qual è stata la reazione del pubblico scozzese?

“Il testo ed il video sono alquanto suggestivi, direi forti, almeno per noi – risponde Chiara -, comunque non mi aspettavo che nell’aula magna dell'Università, gremita all'inverosimile, ci fosse un coinvolgimento così immediato e con tanta emozione”.

Che domande ti hanno rivolto?

“Sono state tantissime ed interessanti: sulla nostra Storia, la nostra Terra e la nostra Gente, sulla conservazione della Memoria da parte dei giovani figli di esuli e sulle Comunità italiane rimaste in Istria: direi proprio una partecipazione a trecentosessanta gradi”.

Come ti sei sentita?

“Sento di aver fatto un regalo a mia mamma ed ai suoi Amici. Ma sentivo anche accanto a me i nonni di Canfanaro…”.

Che cosa rappresenta oggi la realtà dell’esodo?

“Il mondo degli esuli istriani, fiumani e dalmati è un “mondo nel mondo”. È un universo a sé, con la sua storia, il suo dolore, le sue speranze; è un universo con i suoi ritmi, i suoi rituali, i suoi perché; è un universo disperso, lacerato, sradicato, ma con una straordinaria capacità di ricostruire dal nulla la propria identità. Sconosciuto alla maggioranza degli italiani, vorrebbe affermare la propria esistenza con vigore e con chiarezza, per non dimenticare ma essendo anche geloso della propria specificità tende a ritirarsi, per così dire, in un “nido sociale” che sia un surrogato accettabile di quel nido ben più concreto che gli esuli sono stati costretti ad abbandonare. Questa casa comune, questo luogo metafisico dell’incontro è, in molti casi, il raduno degli esuli”.

È quanto hai raccontato nella tua ricerca?

“Infatti, i raduni assolvono a funzioni numerose e diversificate, di cui la principale è proprio la ricostituzione ed il godimento di un’identità collettiva, fatta di storia e di geografia. Di geografia, poiché ci si ritrova tra polesani piuttosto che tra fiumani, tra zaratini piuttosto che tra rovignesi; e di storia, perché si è accomunati dal medesimo passato e si è segnati dalle stesse esperienze dolorose. E tali esperienze dolorose sono esse stesse storia e geografia: nei raduni si condivide il dolore ed il rimpianto per il tempo passato e per i tristi avvenimenti che si sono vissuti, insieme con la nostalgia per una terra che si sente vicinissima al proprio animo ma lontanissima dalla propria realtà quotidiana”.

Musicalmente come si esprime?

“Si identifica unanimemente e sempre allo stesso modo, da tanti anni ed in qualsiasi parte del mondo, con il canto del Va’, pensiero. Nell’analisi che ho compiuto, mi sono posta l’obiettivo di studiare questa relazione, semplice come un antico rapporto d’amore e complessa come le circostanze storiche, sociali, politiche, psicologiche, economiche, religiose che hanno contribuito a creare l’unicum della vicenda giuliano-dalmata”.

Quali le ragioni che hanno determinato questa scelta?

“Un sentimento tanto forte, un così grande attaccamento non si possono piegare ad un’analisi, non si possono descrivere a parole, né, tantomeno, quantificare in modo rigoroso. Ciò che ho tentato di proporre era, quindi, una descrizione del descrivibile, un’analisi di quella punta d’iceberg che sono gli aspetti narrabili, testimoniabili, studiabili della tragedia giuliano-dalmata e della sua espressione musicale attraverso il Va’, pensiero. Partendo dall’inquadrare il contesto storico ed il contesto culturale che fece sì che il Va’, pensiero apparisse come il più ovvio ed il più condivisibile mezzo di espressione musicale dell’esodo stesso. Fondamentale è stato l’apporto degli esuli stessi, sia attraverso le interviste condotte con il questionario via internet, sia attraverso le testimonianze fornite spontaneamente, sia attraverso la memorialistica e la narrativa dell’esodo”.

Quale il senso dell’operazione?

“Quello di aver dato voce proprio a quell’istanza di trasmissione del ricordo che appare come uno degli aspetti più urgenti nella vita di coloro che hanno sperimentato l’esodo”.

Risultato?

“Ne risulta un quadro complesso, affascinante, talora contraddittorio ma più spesso assai coerente; il Va’, pensiero diventa quasi lo spunto per comprendere tanti sentimenti che altrimenti non avrebbero sfogo né espressione. Attraverso il canto del Va’, pensiero gli esuli si raccontano e ci raccontano la loro storia ed i loro sentimenti; e tali sentimenti, almeno per quanto riguarda alcune persone, non troverebbero altra possibilità di estrinsecazione. Dal complesso delle cause, delle circostanze, delle occasioni e delle vicende che hanno accompagnato e sono state accompagnate dal canto del Va’, pensiero risulta, quasi inavvertitamente, un qualcosa di ben più grande e di trascendente: un sentimento unitario, una storia collettiva che si condensa nei brevi minuti di un coro verdiano”.

Che cosa ha rappresentato per te quest’esperienza?

“Ho percepito questa sensazione inesprimibile, sia man mano che questo lavoro procedeva e prendeva forma, sia leggendo ed ascoltando le testimonianze degli esuli, sia partecipando direttamente alla commozione collettiva provocata dal canto del Va’, pensiero durante i raduni. Ed è qualcosa di davvero misterioso, qualcosa che sembra veramente trascendere ogni contingenza, anche quelle più importanti e condivise: perché il canto del Va’, pensiero riesce a commuovere anche persone giovani, che non hanno sperimentato nessuna delle cause di questa commozione? Perché si prova un brivido cantando O mia patria, anche se la patria dei discendenti degli esuli, inseriti in una società pacifica, non è per nulla perduta né minaccia di esserlo? È difficile dirlo, forse impossibile. Forse è dovuto ad una particolare sensibilità da musicista; forse è causato dall’affetto che si nutre verso le persone che hanno vissuto l’esodo; forse è una conseguenza dei tanti racconti che fin dall’infanzia abbiamo udito sull’argomento e che ce lo hanno fatto percepire, inconsciamente, come qualcosa che appartiene anche alla nostra storia. Oppure, forse, è la sensazione epidermica di trovarsi davanti all’anima messa a nudo di tante persone; di trovarsi immersi in un dolore grande, antico, assoluto, forse il dolore per eccellenza, quello che terrorizza i bambini e che ci portiamo dietro anche da grandi: il dolore dell’abbandono”.

Rosanna Turcinovich Giuricin

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