8 settembre, 25 aprile, 2 giugno e 10 febbraio: le peculiarità della frontiera adriatica

È dedicata alle Date la XX edizione di èStoria, il Festival Internazionale della Storia che si svolge a Gorizia ed in cui l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, con la collaborazione del Comitato provinciale di Gorizia, interviene proponendo presentazioni librarie o panel di approfondimento su tematiche specifiche. Venerdì 24 maggio la prima iniziativa dell’ANVGD a èStoria 2024 ha appunto esaminato in un incontro coordinato da Maria Grazia Ziberna (Presidente ANVGD Gorizia) il significato di alcune date fondanti dell’Italia repubblicana e le loro ricadute al confine orientale, molto peculiari rispetto al resto del Paese.

La disamina è partita dal 10 febbraio inteso come giorno in cui 20 anni fa la L. 92/2004 fissava Il Giorno del Ricordo, che veniva a sanare mezzo secolo di silenzio sulle vicende della frontiera adriatica: «Si tratta della data in cui l’Italia nel 1947 firmò l’umiliante Trattato di Pace – ha spiegato Donatella Schürzel, Phd europeo e vicepresidente nazionale dell’ANVGD – Fu un vero e proprio diktat, poiché nonostante l’impegno di Alcide De Gasperi non ci furono margini di trattativa: la sanzione della sconfitta nella Seconda guerra mondiale ricadde su istriani, fiumani e dalmati, costretti ad abbandonare le terre in cui vivevano radicati da secoli ed i propri beni con cui furono pagate le riparazioni di guerra a Belgrado» Quel Trattato lasciò in sospeso la sorte di Trieste, per cui l’attenzione degli italiani rimase desta fino al 1954: il ritorno dell’Italia nel capoluogo giuliano segnò l’inizio del silenzio sulla storia dell’italianità adriatica, un silenzio che accompagnò nel 1975 la conclusione del Trattato di Osimo con cui l’Italia rinunciò definitivamente all’Istria.

Ancor prima che la Conferenza di Pace sancisse la cessione delle province del confine orientale, l’8 settembre 1943, oggi sempre più celebrato come il momento in cui l’Italia ruppe l’alleanza con la Germania nazista ed iniziò la lotta di liberazione, in Istria e Dalmazia significò la dissoluzione dello Stato italiano e la nascita di un nuovo potere, come ha spiegato Lorenzo Salimbeni, responsabile comunicazione ANVGD: «Dopo l’annuncio dell’armistizio, i tedeschi si premurarono di occupare Trieste, Fiume e la costa istriana, onde scongiurare sbarchi degli Alleati. L’entroterra rimase in balia dei partigiani comunisti jugoslavi, i quali proclamarono il 15 settembre l’annessione dell’Istria alla nascente dittatura di Tito, il leader partigiano che da due anni capeggiava la resistenza contro gli occupanti della Jugoslavia». Avvenne la prima ondata di stragi nelle foibe, che colpì non solo ex fascisti ma soprattutto funzionari pubblici, insegnanti, vigili urbani e tutti coloro che per il loro ruolo rappresentavano l’Italia, uno Stato che doveva sparire da quel territorio.

Da questi presupposti tutta la successiva lotta di liberazione si sviluppò con caratteristiche peculiari e problematiche ignote al resto d’Italia, a partire dalle rivendicazioni jugoslave su un’intera regione: «Anche la pubblicistica più recente sul 25 aprile continua però ad ignorare le vicende del confine orientale – ha osservato Fulvio Salimbeni, già docente di Storia contemporanea all’Università di Udine – Solamente da poco e da pochi viene affrontata ad esempio la strage delle maghe di Porzus, in cui partigiani comunisti favorevoli all’annessione alla Jugoslavia eliminarono partigiani “bianchi”, tra i quali il fratello del poeta friulano Pier Paolo Pasolini, che conciliavano nella loro lotta antifascismo e patriottismo» Nelle giornate successive al 25 aprile 1945 iniziò anzi una nuova occupazione da parte dell’armata di liberazione jugoslava, che si impadronì di tutta la Venezia Giulia costringendo i vertici del CLN locale a tornare in clandestinità: chi si opponeva al progetto annessionista jugoslavo veniva eliminato.

2 giugno 1946, il referendum istituzionale e le elezioni per l’Assemblea Costituente, un appuntamento al quale gli italiani del confine orientale non poterono prendere parte: «Si gettarono le basi del nuovo Stato democratico, ma la vecchia circoscrizione elettorale che comprendeva Venezia Giulia, Fiume e Zara non ebbe modo di esprimersi – ha rilevato Diego Redivo, guida didattica del Centro di Documentazione della Foiba di Basovizza – Il democristiano triestino Fausto Pecorari fu candidato nel collegio Udine-Belluno venendo poi ripescato nel collegio nazionale, per cui ci fu almeno un rappresentante giuliano, che in aula creò anche un gruppo “Per Trieste” al fine di sostenere le istanze provenienti dall’Adriatico orientale, ma ebbe poco peso». Nell’incertezza della sorte di Trieste tuttavia la carta costituzionale già prevedeva l’istituzione di una Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che si sarebbe poi attuata con estrema lentezza nell’ambito dell’incerto approccio dell’Italia repubblicana al regionalismo ed al decentramento. [LS]

 

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