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12 feb – Fassino: riconciliazione al più presto

Il gesto di riconciliazione tra i presidenti di Italia, Slovenia e Croazia avvenga al più presto. E Lubiana non blocchi l’ingresso di Zagabria nell’Unione europea. Piero Fassino, il leader nazionale del Pd che più conosce l’ex confine nordorientale, guarda avanti. Ma non dimentica le tragedie passate e, anzi, invita il governo a riprendere il mano il problema «aperto» del risarcimento degli esuli.

Onorevole Fassino, il Giorno del Ricordo è stato appena celebrato. La «congiura del silenzio» su foibe ed esodo, come l’ha definita Gianni Letta, è davvero finita?

Sì, è finita. In realtà il riconoscimento di quella tragedia è cominciato vent’anni fa quando, con la caduta del muro di Berlino, cadde anche quella frontiera del dolore che fu il confine orientale e ci fu un riconoscimento sempre più chiaro ed esplicito del dramma di esodo e foibe.

Lei vi contribuì.

Nel 1989 fui il primo dirigente nazionale del Pci ad andare alle foibe di Basovizza e rendere omaggio alle vittime innocenti, riconoscendo una pagina di storia che appartiene all’Italia e a tutti gli italiani. Il Giorno del Ricordo nasce per rendere testimonianza e memoria alle vittime di quella tragedia.

Ma le polemiche sull’ex confine sembrano non finire mai. Il premier sloveno Danilo Turk ha accusato l’Italia di «deficit etico» sul fascismo, anche se poi è arrivato il chiarimento.

Penso che non si debba enfatizzare un fraintendimento. Proprio il presidente Giorgio Napolitano ha voluto sottolineare che, nel Giorno del Ricordo, rendiamo omaggio agli italiani vittime dell’esodo, senza dimenticare i cittadini sloveni e croati vittime dei soprusi del fascismo, e quindi senza contrapporre morti a morti, ingiustizie a ingiustizie. Sempre il presidente Napolitano ha aggiunto che guardiamo soprattutto avanti, alla nuova Europa in cui Italia, Slovenia e Croazia condividono uno spazio comune di diritto, civiltà e cittadinanza dove non si ripetano più le tragedie passate.

La Slovenia, però, ha posto il veto all’ingresso della Croazia.

Credo che i veti non siano mai una buona scelta perché acutizzano le tensioni e rendono più difficili le soluzioni. Fu un errore, ad esempio, il veto del governo Berlusconi alla sottoscrizione del trattato di associazione della Slovenia alla Ue: veto che il governo Prodi rimosse, aprendo una stagione nuova nelle relazioni italo-slovene, che facilitò anche una migliore comprensione del dramma degli esuli.

Si augura, quindi, che Lubiana tolga il veto?

Mi auguro che, nel governo sloveno, prevalga la ricerca di una soluzione fondata sul dialogo anziché sulla sfida. La strada maestra, se vogliamo dare stabilità a Europa centrale e Balcani, è l’inclusione dei paesi di quell’area, a partire dalla Croazia che ha compiuto gran parte del percorso di avvicinamento alla Ue e ai suoi standard.

Quando saranno maturi i tempi per un gesto storico di riconciliazione sull’ex confine tra i tre presidenti?

Credo che i tempi siano già maturi. E auspico che il gesto sia compiuto in tempi brevi: proprio il progredire del processo d’integrazione europea sollecita e rende utile un atto che chiuda definitivamente le ferite della storia.

Atto che potrebbe prevedere un omaggio alle foibe e alla Risiera. Ma Paolo Rumiz contesta la simmetria: l’Italia, scrive, offre di dolersi di una colpa non sua.

Trovo che l’articolo di Rumiz, molto bello sotto il profilo morale, abbia una corrispondenza con il discorso di Napolitano che ha giustamente voluto accomunare gli italiani innocenti vittime della violenza di Tito e i croati e gli sloveni vittime del fascismo.

C’è il rischio che Giorno del Ricordo e Giorno della Memoria entrino in collisione?

Se non vogliamo che entrino in collisione ci vuole una memoria onesta. E quindi, quando chiediamo agli altri di riconoscere che l’esodo fu un’opera di pulizia etnica verso gli italiani, non possiamo dimenticare la violenza del regime fascista verso sloveni e croati.

Tornando all’esodo, molti propongono una nuova legge per il risarcimento. Serve?

Ricordo che nel ’96, da sottosegretario degli Esteri, promossi un tavolo con le organizzazioni degli esuli per discutere di tutto quello che era utile e necessario per un pieno riconoscimento delle loro sofferenze e per un risarcimento morale e materiale. Quel tavolo decise iniziative per far conoscere la tragedia dell’esodo nelle scuole, fissò momenti celebrativi e commemorativi come trasmissioni tv e il francobollo sul cinquantenario, affrontò il problema dei risarcimenti materiali.

Come?

Avviò il riscatto a condizioni favorevoli delle case popolari in cui furono ospitati i profughi, promosse il computo degli anni dell’esodo ai fini previdenziali ed esaminò la possibilità di un secondo risarcimento per i beni pendenti, dopo quello dell’immediato dopoguerra. Problema effettivamente ancora aperto.

Ma serve una legge per chiuderlo?

Mi auguro che l’attuale governo voglia riprendere in mano il problema pur sapendo che l’onere finanziario non è piccolo. Non è detto che ci voglia una legge, ma sia il governo a scegliere la strada migliore.

Gianfranco Fini, intanto, chiede una legge affinché i documenti degli esuli riportino la nazionalità italiana e non più jugoslava. È d’accordo?

Non ho obiezioni politiche, ma la questione va esaminata sul piano giuridico: difficilmente si può scrivere su un documento d’identità una nazionalità diversa da quella che si ha.

(Roberta Giani su Il Piccolo del 12 febbraio)

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