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05 ott – Il discorso di insediamento di Mons. Crepaldi

Curare le anime seguendo Cristo e riconoscendo in lui «il modello» di riferimento, al quale non ci sono alternative. Così si potrà guardare con fiducia e serenità al futuro, combattendo il diffuso «riduzionismo ideologico» e valorizzando le differenze proprie di una terra come quella triestina. Nel nome della «condivisione», laddove la parola «con-fini vuol dire anche porre dei fini comuni».

Monsignor Giampaolo Crepaldi, nuovo vescovo di Trieste, ha gettato così le fondamenta del suo episcopato in città chiamando i fedeli a seguirlo in questa missione, basata in primis sul recupero di valori profondi. E sulla «salus animarum, unico mio obiettivo, in ogni mia scelta e decisione, così come avvenne per San Francesco d’Assisi», cui la Chiesa universale dedica il 4 ottobre. Già, proprio la giornata di ieri. Dalla cattedrale di San Giusto, con la sua prima omelia, ha iniziato il ministero pastorale ereditato da Eugenio Ravignani, cui ha voluto tributare un riconoscimento sentito: «A Lui, che ha guidato con saggezza e amore la nostra Chiesa per tanti anni, va la nostra riconoscenza e il nostro affetto, che Egli saprà ricambiare con il bene quotidiano della sua preghiera e della sua solerte amicizia». Tono di voce solenne, parole scandite senza fretta né tradendo neanche un pizzico di emozione, davanti ad autorità religiose, civili e alle decine di fedeli presenti a San Giusto ieri pomeriggio.

Una cerimonia intervallata da applausi della platea alla conclusione dei discorsi (in ordine cronologico) di Ravignani, del sindaco Roberto Dipiazza e di Crepaldi. Una celebrazione che per alcuni tratti si è snodata sul binario bilingue, italiano e sloveno a braccetto, in rapida successione. Un segnale anche questo, evidenziato direttamente pure dal nuovo vescovo, nominato da Papa Benedetto XVI arcivescovo ad personam: la sua visione di apertura e conciliazione fra le culture che convivono a Trieste e che il passato ha costretto a sofferenze e dispute si è manifestata una volta di più nell’omelia, con alcuni passaggi ripetuti appunto in lingua slovena.

«Dedicheremo le nostre migliori energie alla cura delle anime e a questa cura si ispirerà ogni nostra opera e iniziativa di catechesi, di formazione, di assistenza caritativa», ha sottolineato Crepaldi, perché «quando le anime stanno in salute, si può guardare con serena fiducia al futuro, senza paura e anche senza scoramenti». Così si riuscirà a proporre ai giovani «una più attenta riflessione sui valori essenziali della vita». Come raggiungere questo obiettivo? Per il vescovo la via è una: «Non abbiamo alternative al seguire Cristo» ossia «il maestro buono», «il modello», proprio come fece, fino al martirio, il sacerdote triestino Francesco Bonifacio, di cui Crepaldi ha ricordato il primo anniversario della beatificazione. «Seguire Cristo», infatti, «è la via da percorrere per avere vita ed essere nella verità». Ma questo sentiero, specie nella società attuale, non viene imboccato da tutti: «Molte persone si lasciano coinvolgere dalle tante seduzioni etico-culturali della cosiddetta postmodernità – è stato un altro, importante passaggio dell’omelia -, senza accorgersi che si tratta di forme ideologiche schiavizzanti che svuotano e uccidono le anime». «È il riduzionismo la principale ideologia di oggi», ha specificato il presule, chiarendo che «la persona viene ridotta ai suoi geni o ai suoi neuroni, l’amore è ridotto a chimica, la famiglia a un accordo, i diritti a desideri, la democrazia a procedura, la religione a mito, la procreazione viene ridotta a produzione in laboratorio, il sapere a scienza e la scienza a esperimento, i valori morali a scelte, le culture a opinioni, la verità a sensazione, l’autenticità a coerenza con la propria autoaffermazione». Ma «la Chiesa di Trieste non cederà ad alcun riduzionismo ideologico; lo saprà combattere, spendendosi tutta in quel programma, impegnativo e luminoso, dettato dal Santo Padre che è quello non di restringere, ma di allargare gli orizzonti».

In questa direzione si sono mosse le considerazioni su Trieste, «città di confine, con tutti i problemi, spesso drammatici, che questo ha comportato e comporta». «Porre dei confini è essenziale per definire qualcosa, ma porre dei con-fini vuol dire anche porre dei fini comuni»: un intreccio etimologico per spiegare come la «con-divisione significa proprio valorizzare le differenze» e che «con-dividere (i trattini per marcare il significato non sono certo stati una scelta casuale da parte di Crepaldi, ndr) vuol dire essere diversi, ma a partire da una unità di fondo e tendendo a una unità di fondo, a dei con-fini, a dei fini condivisi». Dunque, «su questa linea, Trieste avrà nella Chiesa una sua pronta e generosa compagna».

Ritornando sulla questione del recupero di valori morali e, quindi, della ricerca di beni essenziali quali il bisogno di amore e di gioia, Crepaldi ha citato poi le dieci «A» proposte per completare tali percorsi dal Cardinale François-Xavier Van Thuan, già presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, morto nel 2002 e punto di riferimento per il religioso di Pettorazza Grimani: «Le cinque A del fuoco interiore, adorare, amare, ascoltare, abbandonarsi e accettare. E le cinque A del fuoco esteriore, dell’impegno pratico: agire, animare, approssimarsi, avventurarsi e allietarsi». Il vescovo ha infine affidato il suo episcopato, il suo cammino intrapreso ieri ufficialmente a Trieste, a «Maria, Madre e Regina veneratissima», «pregandola di renderlo fecondo di bene e di grazia».

(Matteo Unterweger su Il Piccolo del 5 ottobre 2009)

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