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04 apr – UPT: 110 anni di tutela dell’italiano in Istria e Dalmazia

da La Voce del Popolo del 3 aprile 2010

Le Università Popolari si fondano, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo in vari Paesi per venire incontro alle esigenze del popolo. Una delle prime sorge proprio a Trieste per volontà del Comune il 27 dicembre 1899. Trieste faceva parte allora dell’Impero asburgico e uno dei principali contrasti tra il Comune, liberal-nazionale, espressione del movimento irredentista, e il governo di Vienna riguardava proprio l’istituzione di una Università Italiana. Non potendola ottenere, il Comune volle l’Università Popolare per diffondere la cultura italiana tra le classi più umili.

Così veniva allora ufficialmente costituita l’Università del Popolo di Trieste e va ricordato che del Comitato speciale fecero parte, sin dall’inizio, uomini della statura di Felice Venezian, Giuseppe Caprin e Riccardo Pitteri.

Poi l’Università Popolare rimase inoperosa per i lunghi anni della guerra e appena nel gennaio 1919 tornò a riunirsi la Commissione ordinatrice. Nel 1924 l’Università Popolare cessò di essere un’istituzione municipale e venne trasformata, per volontà di un’Assemblea di soci, in una società autonoma. Dopo il 1925 l’Università Popolare non poté mantenere la propria autonomia, almeno in linea di diritto; di fatto i suoi dirigenti poterono continuare le loro attività tradizionali, con una certa larghezza di vedute da parte delle autorità di allora: ciò apparve specialmente negli anni 1938/1940, quando i dirigenti dell’Università Popolare poterono dichiarare apertamente di non voler dedicare conferenze, lezioni o conferenze di propaganda alle leggi razziali ed alla guerra, allo scoppio della quale l’attività rallentò e poi cessò.

La disfatta dell’ 8 settembre 1943, oltre all’interruzione di ogni contatto con la Nazione madre, significhrà per gli abitanti dei territori perduti dell’Adriatico orientale una sola drammatica parola: Esodo.

COLLABORAZIONE CON L’UIIF Chi se ne va vive una lacerazione profonda nelle relazioni e negli affetti più cari – sottolinea Redivo -, chi rimane subisce lo scempio del vedere una slavizzazione che travolge ogni cosa, mettendo in seria difficoltà le strutture politico-culturali di quella che ormai sta diventando una minoranza e fatta operare nel disagio e nell’isolamento più grandi, fin dalla sua fondazione, l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume.

Come (imparzialmente) scrive Arrigo Petacco nel suo libro sull’esodo, il governo italiano non comprende subito la situazione terribile che stanno vivendo gli italiani dei territori perduti, ma cerca in tutti i modi di contenere l’esodo. Che comunque, alla fine, avviene, in modo emblematico come quello che lasciò quasi deserta Pola.

Nel 1947, mentre a Parigi si preparava il testo del Trattato di pace con l’Italia, durissimo per i giuliani, gli istriani e i dalmati, un folto nucleo di cittadini, deliberarono di ricostituire l’Università Popolare di Trieste, ispirandone l’attività ai principi tradizionali e dando pronto avvio alla “Scuola di lingue straniere” ed a molteplici corsi d’istruzione periferici e provinciali, estendendo il suo impegno a tutto il territorio del Carso, della Val Rosandra ed al Muggesano ed organizzando concerti, iniziative di orientamento professionale, spettacoli teatrali, viaggi, mostre, ecc.

Nel 1954 veniva firmato a Londra il famoso “Memorandum d’intesa” che stabiliva, oltre ai nuovi confini fra Italia e Jugoslavia, la suddivisione del Territorio di Trieste in due Zone: la Zona A (amministrata dall’Italia) e la Zona B (amministrata dalla Jugoslavia). Il “Memorandum” consentiva all’Italia di occuparsi degli italiani rimasti limitatamente alla Zona B, cioè solamente di quelli residenti nel Buiese e nel Capodistriano, escludendo da ogni ingerenza, anche culturale, le zone esterne ad essa: Rovigno, Pola, Fiume, Dignano, Písino, Cherso, Lussino e così via.

Il Memorandum di Londra vincolava lo Stato italiano, i suoi organi ufficiali e istituzionali, ma nessuno avrebbe potuto impedire a un Ente privato, non statale di prendere contatti e di formulare programmi con un analogo Ente jugoslavo che rappresentasse gli italiani rimasti.

Per l’Università Popolare di Trieste il 1963-1964 è l’annata fondamentale. È l’anno in cui l’allora presidente dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, il neo eletto Antonio Borme, – racconta Redivo al numeroso pubblico – si rese conto dei cambiamenti in atto e intese rafforzare il ruolo della minoranza, iniziando un proficuo dialogo con le istituzioni italiane. Ed è l’anno in cui il Segretario generale Luciano Rossit, decide di iniziare quella che sarà, da quel momento in poi, la meritoria opera di salvaguardia e tutela della lingua, della cultura e dell’identità di appartenenza di una parte di popolazione che aveva vissuto fino ad allora in territorio italiano e che ora apparteneva alla Jugoslavia. Concordando un primo piano di interventi, per assicurare ai connazionali che non erano esodati il mantenimento della propria identità nazionale, lo sviluppo e l’aggiornamento culturale e scientifico e la difesa della propria lingua. Il lavoro cominciò subito e si sviluppò rapidamente fra mille difficoltà, frapposte dalla scarsa simpatia della Jugoslavia e dagli ostacoli dell’opinione pubblica triestina e di una certa parte degli schieramenti politici di Trieste, che consideravano gli italiani rimasti come “traditori”.

Gli accordi – ha detto Redivo – tra UIIF e UP vengono siglati a Rovigno, nel settembre 1964, in un incontro che si tiene nella sede del locale Ginnasio italiano, alla presenza del Segretario generale Luciano Rossit, del vicepresidente Giuseppe Rossi Sabatini e del presidente dell’UIIF Antonio Borme.

PROTEZIONE DELLA CNI La collaborazione tra l’Università Popolare di Trieste e l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume (dal 1991 Unione Italiana), iniziata nel 1964, si è arricchita nel giugno del 1967 di una manifestazione “di grandissimo rilievo, e cioè del concorso annuale Istria Nobilissima”, mirante a stimolare e valorizzare tutte le forme creative d’arte e di cultura comprendendo la letteratura inventiva, la saggistica, le arti visive, la composizione musicale, le arti rappresentative e i servizi giornalistici d’informazione.

Il 1978 è l’anno in cui, dopo gli Accordi di Osimo, che ratifica di fatto definitivamente i confini stabiliti dal Memorandum di Londra, l’Istituto triestino viene ufficialmente delegato a operare in Istria, nel fiumano e nelle isole quarnerine come braccio operativo del Ministero degli Affari Esteri del governo italiano.

Il compito e il ruolo dell’Università Popolare di Trieste, appunto la salvaguardia e la tutela dell’unica minoranza autoctona d’oltreconfine, sono così ufficialmente sanciti.

I cambiamenti politici avvenuti nell’ex Jugoslavia fa sì che, con la fine del regime comunista, si risvegli il Gruppo Nazionale Italiano, facendo registrare un considerevole aumento nella quantità numerica dei connazionali iscritti alle varie Comunità, con il conseguente intensificarsi delle attività promosse dall’Unione Italiana e dall’Università Popolare.

Le attività si fanno sempre più numerose, incentivando in tutti i modi la promozione della lingua e della cultura italiana, spesso con ottimi risultati, contribuendo in modo notevole allo sviluppo culturale, artistico, storico e umano dei connazionali dell’Istria, Fiume e Dalmazia. Nella fase finale – ha concluso il professore – in particolare di questi ultimi anni fondamentale è il ruolo delle due istituzioni per un primo riavvicinamento tra esuli e rimasti, nell’ottica di un’apertura mentale che si è tradotta in un ampliamento della valenza di ogni singola attività culturale.

Guido Giuricin

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