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02 ott – La Bosnia sull’orlo di un nuovo conflitto

«Nel passato sparivano gli imperi, invece oggi dobbiamo accettare il fatto della sparizione della Bosnia», confessava rassegnata la poetessa bosniaca Ferida Durakovic.

Negli ultimi due mesi, numerose riviste e giornali, politici ed esperti internazionali sostengono che, 14 anni dopo il Trattato di pace firmato a Dayton, la Bosnia-Erzegovina è sull'orlo di collasso. «Ancora una volta, i bosniaci parlano di una guerra possibile» scrive l'importante rivista geopolitica statunitense ”Foreign Affairs”, sotto il titolo ”La morte di Dayton”. Gli autori, P. C. McMahon e Jon Western, avvertono che «la Bosnia-Erzegovina, forse, non rimarrà pacifica ancora a lungo e il presente orientamento verso la frammentazione provocherà certo una nuova ondata di violenze».

«La situazione è allarmante ma, a quanto pare, nessuno ne prenda nota» scrive per il ”New York Times” Nicholas Kulish, nel suo articolo ”Mentre l'Europa dorme, la Bosnia sta ribollendo”. William Montgomery, ex ambasciatore Usa in Croazia e Serbia, dall'”International Herald Tribune” suggerisce la suddivisione etnica della Bosnia-Erzegovina (BiH). I Balcani sono tra le cinque minacce più serie del mondo, conclude
un nuovo rapporto della Cia.

Nel novembre 1995, nella città americana di Dayton, fu firmato l'accordo che poneva la fine alla guerra in Bosnia-Erzegovina. Il Paese fu diviso in due entità semi-indipendenti: la Federazione croato-musulmana e la Republika Srpska. Tale modello politico ha espresso un governo centrale debole e una vasta autonomia alle due entità. Ogni entità ha il proprio governo, la propria polizia, il proprio sistema scolastico e sociale, il proprio regime fiscale. In totale 160 ministri.

Un apparato burocratico che divora metà del bilancio annuale dello Stato. Dal 1995 e fino a tutto il 2007, in Bosnia sono stati investiti dalla comunità internazionale ben 14 miliardi di dollari, con la speranza che la prosperità aiutasse lo sviluppo di una società democratica. Ma la frammentazione istituzionale, il grottesco apparato amministrativo e la corruzione endemica, hanno fatto sì che più di 1 miliardo di dollari sia sparito nel nulla. La retorica nazionalista dei politici, in particolar modo quella degli sciovinisti, Milorad Dodik e Haris Silajdžic, evidenzia ”Foreign Affairs”, ha paralizzato le istituzioni federali, costituendo un forte ostacolo al progresso. Oggi, 14 anni dopo la pace di Dayton, i serbo-bosniaci vogliono la separazione, i croati aspirano anch'essi alla propria parte, mentre i musulmano-bosniaci temono di finire in una sorte di ”Striscia della Bosnia”, una parte centrale del Paese, circondata dalle vicine Serbia e Croazia. Il primo ministro della Republika Srpska Milorad Dodik lavora apertamente a favore della secessione della Rs dalla Bosnia-Erzegovina.

A suo parere, la Republika Srpska è un'entità stabile e durevole, mentre il futuro della Bosnia-Erzegovina è alquanto incerto. Nebojša Radmanovic, serbo, membro della Presidenza collettiva della Bosnia-Erzegovina, è andato un passo avanti, dichiarando al quotidiano di Belgrado ”Vecernje Novosti”, che «la Bosnia-Erzegovina è più vicina alla dissoluzione che all'unità». Negli ultimi anni, i rappresentanti della Republika Srpska nelle Istituzioni federali, hanno bloccato circa 100 leggi, iniziative o nomine politiche e, tra le altre, anche quelle necessarie per l'avvicinamento alle integrazioni europee. «Per noi la Republika Srpska è più importante delle Integrazioni europee» precisa il primo ministro Milorad Dodik. In base agli Accordi di Dayton è stata istituita la figura dell'Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina (Ohr), la più alta carica civile del Paese.

A essa spettano compiti di controllo, monitoraggio e supervisione, nonché il potere d'imposizione di provvedimenti legislativi e di rimozione di pubblici funzionari che ostacolano l'attuazione della pace. La scorsa settimana, l'Alto rappresentante per la BiH, Valentin Incko, ha imposto alcune decisioni, perché i politici locali non intendevano mettersi d'accordo. E mentre Incko spiegava a Bruxelles che la situazione è peggiorata, i politici della Republika Srpska hanno respinto le sue decisioni, attaccandolo e minacciando di fare causa a tutti i rappresentanti precedenti, perché hanno «violato l'Accordo di Dayton e la Costituzione». Due anni fa si era creata una situazione simile, quando l'Alto rappresentante dell'epoca, lo slovacco Miroslav Lajcak, aveva esercitato la sua autorità per imporre alcune decisioni. Dopo un tira e molla, Bruxelles, invece di sostenere il proprio Rappresentante, rinunciò.

«La resa alla Republika Srpska, ha severamente danneggiato la legittimità dell'Alto rappresentante» sostiene il ”Foreign Affairs”. Jacques Klein, ex rappresentante Onu per la Bosnia-Erzegovina, sostiene che «gli Stati Uniti devono impegnarsi di più in Bosnia, perché hanno una politica più decisiva. Invece l'Europa per ogni decisione ha bisogno del consenso unanime, che richiede molto tempo». La nuova amministrazione Usa ha già mostrato interesse per i Balcani e la BiH. Il vice presidente Joe Biden ha dedicato una delle sue prime visite, nel giugno scorso, ai Balcani, invitando i politici locali a evitare «vecchi modelli e antichi odi».

Le forze militari internazionali nel Paese (Eufor), contano circa 2mila soldati, sparsi in tutto il Paese. Il numero dei militari presto sarà ridotto a sole 200 unità, con un mandato ancor più limitato. Il presidente del Partito democratico bosniaco (Sda) Sulejman Tihic teme che «la rovente retorica possa portare alla violenza». Per l'esperto ed ex membro del osservatorio politico Gruppo internazionale per la crisi James Lyon «tutti sono armati». I media locali citano i patrioti che rispondono dicendo: «Questa volta non ci coglieranno disarmati». Sono tempi bui sull'orizzonte della Bosnia? Presto giungerà la sua fine? Oppure si avvererà, come prevedeva 200 ani fa, il nobile e condottiero bosniaco Husein Kapetan Gradašcevic detto «Il Drago di Bosnia», nella ribellione contro il Turco. Nel celebre dialogo con il governatore turco in Bosnia, il quale gli diceva «Non ci sono più né la Bosnia né i bosniaci», Husein ribatteva: «C'é la Bosnia e ci sono i bosniaci. C'erano prima di Voi e, se Dio vorrà aiutarci, ci saranno anche dopo».

AZRA NUHEFENDIC su Il Piccolo del 2 ottobre 2009

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