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Una discarica in mezzo all’Adriatico (terranews.it 08 set)

di Alessandro De Pascale

La Fossa sud, con i suoi 1.200 metri, è la più profonda dell’Adriatico. Si trova nelle acque che separano la città di Otranto dall’isola croata di Palagruža. Dentro non c’è la tipica flora e fauna marina, presente negli abissi. Ma una vera e propria discarica. Il suo fondale è ricoperto di bottiglie, buste di plastica, vetro e lattine di alluminio. A scoprirla, nel luglio scorso, sono state le navi laboratorio dell’Istituto oceanografico di Spalato (Izor), in Croazia.

«La situazione è drammatica – conferma Nedo Vrgoc, un biologo dell’Izor tra gli autori della ricerca -. Entro la fine di settembre consegneremo al nostro governo il rapporto definitivo. La speranza è che vengano presi dei provvedimenti in tempi brevi». Secondo gli scienziati di Spalato le cause sarebbero diverse. Prima di tutto le correnti marine che trasportano i rifiuti proprio in quella fossa. Ma soprattutto le caratteristiche geomorfologiche dell’Adriatico: un mare chiuso con poco ricambio delle acque. In pratica è una grande piscina.

I rifiuti che galleggiano finirebbero così negli abissi in questa precisa porzione di mare: la Fossa sud. Provengono dalle coste ma anche dal traffico marino, in costante aumento tra l’Italia e i Balcani, con navi che ogni giorno partono dai principali porti italiani in direzione di Spalato, delle isole croate, del Montenegro, dell’Albania e della Grecia. A queste bisogna poi aggiungere le 5.000 navi cisterna che ogni anno solcano l’Adriatico. E le statistiche mondiali dicono che a una su cinque accade un incidente. E in Adriatico va ancora peggio: cinque volte di più rispetto agli altri mari del mondo. Un dato confermato dalle analisi svolte dalle navi laboratorio dell’Izor: nell’Adriatico la superficie di rifiuti petroliferi al momento ha già superato i 1.300 chilometri quadrati.

Un dato che mette a rischio il delicato ecosistema di questo mare. Le macchine fotografiche dell’Izor hanno accertato la provenienza dei rifiuti della Fossa sud, sulla base della lingua riportata: italiano, montenegrino, albanese, croato e sloveno. «I rifiuti se continueranno ad essere gettati in mare – denuncia dall’Izor Nedo Vrgoc – finiranno sicuramente sui fondali della Fossa sud». Gli scienziati dell’Istituto oceanografico di Spalato aggiungono però che in base ai dati in loro possesso circa tre quarti dell’inquinamento dell’Adriatico proviene dalla costa. E più della metà dei rifiuti presenti in mare è costituito da plastica. Un immenso problema per la biodiversità di questo mare, visti i tempi di smaltimento: venti anni per una busta di plastica, 300 per un piatto e 400 per una bottiglia in pet, mille anni per una lattina di alluminio o una tessera per ricaricare il cellulare, 4.000 per il vetro.

Tanto che gli scienziati definiscono la Fossa sud una «bomba ecologica », pronta a esplodere. Il governo croato sembra stia prendendo molto in considerazione i risultati di queste ricerche. Del resto l’economia del Paese si basa principalmente sul turismo balneare estivo. Infatti gran parte del Pil della Croazia, non potendo contare sul settore industriale, viene generato dalle presenze straniere in Dalmazia. E le ben 1.185 isole croate, di cui circa 300 abitate, rendono l’ecosistema marino ancora più vulnerabile. Ma soprattutto la sua risorsa principale, il mare, da salvaguardare a tutti i costi. Il rischio è che la Dalmazia venga divorata dal cemento, dalla speculazione edilizia e dall’inquinamento. Tanto che il ministro della Protezione ambientale, l’indipendente Marina Matulovic Dropulic, sta cercando la collaborazione di tutti gli Stati che si affacciano sull’Adriatico. Vuole renderlo «territorio marino particolarmente sensibile».

Oggi la maggior parte dei Paesi dell’ex Jugoslavia, Croazia compresa, guardano all’Unione europea. Zagabria già ora è sulla lista bianca di Schengen: i suoi cittadini non hanno bisogno del visto per viaggiare nell’Unione. E all’inizio del 2010 dovrebbero farne parte anche Montenegro, Serbia e Macedonia. Fuori dal club balcanico a Bruxelles, a conti fatti, resteranno solo Bosnia, Kosovo e Albania. Forse proprio quelli che ne avrebbero più bisogno. Tanto che il 24 luglio Dani, un settimanale indipendente di Sarajevo, ha messo in copertina una foto della biblioteca nazionale in fiamme durante l’assedio di quattro lunghi anni vissuto dalla città: il più lungo della storia.

Il titolo non lascia spazio a interpretazioni: «Di nuovo assediati». Attualmente il governo balcanico che ha percorso più strada e a maggiore velocità, nel processo di adeguamento normativo alle leggi di Bruxelles, è proprio quello di Zagabria. E anche se in Croazia, al momento, la raccolta differenziata avviene solo negli esercizi commerciali, il ministro Dropulic ha da tempo avviato il riassetto e la razionalizzazione delle 299 discariche presenti nel Paese. Di queste quasi 50 sono già state rinnovate, in modo da rispettare le norme europee. E presto saranno realizzate le isole ecologiche per differenziare i rifiuti.

Però se la Croazia pare avere imboccato la strada giusta, al momento, i problemi maggiori vengono dai Paesi vicini, come il Montenegro. Nel piccolo Stato balcanico, indipendente dal 2006, la pulizia dei quasi 300 chilometri di costa resta critica. E nonostante il governo di Podgorica affermi che il suo è «il primo Stato ecologico al mondo», la realtà è ben distante dalla buona propaganda. La storica città di Kotor, nella parte settentrionale del Paese, è situata all’interno di un grande fiordo che non garantisce un buon ricambio delle acque. Al suo interno è recentemente esplosa l’itticoltura e il pesce allevato viene esportato anche all’interno dell’Unione europea. Ma il numero di batteri fecali, rilevati sulle spiagge più rinomate del Paese, spesso supera il limite consentito dalle norme. Nonostante i limiti molto più alti rispetto a quelli dell’Ue.

Più del 40 per cento della popolazione delle zone urbane non è collegato alla rete fognaria e le abitazioni della costa nel migliore dei casi utilizzano i pozzi neri, nel peggiore scaricano le acque nere direttamente a mare. E in assenza di depuratori, sono circa 80 gli scarichi di questo tipo: in media uno ogni tre chilometri e mezzo. Non va meglio nell’entroterra: scaricano direttamente nei fiumi che poi a loro volta arrivano nel mare. L’iniziativa per la tutela dell’Adriatico, da Zagabria, è appena partita, raccogliendo il consenso dell’Albania e dello stesso Montenegro. Restano fuori Slovenia e Bosnia con i loro 75 chilometri di costa. Ora però, stabiliti gli obiettivi, resta da firmare un accordo ma soprattutto trasformare i buoni propositi in realtà.

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