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Udovisi: ”Finito il libro, ora sono pronto” (Resto del Carlino 11 mag)

Finito il libro, disse: «Ora sono pronto Quello che dovevo fare l'ho fatto»

di ALBA PIAZZA
 

La Stesura – Proseguiva la narrazione come in trance, risucchiandoti nel racconto che riviveva
 

«COME mi sente, dalla voce le sembro un po' affaticato?». Graziano ci aveva chiamati giusto un mesetto fa. Una telefonata inaspettata. Poco tempo prima avevamo contattato sua moglie per avere novità sul suo stato di salute. «E peggiorato», ci aveva risposto la moglie Corinna. Continuava a perdere peso.

Nel fisico, questo sì, era debilitato. Provato. Ma la sua tempra era sempre la stessa: quella di un combattente. Di un patriota. Di un italiano. Quella di un uomo forte che aveva servito la patria. Non passava giorno che non ribadisse il concetto: lui aveva fatto e subito tutto questo, torture fisiche e psicologiche e vessazioni d'ogni genere, per difendere i suoi commilitoni, la sua gente, il suo Paese. Le donne e i bambini, in particolare. E suo pensiero volava sempre ai civili inermi, come ha sottolineato più e più volte nel suo libro, "Foibe. L'ultimo testimone", (Aliberti editore). Infatti, in quell'ultima chiamata, non esitò a chiederci lumi sulle vendite delle sue memorie belliche uscite in libreria i primi di febbraio. «Allora, come sta andando?» chiese con una certa trepidazione. E con un pizzico di malcelato rimpianto aggiunse: «Sa, avrei potuto aggiungere tante altre cose…».
 

ERA un uomo incredibile, Graziano. La prima volta che lo incontrammo a casa sua, in via Fenulli, per aiutarlo nella stesura della sua straordinaria testimonianza, ci mostrò quelle foto raccapriccianti. Erano una ventina, tutte in bianco e nero, gli angoli ingialliti. Le custodiva gelosamente in una busta datata come quelle immagini. Ce la porse dicendo: «La av- verto, sono un po'forti». Un eufemismo: c'era da sentirsi male sul serio, roba che ti veniva da chiudere gli occhi, da voltarti dall'altra parte, tanto la visione era insostenibile. Quella congerie di corpi nudi, alcuni con visibili i segni delle torture, ammassati gli uni sugli altri, era un pugno nello stomaco. C'erano anche una donna in stato interessante e una bambina. Mentre raccontava le sue vicissitudini, seduto al tavolo, in sala, non stava fermo un attimo. Si alzava di continuo, nonostante l'anca dolente.

Tirava fuori un mare magnum di libri sulla sua Pola, appunti, manoscritti, documenti. Poi, mentre ripercorreva quegli attimi tragici, che noi registravamo pedissequamente, lui guardava dritto davanti a sé. Si isolava.

Guai a interromperlo: lui proseguiva la sua narrazione, come in uno stato di trance. Graziano aveva l'incredibile dono di risucchiarti in quel racconto che lui riviveva ogni volta attimo per attimo. Così t'immaginavi Nini, il suo commilitone, che lo stesso Udovisi aveva salvato fortuitamente quel giorno di maggio quando era stato infocato. Lo aveva afferrato per i capelli. Eppoi parlava sempre con cognizione, rievocava ogni istante con estrema lucidità, ricordava con dovìzia i dialoghi, i nomi dei luoghi, le date. E se mai gli sorgeva un dubbio setacciava i libri e ricontrallava tutto con rigore certosino. Non lasciava mai nulla al caso, rileggeva ogni volta ciò che ci aveva dettato, correggeva, faceva annotazioni.
 

«COSI va meglio, è più chiaro», spiegava con il puntiglio tipico del maestro. Diceva che a scrivere di suo pugno non ce la faceva, si deprimeva, così preferiva dettare. Spesso s'interrompeva. Quei ricordi, pesanti come i macigni che gli misero al collo prima dell'infoibamento, gli toglievano il sonno. «La notte non riesco a dormire, non passa sera che non pensi a loro» ripeteva come un mantra. Ripensava ai morti ammazzati, a quel che non aveva potuto fare per salvarli. A quel punto la voce gli s'incrinava e scoppiava a piangere. Gli capitava spesso. «Per oggi basta» concludeva così le nostre 'sedute narrative" e si perdeva in chiacchiere più leggiadre. Raccontava sempre dei suoi nipoti, di come fossero una famiglia unita. Un giorno, poco prima di concludere il libro, disse: «Ora io sono pronto. Sono sereno.

Aspetto che arrivi il mio momento, quel che dovevo fare l'ho fatto». Fu l'unica volta che ebbe un pensiero ferale, ma persino in quel frangente era tranquillo. Credeva in Dio, Graziano, anche se ci teneva a sottolineare di non essere «mai stato un baciapile». Eppure gli piaceva confrontarsi con i sacerdoti sul suo vissuto, mentre ai suoi piccoli allievi aveva taciuto la sua esperienza. Lo aveva fatto unicamente per proteggerli, raccontava.

CON Graziano se ne va un pezzo d'Italia, un uomo straordinario al quale, come disse suo nipote Stefano, nel giorno della presentazione di "Foibe" a Reggio, non si poteva che voler bene. Il suo ricordo, però, vivrà in quelle pagine che in più d'uno hanno definito «un documento semplicemente unico».

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