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Trieste: sloveni in guerra col Comune (Il Piccolo 22 ott)

di PIERO RAUBER

TRIESTE In America la chiamerebbero class action, a Trieste si traduce in una rumorosa battaglia davanti a un giudice, per la rivendicazione di diritti e principi, da parte della comunità slovena del Carso contro il ”potere” cittadino in mano al centrodestra. Dodici enti che hanno casa in quella striscia dell’altopiano da Santa Croce a Basovizza compresi Conconello e Longera, dentro i confini amministrativi del Comune di Trieste, si sono rivolti al Tar per contestare i dettami del decreto Tondo – con cui la Regione ha attuato la legge 38 del 2001 di tutela della minoranza – nella parte in cui si regola il «bilinguismo visivo», quindi toponomastica, insegne pubbliche e cartelli stradali. La controparte è dunque la Regione, ma il vero ”nemico” si chiama proprio Comune di Trieste, considerato dai ricorrenti il soggetto ispiratore del decreto Tondo. Decreto che consente lo sloveno oltre all’italiano sui cartelli che segnalano l’inizio e la fine di un centro abitato, ma non su quelli interni alla frazione stessa, in prossimità di incroci e biforcazioni. «Una violazione dei diritti di tutela, una riduzione dello stato di fatto esistente in base al Memorandum di Londra del ’54 e al Trattato di Osimo del ’75, prima ancora che la legge 38 lo facesse proprio», tuona Peter Mocnik, il segretario provinciale dell’Unione slovena che, da avvocato, rappresenta in tale vertenza i dodici enti. Si tratta dell’Unione borgate carsiche, capofila del ricorso, l’Associazione Visave, la Cooperativa economica Skala, le comunelle di Banne, Basovizza, Gropada e Trebiciano, le associazioni culturali Slovan, Grad e Primorec, nonché le società sportive Gaja e Zarja. «È la società civile dell’altopiano», premette Mocnik respingendo retroletture etnico-politiche. Il bersaglio però ha un nome e cognome: «Queste limitazioni sono state elencate nel decreto su indicazione Roberto Dipiazza, visto che il governatore Tondo dopo essersi trovato il lavoro quasi finito dall’amministrazione Illy ha chiesto e atteso le osservazioni dei sindaci. Guarda caso le stesse limitazioni, che sono un’interpretazione e non sono mai state approvate dal Comitato paritetico, non si ritrovano ad esempio a Ronchi dei Legionari. È una partita che si inserisce nella diffusa scontentezza verso un rapporto ”colonizzatore” che aveva portato alla richiesta di istituzione di un nuovo Comune del Carso a sé».

Ma non basta. A distanza di qualche giorno dalla presentazione di questo primo ricorso, Mocnik ne ha depositato al Tar un secondo appena 48 ore fa. Stavolta la controparte non è la Regione ma direttamente l’amministrazione Dipiazza. E il principio della class action rimane, poiché l’azione legale raggruppa le comunelle su cui ricade il tratto della Grande viabilità da Trebiciano a Santa Croce. «In questo caso – aggiunge Mocnik – contestiamo la delibera con cui il Consiglio comunale (nel dicembre 2008, ndr) ha congelato ma comunque incamerato i soldi (tre milioni e 100mila euro, ndr) derivanti dagli espropri dovuti dall’Anas ma legati a una lunga diatriba tavolare». Diatriba prodotta evidentemente dal riconoscimento giuridico delle comunelle stesse successivo all’iter di esproprio.

Secca e tagliente la risposta di Dipiazza: «Sul decreto Tondo non ha deciso Dipiazza ma la Paritetica, mentre sull’Anas la nostra amministrazione si è finalmente attivata per recuperare una somma ferma lì dal 1982 e destinata comunque al territorio interessato. Altri prima di noi avevano perso tempo e soldi perché non si erano messi mai d’accordo. Quest’azione legale rientra, mi pare, in una strategia più ampia. La pacificazione forse non sta comoda a qualcuno. Un qualcuno che non sta a destra, ma dall’altra parte».

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