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Tomizza, la miglior vita sulla frontiera (Gazzetta del Mezzogiorno 25 ago)

di DIEGO ZANDEL

 

 Il ricordo di Fulvio Tomizza, lo scrittore istriano di cui ricorre quest’anno il decennale della morte, è tenuto vivo dal «Forum Tomizza», che lo scrittore croato, di origine istriana Milan Rakovac, organizza ogni anno, riunendo studiosi e scrittori amici dello scomparso in convegni e letture che si svolgono nei tre luoghi di elezione di Tomizza, la natìa Materada, Umago e Trieste.

    Il forum non ha solo lo scopo di ricordare la figura di Tomizza, ma anche di affrontare i temi che hanno contraddistinto la sua narrativa, ovvero il rapporto con una terra di frontiera, come quella istriana, sulla quale si incontrano e, talvolta, si scontrano identità diverse, l’evoluzione linguistica e letteraria, le problematiche e i risultati, i bisogni che restano ancora da soddisfare, il rapporto con gli esuli istriani e il confronto con le opere letterarie nate dall’esodo, e delle quali Tomizza, con il romanzo Materada è stato il primo cantore.

    Al ricordo dello scrittore di recente si è aggiunto un libro, Le mie estati letterarie, sottotitolo: «Lungo le tracce della memoria», pubblicato da Marsilio con l’affettuosa introduzione di Cesare De Michelis. Il volume raccoglie una selezione – operata dallo stesso scrittore un anno prima di morire – di scritti apparsi su vari giornali e riviste che trattano in chiave giornalistica, ma molto personale, testimoniale, le tematiche appunto della narrativa maggiore di Tomizza. Pertanto, si troveranno qui scritti su Trieste, in chiave storica, sui caffè triestini, sulla famosa piazza dell’Unità d’Italia, che a Trieste si affaccia, per un lato, direttamente sul mare, e quindi su vari aspetti dell’Istria, non ultimi la cucina, le tradizioni e così via.

    Sono scritti di varia misura e profondità, ma tutti caratterizzati da un sentire molto vivo che indica quanto lo scrittore fosse parte di questa terra, con tutte le forti contraddizioni di cui è portatrice.

Proprio per questo motivo, forse lo scrittore è stato capito troppo tardi, sia dagli esuli istriani a cui apparteneva sia dagli allora «jugoslavi» che lo trattavano sempre con sospetto (e la grande svolta qui venne proprio alla caduta della Jugoslavia, con l’in – dipendenza della Croazia, e grazie a Milan Rakovac che, tra la diffidenza di molti nazionalisti, tradusse in croato il capolavoro di Tomizza, ovvero La miglior vita). Da parte loro, gli esuli istriani di etnia italiana guardavano a lui anche con sospetto per la sua narrativa che metteva in luce il mondo mistilingue dell’Istria attraverso una scrittura intrisa di tipiche espressioni croate e slovene, usate nelle campagne dell’interno e che corrispondevano all’autentico parlato della gente.

    Gli uni e gli altri guardavano con sospetto a lui anche per la sua biografia. Come ricorda anche Cesare De Michelis: «Bambino, ha vissuto la guerra e poi il dopoguerra, ha atteso con speranza la pace e condiviso l’en – tusiasmo dei vincitori, ha assistito all’imporsi della rivoluzione partecipe, ha lavorato fianco a fianco coi reduci e i partigiani a Radio Capodistria, è persino andato a Belgrado per diventare un cineasta della nuova Jugoslavia. Ha sofferto quando i ‘compa gni’ aggredivano i suoi famigliari e imprigionavano il padre, incerto su chi fosse responsabile di tanto disastro; ha ‘tra – dito’

prima il padre e poi i compagni, davvero sopraffatto dalla violenza della storia, fino a quando ha accettato di farsi italiano».

    È proprio il suo essere, davvero, uomo di frontiera, diviso al suo interno da queste identità che attraversano l’Istria, come se la sua anima stessa fosse fatta di un impasto di quella stessa terra, è stata la sua testimonianza più grande di scrittore, nella sofferenza dell’incomprensione dell’una e dell’al tra parte, fatti salvi alcuni amici che a lui hanno guardato come a un maestro e a un esempio autentico di integrazione, di dialogo tra gente diversa, ma appartenente alla stessa terra. Non è un caso che poi, quando è stato possibile, Fulvio Tomizza, dopo anni di esilio a Trieste, sia tornato a Materada, si sia comprato e sistemato una vecchia casa, nella quale in pratica è andato a vivere gran parte dell’anno per lì scrivere i suoi libri.

    Nasce da qui, appunto, lo scritto principale che da il titolo a tutta la raccolta, cioè Le mie estati letterarie, molto interessante anche perché svela risvolti, anche tecnici, del lavoro di Tomizza e che risulta essere molto utile per gli estimatori delle sue opere e per quanti continueranno a leggerle e a studiarle.

 

• «Le mie estati letterarie» di Fulvio Tomizza (Marsilio ed., pp. 173, euro 14,00).

 

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