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Spadaro: grazie, Presidente Napolitano (Il Piccolo 06 set)

INTERVENTO

Caro presidente, desidero ringraziarla per l'attenzione costante che ha manifestato per le vicende del confine orientale.

Lei, e prima di lei il presidente Carlo Azeglio Ciampi, avete seguito in modo non occasionale, con attenzione e sensibilità, la storia di questa parte d'Italia e il profilo storico-culturale delle sue genti.

E non è un caso, secondo me, che siano stati i protagonisti che provengono dalla cultura repubblicana profonda, come il presidente Ciampi e lei, ad avere, da patrioti ed europeisti, finalmente colto il dovere di inserire le nostre vicende nella memoria nazionale.

Trieste e la Venezia Giulia viste non come un «peso», né come invenzione – o forzatura – del nazionalismo, e perciò un corpo estraneo all'identità della Nazione, ma, invece, quale specifico e originale suo capitolo.

Come rimorso, casomai, e non come peso: rimorso per non aver saputo o voluto cogliere fin dal 1919 le caratteristiche e le esperienze civili dei giuliani. Eppure Giani Stuparich, e non è l'unico, aveva tempestivamente sottolineato il rilievo di quell'esperienza che era sostanziata dall'Irredentismo democratico e dall'elaborazione degli italiani dell'Impero asburgico sui temi del rapporto fra minoranze e Stato, fra cittadinanza e nazionalità.

Sappiamo come la storia si è conclusa: non ascoltati dalla patria che arrivava e poi rapidamente messi da parte dal fascismo, che si è fatto Stato e ha presentato il volto oscuro dell'Italia: un'italianità che prima era l'abito normale e frutto di una scelta politica individuale, con il nazionalismo fascista si fece imposizione, costrizione, che offendeva gli sloveni e i croati e mortificava la civile cultura degli italiani del confine orientale.

Il Regno d'Italia volle «assimilare» o cancellare il carattere plurale delle nostre regioni, fino ad arrivare nel '38 a venir qui a esaltare le leggi razziali. Qui, a Trieste, dove l'italianità era il risultato di scelte e integrazioni che avevano dato a questa città un carattere moderno e aperto al mondo.

Si pensi alla storia di Trieste e alla sua capacità – per conto della cultura italiana – di avere rapporti costanti e proficui con l'Europa. Il Regno d'Italia fu sordo alle ragioni dei giuliani, per la natura stessa della sua formazione centralistica e poi nazionalistica; ma i principi su cui è nata la Repubblica sono diversi.

La Repubblica poteva e doveva, sulla base dei suoi principi fondativi, guardare con occhio diverso alle vicende giuliane: sia per quanto riguarda le ragioni storiche degli italiani del confine orientale, sia per quanto riguarda i diritti all'identità dei cittadini italiani di lingua e nazionalità slovena.

A lungo non lo fece, perché le vicende del confine orientale furono demandate o all'interpretazione degli eredi del nazionalismo – vociante ma sempre più imbelle – o a un'interpretazione generale delle vicende giuliane propria al comunismo e al nazionalismo jugoslavo, e poi sloveno e croato.

Ne venne fuori un'immagine della Venezia Giulia che a lungo ha messo in parentesi proprio quella tradizione civile e politica che gli uomini dei quattro Cln triestini hanno rappresentato, riprendendo temi, atteggiamenti e sensibilità ben presenti nella società triestina. Anche la Repubblica, a lungo, ha considerato marginali ed estranee la storia e le caratteristiche delle genti del confine orientale, da seguire solo per alcuni aspetti particolarmente cruenti delle sue vicende del Novecento.

Il 2011, per quello che significa, può rappresentare un'occasione per inserire questa regione nella storia e nell'identità d'Italia, valorizzando il suo contributo passato e presente ai processi di unificazione del nostro Paese.

La cultura della cittadinanza e della scelta personale della nazionalità come volontaria e consapevole integrazione può oggi essere ancora oggi utile.

Stelio Spadaro

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