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Sopravviverà l’italiano? Solo se dialogando con lingue d’Europa (Il Piccolo 03 ott)

«La mia amicizia con Folena data dai tempi in cui frequentavamo lo stesso corso presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Già allora era evidente il profilo del grande intellettuale, dell’acuto e rigoroso studioso, capace, attraverso l’analisi delle origini del linguaggio, di addentrarsi nella conoscenza dell’epoca passata, di seguire le vicende del pensiero attraversato prima di arrivare a noi»: queste alcune delle parole contenute nel messaggio che il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi inviò dieci anni fa in occasione del primo decennale della morte di Gianfranco Folena.

 

Nei giorni scorsi, in occasione del secondo decennale, il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha organizzato nella Sala Aldo Moro della Camera dei deputati un convegno dal titolo “L’italiano in Europa. La lingua come risorsa. A vent’anni dalla scomparsa di Gianfranco Folena”. Gianfranco Folena è stato certamente uno dei più insigni filologi e studiosi della lingua italiana del XX secolo. Toscano, anche se nato in Piemonte, studiò nella sua terra originaria, prima a Pisa alla Normale, poi, dopo le vicende della guerra che lo videro anche prigioniero in India, a Firenze, dove si laureò con Bruno Migliorini. Ma la sua carriera accademica si svolse tutta a Padova, dove per decenni tenne gli insegnamenti di Filologia romanza e, soprattutto, di Storia della lingua italiana, e dove fondò il Circolo filologico-linguistico padovano.

 

Qui, generazioni di studenti hanno conosciuto, oltre alla sua dottrina, la sua generosità e la sua capacità di dar fiducia a tutti i suoi allievi; doti che aveva fin da giovane se il filologo classico Giorgio Pasquali, nel 1942, scriveva: “di Gianfranco Folena non si ha notizie dall’ultimo d’ottobre, e la migliore ipotesi è che sia prigioniero. Io gli ho molto voluto bene per il calore umano, per l’amore verso i soldati, per quel suo esser libero da ogni egoismo”. Il titolo del convegno alla Camera individua perfettamente due nuclei fondamentali dell’insegnamento di Gianfranco Folena: da una parte la concezione della lingua come risorsa, attraverso la quale si può contribuire a disegnare la storia di una comunità e della sua cultura; dall’altra la costante attenzione alla collocazione dell’italiano nell’ambito europeo.

 

A questo tema, in un secolo cruciale come il Settecento, è dedicato il suo libro-capolavoro, “L’italiano in Europa”, uscito nel 1983 da Einaudi come raccolta di saggi usciti nel venticinquennio precedente (la misura ideale per esporre le proprie ricerche era, per Folena, il saggio, non il libro). In opposizione alla visione corrente del Settecento come secolo culturalmente debitore dell’egemonia culturale della Francia, Folena sottolinea il ruolo avuto dalla lingua italiana in Europa: una lingua che, non tutti lo sanno, circolava, grazie soprattutto alla poesia per musica (pensiamo ai libretti di Lorenzo da Ponte), tra i ceti colti dell’intera Europa, prima di tutto nella corte di Vienna.

 

Ma non solo: l’italiano è stato una lingua praticata da eminenti esponenti della cultura del secolo, da Mozart a Voltaire, di cui Folena ha studiato le produzioni in italiano. L’interesse di Folena per gli incontri di lingue e culture l’ha portato quasi naturalmente a occuparsi anche di traduzione. Proprio a Trieste, nel 1972, a un convegno internazionale sulla traduzione, ha tenuto un’importante relazione, pubblicata poi negli atti e divenuta, un ventennio dopo, nel 1991, un volumetto edito da Einaudi, dal titolo “Volgarizzare e tradurre”. Illuminante l’incipit: «È noto che all’inizio di nuove tradizioni di lingua scritta e letteraria, fin dove possiamo spingere lo sguardo, sta molto spesso la traduzione: sicché al vulgato superbo motto idealistico in principio fuit poëta vien fatto di contrapporre oggi l’umile realtà che in principio fuit interpres, il che significa negare nella storia l’assolutezza o autoctonia di ogni cominciamento»; che è come dire che ogni civiltà letteraria nasce con una traduzione. Ma possiamo anche rovesciare la frase foleniana e sostenere che nei momenti nei quali in una cultura cresce il peso della traduzione ci possiamo attendere anche l’imporsi di nuove tradizioni linguistiche.

 

È quello che sta avvenendo all’italiano di oggi, soprattutto se si tiene conto che un gran numero di testi “pubblici” (testi normativi, ma anche testi rivolti ai consumatori, ma anche testi giornalistici e via dicendo) sono traduzioni, più o meno dichiarate, più o meno camuffate. Conscio dell’importanza della traduzione, Folena ha fondato il Premio Monselice, che da 40 anni, ogni anno, premia la migliore traduzione letteraria italiana, la migliore opera prima, ma anche la migliore traduzione scientifica e la migliore traduzione in una lingua straniera di un’opera italiana. Come ha scritto lo stesso Folena nel 1975, la sua iniziativa, “utile e anche giusta”, intendeva «rendere giustizia a un settore vitale e trascurato della nostra cultura nella sua apertura verso le altre culture e lingue del mondo, presente e passato».

 

Il tema della traduzione era poco coltivato in Italia negli anni Settanta, quando Folena se ne occupava; ma gli anni hanno mostrato che si tratta di un tema cruciale nella nostra società: soprattutto dopo l’ampliamento della Comunità europea, diventata Unione europea, è il tema chiave della comunicazione all’interno dell’Unione. L’ampiezza del ruolo assunto dalle traduzioni non riguarda solo l’italiano, se seguiamo l’affermazione di Umberto Eco (ripresa anche nella Comunicazione sul multilinguismo che la Commissione europea ha indirizzato al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni il 18 settembre 2008), secondo la quale “la lingua dell’Europa è la traduzione”.

 

Ecco, allora, che interesse per l’italiano in Europa e interesse per la traduzione sono più connessi tra di loro di quanto potrebbe parere a prima vista. E oggi, vent’anni dopo la morte di Folena, le sue riflessioni teoriche e storiche ci possono essere ancora utili per discutere del ruolo dell’italiano nel contesto mistilingue dell’Europa, nel passato e nel presente.

 

Michele A. Cortellazzo

“Il Piccolo” 3 ottobre 2012

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