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Slovenia condannata per i “cancellati” (Il Piccolo 26 giu)

Colpevole. La Grande camera della Corte europea per i diritti umani (una sorta di Corte d’appello) ha condannato la Slovenia relativamente alla vicenda dei cosiddetti “cancellati”. La sentenza si articola in due parti. La prima prevede un indennizzo di 20mila euro ciascuno a sei degli otto proponenti la causa contro Lubiana per danni morali, più 30mila euro per le spese processuali. Ma la parte più “interessante” è quella in cui la Corte sancisce un anno di tempo alle parti, ossia Stato sloveno da una parte e legali delle parti offese assieme alle organizzazioni non governative coinvolte dall’altra, per trovare un accordo relativo al risarcimento dei danni patrimoniali. E questo non solo ai sei vincitori della causa, ma a tutti i 25.671 “cancellati”.

 

«Dovremo metterci attorno a un tavolo – spiega l’avvocato Andrea Saccucci che ha patrocinato i “cancellati” – e ragionare assieme per elaborare criteri uniformi e standardizzati ma che prevedano comunque una gradualizzazione a seconda dei singoli casi. È chiaro che si dovranno trovare criteri generali come l’età, o il fatto che molti sono stati addirittura espulsi dalla Slovenia». Il vero problema però è che attualmente le cause (179 secondo gli ultimi dati ufficiali) aperte nei tribunali sloveni venivano cassate in quanto secondo la legge il “reato” è caduto in prescrizione (si parla di una vicenda avvenuta 21 anni fa). Ora però la Corte europea ha stabilito che tale principio non può essere più valido imponendo il risarcimento alla Slovenia. Il cui Parlamento dovrà ora “inventarsi” una legge ad hoc che renda esecutiva la sentenza di Strasburgo.

 

Tutto ha avuto origine dopo l’avvenuta proclamazione dell’indipendenza della Slovenia (25 giugno 1991). In quel momento è entrato in vigore il cosiddetto “Citizenship Act” ossia la legge sull’ottenimento della cittadinanza del nuovo Stato indipendente. Il termine previsto dalla norma era di sei mesi e venne in scadenza il 25 dicembre del 1991. Un Natale amaro per molti. Infatti alla data dell’indipendenza vivevano e lavoravano in Slovenia 200mila persone cittadine degli altri Paesi della ex Jugoslavia. Entro il termine di legge del 25 dicembre 1991, 171.132 hanno legalizzato la propria posizione ottenendo la cittadinanza slovena. Per gli altri iniziò l’inferno.

 

Il 26 febbraio del 1992 i loro nomi furono cancellati dai registri anagrafici della Slovenia. Loro non erano nessuno. Il fatto è che il tutto è avvenuto senza avvisare gli interessati, molti dei quali vennero a scoprire del loro status di “dannati” per esempio al momento del rinnovo di un documento. Chi aveva lavorato anche 30-40 anni nel Paese veniva privato dei contributi per la pensione. Altri persero la casa e le proprietà, non potevano più lavorare o viaggiare, e hanno vissuto per anni da homeless in quel Paese che nel 2004 è diventato una stella d’Europa. A partire dal 26 febbraio 1992, 25.671 cittadini della ex Jugoslavia hanno perso il loro status di residenti. Gradualmente il loro numero è diminuito in quanto molti hanno abbandonato la Slovenia ottenendo la cittadinanza negli altri Stati ex jugoslavi, altri furono espulsi mentre 7.899 hanno ottenuto la cittadinanza slovena anche grazie ad alcune sentenze della Corte costituzionale.

 

Nel 2009 13.426 dei “cancellati” non avevano alcuna posizione regolare in Slovenia e la loro residenza era sconosciuta. Intanto, nel 2006, undici “cancellati” ricorse alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Nel luglio del 2010 la Corte sancì la colpevolezza della Slovenia, la quale però ricorse in appello. Ieri la sentenza definitiva della Grande camera con la quale si chiude un’altra tragica pagina legata alla morte della Repubblica federativa socialista di Jugoslavia. Una pagina che, secondo i giudici di Strasburgo, ha visto porre in essere «una pulizia etnica amministrativa». Non meno cruenta di quella imposta sul terreno dalle milizie armate.

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