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Assi italiani del volo, la storia dimenticata (Il Piccolo 26 giu)

Mario Visintini era nato a Parenzo il 26 aprile 1913. Quando, terminati gli studi superiori, chiede di entrare all’Accademia Aeronautica viene scartato. Ma, uscito dalla porta, riesce a entrare dalla finestra: conseguito il brevetto di pilota civile si arruola grazie a quell’attestato nella Regia Aeronautica come allievo ufficiale pilota di complemento, diventando poi effettivo per meriti di guerra dopo essersi distinto nei cieli della Spagna massacrata dalla guerra civile. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale si trova in Africa orientale, dove inizia subito a duellare con la Raf. Morirà l’11 febbraio 1941, appena promosso capitano, schiantandosi contro le pareti del monte Nefasit mentre cerca nella nebbia il suo fedele gregario, il sergente Baron, che nel frattempo era atterrato sano e salvo a Sabarguma.

 

Con 16 vittorie accreditate e una medaglia d’oro al valor militare, l’istriano Visintini fu il primo cacciatore italiano a conquistare la notorietà come asso. La sua storia è ricordata nel libro di Giovanni Massimello e Giorgio Apostolo “Gli assi italiani della seconda guerra mondiale”, da oggi in libreria per la Libreria editrice goriziana, nuovo volume della collana Bam, biblioteca di arte militare. Si è più volte detto che la storia militare – la storia dell’arte militare -, per quanto possa essere considerata minore – e anche più noiosa – rispetto alla storia politica e diplomatica di gran lunga preferita dagli accademici, ha tuttavia un potenziale percettivo tutt’altro che trascurabile nel quadro delle discipline storiche più blasonate. Soprattutto in Italia, dove la materia solo da pochi decenni viene affrontata con maggiore rigore rispetto a una pubblicistica che ha sempre oscillato tra una retorica di propaganda e una memorialistica poco attendibile.

 

Così ecco che il libro di Massimello e Apostoli, come gli altri della Bam, offre un compendio al tempo stesso preciso e illuminante non solo in riferimento ai “fatti d’arme” dell’aeronautica italiana durante la seconda guerra mondiale. La disamina tecnica delle macchine impiegate nel conflitto, insieme alle brevi note curricolari e biografiche dei piloti che si distinsero maggiormente – gli assi, appunto, di cui viene fornito l’elenco – apre prospettive persino inattese su una realtà storica più ampia e complessa. Quando l’Italia entrò in guerra, ricordano gli autori, l’aviazione italiana era largamente impreparata (come del resto le altre forze armate) ad affrontare con i suoi apparecchi – in gran parte già obsoleti, senza nemmeno la radio a bordo – un conflitto che l’avrebbe contrapposta ad avversari tecnicamente, se non strategicamente, molto più preparati.

 

Dopo aver descritto il quadro generale, e aver illustrato l’impiego dell’aviazione sui vari fronti, il libro tratta delle imprese di alcuni dei piloti che più contribuirono ad abbattere i 2522 velivoli nemici nel corso di tutto il conflitto. Una ricerca resa più laboriosa dal fatto che alcuni piloti dopo l’8 settembre ’43 entrarono nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana di Salò, altri invece furono impiegati della Balkan Air Force alleata. Nel dopoguerra i primi furono espulsi dall’Aeronautica, per cui su questo capitolo di storia militare, notano gli autori, “ci fu, da parte delle autorità ufficiali, una sorta di tacito accordo: meglio non trattare una materia ancora soggetta a riaprire ferite non completamente rimarginate”. L’assunto di partenza del libro è che certo, il ruolo giocato dall’aviazione italiana nel corso della Seconda guerra mondiale a fianco della Germania “non fu strategicamente determinante”. In particolare “la presenza italiana ad eventi di portata storica come la Battaglia d’Inghilterra o la Campagna di Russia fu assolutamente marginale”. Tuttavia su altri fronti, come nel Mediterraneo e in Africa orientale, “l’aviazione italiana giocò un ruolo di vera protagonista”.

 

Ruolo praticamente ignorato però dalla storiografia anglosassone e tedesca. Del resto le formazioni italiane arrivarono al tragico appuntamento del giugno 1940 già provate dalla guerra di Spagna, che “ne aveva ridotto le linee e soprattutto rallentato il processo di ammodernamento dei mezzi e dell’addestramento”. In più, come accaduto anche per la Marina, l’industria bellica sottostava a visioni strategiche diciamo così fuori moda, per cui “prevaleva, tra i progettisti e i committenti, l’aspirazione al bel prodotto ’artigianale’ adatto alla creatività e alle doti acrobatiche dei piloti”. I quali, per esempio, preferivano i caccia biplani Fiat CR42, così eleganti e cavallereschi, ai più moderni monoplani metallici Macchi C200 e Fiat G50.

 

Con queste premesse si può capire cosa accadde quando sui cieli infuocati del mondo comparvero davanti ai regi biplani gli Hurricane Mark II con otto mitragliatrici e soprattutto gli Spitfire in grado di sfrecciare a seicento chilometri orari. Come detto gli autori sottolineano anche il ruolo strategico dell’aviazione italiana, là dove riuscì a esprimersi grazie appunto agli “assi” della caccia, alcuni dei quali – oltre a Visintini – sono in queste pagine ricordati attraverso brevi schede biografiche: uomini come Giorgio Graffer, Tersio Martinoli, Franco Lucchini, Leonardo Ferrulli, Franco Bordoni Bisleri e altri (in appendice al volume una lista completa). In definitiva la ricostruzione, per quanto sintetica, delle operazioni e dei mezzi impiegati nei cieli della seconda guerra mondiale riflette il quadro storico generale, e ne illumina alcuni aspetti. Perché se è vero che non è solo sui campi di battaglia che si decide la storia, è lì che la storia lascia la sue più profonde e dolorose tracce.

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