ANVGD_cover-post-no-img

Se torna il fantasma dei nazionalismi (Il Piccolo 24 mag)

di PIETRO SPIRITO

GORIZIA «Oggi in Serbia, in Kosovo, ma anche in Croazia ci sono tantissimi giovani nazionalisti agguerriti, così come i nazionalisti stanno tornando in tante altre parti d’Europa; e questo è un problema che va risolto, perché non sparirà da solo. Come ci insegna la Storia ogni volta che i nazionalismi sono stati dati per morti li abbiamo poi visti rinascere». In queste parole dello storico Aleksa Gilas, figlio del dissidente jugoslavo Milovan Gilas, si riassume il filo conduttore dell’ultima giornata della sesta edizione di èStoria, il Festival internazionale che si tiene a Gorizia per iniziativa dell’ associazione èStoria a cura di Adriano e Federico Ossola. Un’edizione che ha registrato ancora una volta un ottimo successo di pubblico, con non meno di 30mila presenze (stima non ufficiale ma provata da osservazione diretta) solo nei due tendoni dove si sono svolti i circa 40 incontri nell’arco di tre giorni, con i posti a sedere esauriti ad ogni appuntamento e moltissima gente in piedi. Senza contare la partecipazione alle iniziative collaterali tra mostre, gite a tema e la ”Colazione con la storia”, la rassegna stampa del mattino curata dal giornalista e scrittore Alessandro Marzo Magno. Insomma una macchina dall’organizzazioe impeccabile che anche per l’edizione 2010 ha girato a pieno regime, come spiega Adriano Ossola: «Chiamare tanto pubblico parlando di storia è una grande soddisfazione – dice – soprattutto perché la risposta è positiva anche quando gli ospiti, pur qualificati, non hanno nomi di richiamo: è un modo per far conoscere studiosi ben noti agli esperti ma meno seguiti da un più vasto pubblico».

Dunque tre giorni di dibattiti, confronti, riflessioni per un ”festival dei salti nel tempo”, come lo ha definito Andrea Bellavite commentando l’incontro con due medievisti di vaglia come Franco Cardini e Chiara Frugoni sul viaggio di Francesco d’Assisi dal sultano d’Egitto nel 1219, che ha avuto come tema gli ”Orienti”. E se ieri sono stati di scena gli Orienti estremi, dall’Iran alla Cina, l’ultima giornata della rassegna è tornata a puntare la lente su un oriente a noi più vicino: il confine orientale, o meglio la frontiera orientale, vista e considerata dalla Grande guerra al secondo conflitto mondiale e oltre. Con un sotteso, ma costante richiamo ai nazionalismi e al loro preoccupante rifiorire.

Delle origini del primo devastante conflitto mondiale hanno parlato Sergio Romano, Sergio Valzania e Hew Strachan, storico militare scozzese fra i più autorevoli al mondo. «È sorprendente – ha detto Strachan – pensare a come l’Europa, un continente unificato all’inizio del Novecento sotto il profilo culturale, religioso ed economico, nel giro di poche settimane cambiò completamente, precipitando in un conflitto che sorprese tutti, compresa l’Austria Ungheria che alla fine era l’unica che aveva una ragione per combattere: difendere l’unità dell’Impero». Se lo stato nazionale fu il motore che permise a milioni di cittadini-combattenti di andare al massacro, le ragioni della guerra mondiale vanno cercate – è stato detto – in un composto di elementi che mise insieme nazionalismi, società concentrazionarie, nuove tecnologie e disprezzo per la vita umana nel senso che a questa espressione diedero tanti intelettuali organici del tempo, dall’una e dall’altra parte del fronte. Certo, è stato ancora osservato, anche le moderne democrazie si possono considerare figlie dei nazionalismi, nati nel ’500 proprio per contrapposizione agli imperi dominanti, ma è pure vero che i nazionalismi fioriscono proprio là dove si crea un vuoto di valori: «Quando non ci sono più valori a tenere insieme un popolo allora si inventa il nazionalismo». Lo ha spiegato il giornalista Demetrio Volcic partecipando all’incontro con Aleksa Gilas moderato da Sergio Canciani. Volcic ha ricordato il tempo e il modo in cui il padre di Aleksa, Milovan, si oppose al regime di Tito, o meglio ai metodi di un regime, quello jugoslavo, che secondo il dissidente non dava ciò che aveva promesso. Ma il racconto è presto scivolato verso temi più attuali: «Fino a dieci anni fa – ha ricordato proprio Gilas – sembrava che l’estremismo sia di destra che di sinistra fossero scomparsi dall’Europa, oggi invece pare proprio che stiano tornando». «C’è un battuta – ha detto ancora Gilas – che circola fra gli accademici: negli anni Trenta lo storico Ivan Ivanovic diceva che il nazionalismo sarebbe sparito; ma oggi vediamo che il nazionalismo non è sparito mentre invece Ivan Ivanovic sì». Dunque la Storia non insegna nulla? Non è esattamente così: «I fatti storici – è stato detto -, che possono essere manipolati e addomesticati proprio là dove nascono o risorgono i nazionalsimi, si rimettono in discussione in ogni posto del mondo dove ci sia un confine conteso o una contesa sui diritti di una minoranza; l’Europa occidentale ha in gran parte superato questa fase, tratta più dei problemi che delle origini dei problemi, ma in molti Paesi dell’Est e dell’Oriente non è così».

Eppure non mancano, anche a casa nostra, esempi di come la Storia possa ancora scaldare gli animi. Lo ha sottolineato il giornalista Roberto Covaz presentando il suo libro ”Gorizia al tempo della guerra” (Ed. Biblioteca dell’Immagine) con le memorie del partigiano Silvino Poletto, presente all’incontro moderato da Roberto Collini. Nell’introdurre io suo lavoro che vuole essere «un contributo al dialogo, al dibattito e alla ricerca di una memoria condivisa, Covaz ha criticato l’assenza, nonostante l’invito, di una «controparte»: «La destra se l’è svignata per far mancare il confronto pubblico, segno di come Gorizia viva ancora questa schizofrenia: da un lato è un simbolo della nascita della nuova Europa, e dall’altro vive ancora un infinito dopoguerra».

Ha acceso gli animi anche l’appuntamento dedicato al Risorgimento – non poteva mancare in tempi di celebrazioni alla vigilia del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia -, con una riflessione fra Giuseppe Parlato, Miguel Gotor, Alberto Mario Banti e Georg Meyr – discussione che è partita dall’incontro di Teano – quando Garibaldi ”obbedì” a Vittorio Emanuele II ”consegnando” l’Italia a Casa Savoia – per arrivare all’attuale federalismo leghista.

Ancora il Nord-Est, con le sue ferite e i suoi moniti, ha chiuso la tornata dei dibattiti pubblici dell’ultima giornata di èStoria. ”Le foibe e il confine orientale d’Italia. Nuove acquisizioni storiografiche”, è stato l’argomento che ha messo insieme gli storici Raoul Pupo, autore del recente ”Trieste 1945” (Ed.Laterza), Nevenka Troha e Rolf Wörsdörfer, dell’Università di Darmstadt, autore fra l’altro de ”Il confine orientale. Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1955” (Il Mulino). A moderare la discussione Roberto Spazzali, che ha curato il libro postumo di Elio Apih ”Le foibe giuliane”, appena pubblicato dall’Editrice goriziana. Proprio un ricordo del grande storico triestino scomparso cinque anni fa – ricordo a cura di Adriano Ossola e Raoul Pupo – ha preceduto l’appuntamento dedicato al dramma delle foibe. Un tema sul quale Apih avveva riflettuto a lungo, cercando di comprendere la lezione di una Storia sulle cui ragioni non finiamo mai di interrogarci.

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.