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Sabina Moscarda, testimone dell’esodo da Pola a bordo del Toscana

Una simpatia e un ottimismo contagiosi, un piglio schietto e il carattere forte di chi è stato forgiato tra le difficoltà e accoglie la vita come un dono.

È mancata la notte tra 26 e 27 novembre all’età di 98 anni compiuti il 9 novembre, Sabina Moscarda in Bendoricchio, classe 1925, esule istriana nata a Dignano quando l’Istria era italiana e vissuta a Pola, prima di fuggire con l’ultimo Toscana, il piroscafo misto italiano (in precedenza tedesco) utilizzato dalla Regia Marina come nave ospedale durante la Seconda guerra mondiale passato alla storia per aver trasportato 16.800 esuli istriani che fuggivano da Pola verso l’Italia a causa dell’annessione dell’Istria alla Jugoslavia.

Una vita di ricordi, la sua, che partivano proprio tra Dignano e Pola, dove conobbe l’amore della sua vita, Domenico “Etto” Bendoricchio (galeotto fu un treno merci raccontava la coppia), anche lui esule istriano che rischiò di essere infoibato come il padre, scampato alla morte per un soffio come raccontava durante la “Giornata del Ricordo”.

Era fuggita nel 1947 con sua zia, Domenichina, tra gli ultimi a imbarcarsi, e si era ricongiunta dopo avventure rocambolesche con il marito, mancato nel 2006 e già prosindaco di Mestre. Fu proprio Bendoricchio a volere il palazzetto dello sport Taliercio e affidarne la progettazione all’architetto Ruggero Artico.

Sabina Moscarda – Foto: La Nuova

A Dignano Sabina si guadagnava da vivere facendo la telefonista (per gli italiani, i tedeschi e infine gli inglesi). Prima di arrivare a Mestre ha abitato a San Donà e a Musile di Piave, in quest’ultimo paese aveva trovato casa in una sorta di fienile da dove poteva tuffarsi direttamente nel Piave – raccontava.

Testimone di un’epoca, come tutte le telefoniste impiegate alla Telve, Società Telefonica delle Venezie. «Ascoltavo un sacco di discorsi» amava raccontare «anche tra mariti e amanti». E prima ancora origliava i segreti militari. La madre lavorava come maestra alla la Manifattura dei Tabacchi di Venezia, insegnava a fare sigari e sigarette e controllava che nessuno rubasse il tabacco.

Successivamente andò ad abitare in via Querini per poi trasferirsi al condominio Due Torri di via Cappuccina dove ha abitato a partire dalla fine degli anni Sessanta.

Ha precorso i tempi, viaggiando un po’ dappertutto seguendo il marito, sempre proiettata al futuro, non indugiava nel passato, nonostante fosse orgogliosa delle sue origini. Una donna forte, tutta d’un pezzo, capace di infondere coraggio ed energia. E per questo le persone le volevano bene.

Amava il Cavallino, località dove passava l’estate e la vista del mare dal suo appartamento, quello stesso mare che la univa, lungo la linea dell’orizzonte, alla terra che le aveva dato i natali.

Ricamatrice, sapeva fare praticamente tutto, con l’hobby per la cucina e l’amore per i piatti istriani. Cucinava la Jota, la famosa minestra di Bobici, le palacinke. Non c’era una ricetta che non sapesse interpretare con abilità e creatività.

Lucida fino all’ultimo istante, acuta e intelligente. Oltre all’amato marito nel suo cuore e nei suoi pensieri c’era il figlio Beppe, mancato nel 2003, un dolore che non l’ha mai lasciata neanche per un’istante, ma che non le ha spento il sorriso, sempre sulle labbra.

A ricordarla con grande affetto la figlia Marina, il genero Ennio Quintavalle, Olga, i tantissimi nipoti e i pronipoti che adorava e che la adoravano a loro volta. Ma anche i moltissimi amici che ha sempre coltivato e per i quali ha cucinato le sue specialità.

I funerali si sono svolti martedì 5 dicembre nel Duomo di Mestre, data scelta dalla famiglia proprio perchè il 5 dicembre è il giorno in cui morì il figlio.

Marta Artico
Fonte: La Nuova di Venezia e Mestre – 27/11/2023

 

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