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Rovis: dall’Istria a Trieste una vita da romanzo (Il Piccolo 19 apr)

LA SCHEDA. Primo Rovis è nato a Gimino d’Istria il 1° novembre del 1922. Sposato, ha due figlie, Cristina e Gilda. Si è trasferito a Trieste nel 1947. n CONSOLE. Oltre all’attività da imprenditore e alle tante azioni benefiche che l’hanno visto protagonista, da 52 anni Primo Rovis ricopre la carica di console generale dell’Honduras. n NEL MONDO POLITICO. Primo Rovis ha fondato una formazione politica locale: la Lista Primo Rovis – Autonomia e giustizia. A rappresentarla in Consiglio comunale, tra i banchi dell’opposizione, è il consigliere Emiliano Edera.

di MATTEO UNTERWEGER

Ci è arrivato nel 1947, a 25 anni. E se n’è subito innamorato: Trieste occupa sempre un posto speciale nel suo cuore. Primo Rovis non perde occasione per ribadirlo, con la solita grinta. Quella con cui sottolinea di essere «nato imprenditore, come Berlusconi», rispetto al quale però «sono partito da zero», rivendica con fierezza.

Commendatore, com’è iniziata la sua scalata imprenditoriale?

In Istria avevo già un negozietto, il primo lavoro a Trieste me l’ha trovato il mio amico di una vita Bruno Zei, nell’esercizio commerciale di Piero Bevilacqua in via Roma. Ho lavorato lì per quasi un anno.

E poi?

Ho capito come si doveva operare in una città rispetto alla realtà di un piccolo paese. Ho visto come Bevilacqua lavorava con gli americani: da lui mi sono fatto le ossa.

Dopo un anno quindi si è messo in proprio?

Sì, prendendo in affitto un piccolo negozietto di alimentari in via Piccardi, all’angolo con via Petronio. Per riuscirci, sempre Bruno Zei mi prestò 200mila lire all’epoca. Le teneva fra le lenzuola perché non si fidava delle banche, ma di me sì…

Dove viveva nel primo periodo a Trieste?

Stavo da una mia zia che faceva la donna di servizio da Gortan radiografie. Abitava vicino a dove oggi c’è Il Giulia, in una casetta di pietra con sotto la cantina in terra battuta: io ho dormito lì su un materasso per i primi otto giorni.

Adesso è ricco, ma all’epoca ha vissuto in condizioni non facili, in povertà dunque?

All’inizio. Ma io non mi perdo, mi arrangio. Ancora oggi, se c’è bisogno dormo qua per terra. Non so se mi spiego. Ho con me delle fotocopie…

Prego?

È un articolo de Il Mondo di Milano sui redditi del 1979 degli italiani più ricchi. Io mi trovo al 398° posto, davanti a Luciano Benetton o Adriano Celentano. Il mio reddito dichiarato era di 276 milioni e 332 mila lire. Nel 1980, un anno dopo, avevo avuto un boom, dichiarando 841 milioni. Tuttavia, non pubblicarono nulla per motivi di sicurezza, ma consultando l’elenco dell’anno precedente sarei stato sicuramente nei primi venti.

Una notevole ascesa imprenditoriale, la sua.

Da bambino, dicevo già: sono nato indiscutibilmente imprenditore. Bisogna essere imprenditori veri per capire cosa vuol dire imprenditorialità, una cosa straordinaria. Sotto questo profilo, Berlusconi è il numero uno. Solo che lui è partito già da una base, io invece avevo fame quando sono arrivato a Trieste. A questo aspetto ci tengo: l’imprenditore lavora sempre con il cervello, giorno e notte.

Torniamo al negozietto di via Piccardi.

Lì ho iniziato a mettere in pratica quanto avevo visto fare a Bevilacqua. Un giorno sono andato al comando americano, offrendo due forme di formaggio in cambio di due casse di latte evaporato invece che una come proponeva Bevilacqua. Mi ero messo in concorrenza con lui, copiandolo ma proponendo scambi più vantaggiosi.

E lo sbarco nel mondo del caffè come avvenne?

Da bambino, un giorno avevo visto mia madre che maneggiava un pacchetto di caffè, del costo di 21 lire. Lo portavano i contrabbandieri da Fiume. Quando mi ritrovai a dover fare un metro cubo di ghiaia per guadagnarmi 11 lire, pensai: da grande lavorerò nel caffè. Sono stato autodidatta in tutto.

In che anno l’apertura del magazzino di via Udine?

Nel 1951, il primo maggio, tostavo i chicchi che compravo da fornitori piccoli, qui. Dormivo dentro quei 100 metri quadrati, l’industria di torrefazione Cremcaffè.

A proposito di Cremcaffè: a un certo punto ha ceduto l’attività. Come mai?

Per un’offerta vantaggiosissima. Prima venne da me Zanetti, il proprietario della Segafredo, a farmi una proposta d’acquisto. Io, però, già sapevo che Polojaz, uno degli uomini più ricchi di Trieste, era interessato. Quando mi trovai di fronte Zanetti, lo chiamai per dirgli: prima di cedere a lui, ritengo giusto che tu sappia. La sua risposta fu immediata: ci possiamo incontrare subito al Caffè Tommaseo, disse. Lì in un angolo, l’affare venne chiuso.

E i minerali? Come ha deciso di imboccare quella strada?

Mi trovavo in Brasile, in una fazenda del caffè. A un certo momento, sento cantare di gioia: chiedo al proprietario cosa succede. Erano quattro garimpeiros, i cercatori (d’oro e di diamanti, ndr). Il miglior caffè cresce nelle terre vulcaniche dove ci sono anche i minerali. Là, infatti, avevano trovato tre bellissimi cristalli, uno ce l’ho ancora. Il padrone mi propose di comprarli. Alla fine, gli dissi di inserire tutto nella spedizione di caffè. Questo l’inizio, qualche mese prima della cessione di Cremcaffè, con l’apertura del negozio Ipanema Rovis in via Galatti.

È diventato esperto del settore?

Sono nato imprenditore. Imparo in un giorno ciò che gli altri apprendono in un mese. Mi concentro in una maniera incredibile e le cose mi restano impresse.

Gli affari come vanno oggi, in via Romagna?

Ho incassato molti soldi vendendo l’attività del caffè. E li ho investiti aumentando la mia collezione, soprattutto con minerali abnormi. Alcuni non sono assolutamente in vendita, fanno parte di una collezione che nessuno al mondo ha. La mia è la più grande e completa, di minerali e fossili. Ho pure le uova di dinosauri, cinesi. Importo da ogni parte del mondo: se trovo un pezzo che non ho, lo compero subito. A Monaco di Baviera, alla fiera più importante d’Europa, per esempio: vi si trova di tutto.

Cosa farà di tutti i suoi minerali?

Se il mio negozio fosse a Milano o a Roma farebbe quanti soldi si vuole. A Trieste, nemmeno ci pagheremmo le spese con quanto guadagnamo. Adesso però è il momento di ricominciare a fare cassa. L’altro giorno avevo qui il presidente Feruglio e il consigliere delegato della Banca di credito cooperativo. Ho fatto loro delle offerte affinché possano comprare le pietre, facendo un museo a Roma o a Milano. Ne bastano poche per attirare l’attenzione della gente.

E i russi?

Siamo in trattative ma loro sono lunghi…

Il suo amore per Trieste è intatto?

Conosco quasi tutto il mondo, ero Freccia Alata dell’Alitalia già trent’anni fa potendo così entrare in qualsiasi sala vip di tutti gli aeroporti. Ho più di cinquemila ore di volo. Ho girato, ma Trieste è nel mio cuore, mi ha accolto. E il mio cuore sta all’Italia.

Com’è diventato Commendatore della Repubblica?

Questa è un’altra storia. A Trieste non mi hanno mai dato niente, qua c’è qualcuno che ce l’ha con me. Cosa avrei dovuto fare ancora per diventare Cavaliere del lavoro? Il titolo di Commendatore, invece, è una cosa di cui vado fiero, datomi motu proprio dal Presidente della Repubblica.

Ci spieghi.

Mi trovavo a Rio de Janiero, contemporaneamente al professor Dulci. Io ero introdottissimo in Brasile e lo feci invitare dal presidente all’Istituto brasiliano del caffè, la cui esportazione rappresentava il 59% delle entrate del Paese. Dulci era grande amico del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e quando tornò dal Brasile andò a trovarlo e gli disse: quello che sta facendo un giovane a Trieste ha dell’incredibile, dovresti farlo Commendatore. Così, una mattina suonò il campanello della mia villa: era il telegramma con cui mi si comunicava la nomina a Commendatore. E sa un’altra cosa?

Prego.

Dovevo andare a fare anche l’attore, quand’è morto James Dean. Avevo fatto le prove a Cinecittà, ero un figone numero uno.

Come mai non se ne fece nulla?

Perché voglio essere un uomo libero. Non esiste che qualcuno mi imponga qualcosa. Per questo non ho mai voluto fare nemmeno il sindaco. Nessuno mi ha comandato in vita mia.

Ha fatto anche tante azioni benefiche, specie per la medicina e il cuore. Perché?

Mi sono avvicinato al settore perché ho avuto un problema di cuore, tanto che ho impiantata la valvola aorta umana di una ragazza di 18 anni. Mi hanno operato 27 anni fa al centro più all’avanguardia del mondo, in Alabama. A mie spese è stata creata la divisione di Cardiochirurgia del Maggiore che per 13 anni è stata una cosa favolosa, prima del trasferimento a Cattinara.

In politica chi appoggerà nel 2011 la lista che porta il suo nome?

Chi meriterà. Non ho deciso. Dipende molto da Emiliano Edera, giovane e innamorato della politica. Scusi, ma qualcosa su Renzo Tondo lo devo dire.

Cosa?

Nel rapporto con Trieste, se mantenesse solo una piccola percentuale di quanto dichiarato in campagna elettorale, dove io l’ho fatto eleggere e ho le lettere con cui mi ha ringraziato… Il progetto del trasferimento del Burlo a Cattinara è una bufala: non c’è un metro di terra, un progetto di massima, un minimo finanziamento. Non permetto che illustri medici siano presi in giro. Il Burlo deve rimanere dov’è.

 

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