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Ricorrenze storiche e ipocrisia di buoni propositi (Il Piccolo 05 feb)

L'INTERVENTO

È innegabile: il nostro calendario civile nazionale sta vivendo un momento di profonda crisi. Chi sente come valore condiviso e partecipato la festa della liberazione del 25 aprile? E quella del lavoro del primo maggio? E la festa della Repubblica il 2 giugno? Sulla stessa china si sta avviando il 27 gennaio, il giorno della Memoria, nonché il giorno del Ricordo del 10 febbraio.

Per quello che riguarda il giorno della Memoria il germe dell’usura era già presente al suo atto di nascita. Per ricordare la Shoah e lo sterminio nazista nei Lager nazisti, si è ricorsi alla data della liberazione del campo di Auschwitz, un evento non nazionale bensì un evento di portata europea-mondiale. Nel 2000, quando fu istituito, l’Europa dell’euro sembrava costituire un buon punto di riferimento, un solido aggancio per la memoria civile. Rispetto al nostro paese era meglio evitare ogni riferimento ad eventi simili a livello nazionali. I fascisti d’allora ne avevano combinate di cotte e di crude con gli alleati tedeschi e incrudelire la nostra memoria civile non aiutava a superare i rancori che ancora ci percuotono. Alla luce degli odierni risultati si deve però ammettere che si è trattato di una soluzione maldestra e poco produttiva.

La realtà è che il giorno della Memoria, come quello del Ricordo e la ricorrenza del 25 aprile, sono molto, troppo spesso un guscio vuoto, una passerella di buoni propositi, una pletora di eventi accatastati alla rinfusa alla quale non fa seguito nulla, assolutamente nulla. Mi chiedo alle volte se ha veramente senso tenere in piedi questi riti ipocriti che di senso civile hanno così poco. Aggiungo perché.

Io credo che il limite di fondo di queste ricorrenze non risieda tanto nel fatto che sono troppo approssimative e sbrigative, ma piuttosto nel suo contrario. Esse spesso assumono, come a voler compensare l’ipocrisia che le accompagna, un tono predicatorio, un soffocante moralismo di maniera, una ridondanza difficile da sopportare. Si arriva al punto che i predicatori dei giorni della memoria e del ricordo, sembrano intimare tutti ad assumere in prima persona una colpa, per meglio dire “la colpa” della storia e del passato, come essa fosse solo e sempre una terribile nemesi che non ci darà mai pace. Ecco, a ben guardare queste ricorrenze sono sempre state fatte per accusare il presente attraverso il passato. Chi da voce in questo modo al passato lo evoca con l’idea di poterne usare l’enorme potenziale di dolore per ancora accusare il presente e i presenti o quantomeno intimorirli e annunciare il giorno del giudizio. La controprova di quanto sostengo è costituita dalla festa della Repubblica, che, essendo una ricorrenza civile senza denuncia, del male, della storia, del passato, senza ciò un pulpito dal quale lanciare anatemi, è relegata alla solita parata militare lungo i fori imperiali.

A mio giudizio il deficit è stato ancora una volta della classe politica e dei cosiddetti intellettuali, spesso suoi manutengoli, che non hanno mai saputo elaborare, proporre, esemplare, valori positivi, creare un tessuto connettivo civile vero e solido. La stessa parola Repubblica suona vuota ai più, per non parlare di libertà, di uguaglianza civile, di rispetto della legge e della legalità.

Basterà una generazione per rifondare il senso e i modi del nostro calendario civile nazionale?

Marco Coslovich

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